Massimo Fioranelli: un approccio personalizzato al paziente

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Fioranelli«Non basta prevedere la malattia, occorre insegnare la salute per conservarla». Lo diceva già Ippocrate 25 secoli fa, ma è anche, in estrema sintesi, il punto di vista a cui sembra arrivato dopo un lungo percorso, il professor Massimo Fioranelli, Responsabile del Centro Cuore della clinica Mater Dei a Roma, “Fellow” delle più importati associazioni cardiologiche europee e mondiali (European Society of Cardiology, Society for Cardiovascular Angiography and Interventions, American College Chest Physician, Società Italiana di Cardiologia Invasiva, Associazione Nazionale Cardiologi Ospedalieri). Fautore di un approccio che definisce (e non è il solo) Medicina Biointegrata e della “medicina fisiologica di regolazione”, a cui è arrivato dopo un percorso solido e tradizionale: dopo la laurea in medicina a La Sapienza di Roma si è specializzato in Medicina Interna e poi in Cardiologia ed ha esercitato per lungo tempo come medico ospedaliero al “S. Giovanni Calibita” dei Fatebenefratelli, presso l’Isola Tiberina di Roma e successivamente come responsabile del Centro Cuore della Clinica Mater Dei di Roma. Ha insegnato in varie università e al momento è professore associato di Fisiologia presso l’Università Guglielmo Marconi di Roma ove insegna anche Storia della Medicina. Insomma, non ha nulla del “guru” da medicina omeopatica, al contrario ha una lunga pratica della medicina allopatica, addirittura in chirurgia, e non rifiuta certo l’uso dei farmaci “tradizionali”, anzi. Proprio per la sua esperienza, il suo punto di vista – «la medicina non è solo una scienza, ma un’arte» – è più interessante.

Perché è importante la medicina integrata
In questi ultimi anni mi sono accorto che sostanzialmente la medicina – chiamiamola tradizionale – sa trattare bene, con efficacia, le fasi acute delle malattie. Per esempio in campo cardiologico l’infarto con l’angioplastica primaria, consente un pronto recupero in una patologia che solo 20 anni orsono necessitava di una lunga convalescenza. Però quando si tratta poi di gestire la malattia nella sua fase cronica incontra delle grosse difficoltà. La medicina moderna ha questo atteggiamento prevalente: curare i sintomi e lasciare inalterato il meccanismo fisiopatologico fondamentale che caratterizza l’essere umano e qualsiasi tipo di malattia. Quindi alla ricerca di una medicina, come dire, più “naturale” e più aderente ai fabbisogni dei pazienti, mi sono incamminato nella ricerca di qualcosa che potesse essere “integrata” nella nostra pratica quotidiana. E in questo percorso ho approfondito varie discipline.

Ad esempio l’utilizzo della cannabis nella terapia del dolore
La cannabis può essere un approccio molto utile per il dolore. Ci sono delle persone che reagiscono molto bene alla cannabis quindi perché non usarla se gli placa dei sintomi? Cosi come l’agopuntura per il trattamento del dolore, potrebbe essere usata nei reparti ospedalieri al posto o in associazione ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Ma per farlo bisognerebbe avere competenze che per ora non si insegnano all’università, dove si apprendono la farmacologica e la chirurgica, che fondamentalmente è demolitiva, e che, per carità, vanno benissimo. Ma, il medico dovrebbe avere anche la possibilità di conoscere anche altri tipi di terapie.

Un approccio personalizzato su ogni paziente, ma questo è anche un limite o no?
Sì anche è vero, è anche un limite, perché per scopi scientifici lei dovrebbe categorizzare i pazienti. Però qui si apre un grosso discordo su cosa è la scienza e come si applica alla medicina. La medicina non è una scienza è un’arte, è l’arte della cura. Ugo Teodori – clinico fiorentino autore del famoso testo di Patologia Medica, su cui si sono formate generazioni di medici – scrive nell’introduzione, che “le malattie sono necessarie costruzioni della nostra mente, basate su criteri logici; ma la realtà che noi osserviamo è costituita solo da persone umane ammalate”. Sono in un cero senso dei codici linguistici per comunicare tra esperti del settore. Con termini quali diabete, ipertensione o qualsiasi malattia, noi identifichiamo dei codici, delle categorie, ma poi in quelle categorie ci sono delle persone, ognuno diversa dall’altra. Il medico deve conoscere la biologia, la farmacologia e quanto altro, ma deve anche capire che il paziente che si trova davanti non si rispecchia in quello che abbiamo imparato sui libri. Per esempio nelle malattie reumatiche, un paziente raramente può essere semplicemente inserito nella casella di una malattia descritta perché ognuno ha delle caratteristiche diverse, dei sintomi sovrapposti alle varie entità nosologiche ma soprattutto ognuno ha una sua reattività biologica specifica.

L’approccio delle “low-dose” è un’evoluzione del concetto dell’omeopatia?
Sì, ma rivisitato in chiave moderna. Hahnemann non aveva le conoscenze che noi oggi abbiamo. Non conosceva per esempio le interleukine, che a dosaggi ponderali producono una risposta biologica intensa ma con gravi effetti collaterali. Non sapeva come fanno, in un dosaggio diluito e dinamizzato, 70mila molecole ad agire su più di 250mila miliardi di cellule, che tipo di cariche elettromagnetiche possiedono le molecole di acqua sottoposte a dinamizzazione. Oggi possediamo dei risultati sperimentali importanti sia sugli animali che in clinica, ma purtroppo questi farmaci sono considerati dalla nostra legislazione come integratori. Le sostanze omeopatiche non si possono più brevettare ormai da vent’anni e così noi neghiamo una grande possibilità terapeutica ai nostri pazienti, che poi magari debbono acquistare questi farmaci prodotti in Italia, all’estero.

È un discorso molto più evoluto rispetto alla semplice omeopatia…
Certo, l’omeopatia secondo me è una tradizione culturale importante, ma questa è una medicina fisiologica di regolazione che riprende alcuni principi dell’omeopatia rendendoli, però più moderni. Noi iniettiamo una sostanza non in base alle caratteristiche costituzionali dell’individuo ma in base alla malattia, come si usa con un farmaco classico. Un approccio completamente diverso.

Lorenzo Di Palma