Rajesh Shah: l’omeopatia è la medicina del futuro

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rajesh Shah1“È giunto il momento di passare dall’omeopatia intesa come ‘sistema di credenze’ all’omeopatia come sistema scientifico. Dobbiamo imparare a valutare uno per uno, ed eventualmente ad abbandonare, alcuni concetti che, come dei mantra, hanno dominato il mondo omeopatico. Medicina energetica, forza vitale, dose singola, rimedio unico, proving, dinamismo, l’enfasi sulla psicosomatica, l’approccio incentrato sul sintomo e molto altro”. È una dichiarazione di intenti molto chiara quella di Rajesh Shah, omeopata indiano e leader del rinnovamento che attraversa la medicina dei simili nel sub-continente indiano. Un’area del pianeta dove l’omeopatia non è semplicemente una terapia complementare, ma un approccio alla cura, spesso unico, per milioni di persone.

Dottor Shah, come mai ha scelto di fare l’omeopata?
Volevo innanzitutto diventare medico e dedicarmi alla cura dei malati, poi il mio interesse verso un approccio terapeutico naturale mi ha portato verso l’omeopatia. Sono felice di una scelta fatta molti anni fa, che mi permette di essere allo stesso tempo terapista, formatore, ricercatore e divulgatore. Di sperimentarmi cioè nelle numerose sfaccettature di questo sistema di cura.

L’omeopatia oggi in India gode di buona salute?
Grazie a un’articolata infrastruttura e alle risorse umane mobilitate, l’India è considerato un paese leader in questo campo: ci sono circa 250.000 omeopati in attività e 188 istituti di formazione universitaria, che erogano corsi residenziali della durata di 5 anni e mezzo a frequenza obbligatoria, distribuiti nell’intero sub-continente. Il sistema è coordinato da strutture come il Central Council for Research in Homeopathy e il Central Council of Homeopathy e affiancato da una solida rete di laboratori di produzione che fanno riferimento alla Farmacopea omeopatica nazionale. Le numerose associazioni del settore lavorano tutte, infaticabilmente, per ottenere il riconoscimento scientifico che questa medicina merita.

Riconoscimento scientifico e aggiornamento del paradigma sono obiettivi anche della Global Homeopathic Foundation?
Oggi l’omeopatia è un sistema di cura sempre più popolare che attrae un numero consistente di pazienti anche nei paesi occidentali. Questa medicina è tuttavia continuamente sottoposta a critiche, l’ultima in ordine di tempo partita dall’Australia. L’accusa è la mancanza di sufficienti prove di efficacia clinica, nonostante le numerose attività di ricerca stiano producendo risultati via via più incoraggianti. Il fatto è che esiste un gap di informazione e che gli stessi medici, gli studenti e i pazienti omeopatici non sono consapevoli di questi risultati scientifici perché non se ne parla abbastanza. Ciò rappresenta un vulnus per i pazienti come per i professionisti. Su questo terreno intende intervenire la Global Homeopathic Foundation (GHF), un’associazione non governativa senza scopo di lucro, formata di recente da un ampio gruppo di omeopati indiani. L’obiettivo prioritario è di offrire ai nostri pazienti un’omeopatia di qualità, promuovere e rafforzare la visione scientifica a beneficio anche dei professionisti del settore. Se l’omeopatia non è apprezzata nelle sue grandi potenzialità e la dimensione scientifica è sottostimata, per uscire dall’isolamento dobbiamo rafforzare questo aspetto e farlo in collaborazione con le altre branche della scienza. Si tratta di migliorare il profilo scientifico, avere anche il coraggio di ammettere i propri limiti e comunicare in modo più efficace e capillare con il pubblico, con le persone. Un approccio scientifico all’omeopatia incoraggerebbe ricercatori e studenti a potenziare la ricerca accrescendo l’efficacia di questo sistema di cura e offrendo un aiuto più solido ai pazienti. È necessaria quindi una rivoluzione basata su un’evoluzione del sistema. Un impegno di ampia portata che include settori cruciali come la pratica medica quotidiana, la ricerca, la formazione e la comunicazione, interna ed esterna.

È arrivata dunque l’ora del cambiamento?
In realtà lo stiamo già vivendo. Il cambiamento di paradigma è incoraggiato dalle ricerche scientifiche degli ultimi 5-10 anni. Ricercatori provenienti da settori diversi – fisici, chimici e biochimici, ingegneri, farmacologi, biologi ed esperti in nanotecnologie – hanno raccolto dati molto interessanti che indicano una nuova direzione. Aver riunito qui, nel nostro primo meeting a Mumbai, centinaia di omeopati e di scienziati indiani, europei, statunitensi è l’orizzonte concreto di questo rinnovamento. Il motore di questo progetto, lo ripeto, è quello di aumentare la consapevolezza sulla medicina omeopatica intesa come sistema scientifico e trasmettere questo messaggio ai medici, ai professionisti della salute e anche all’uomo della strada. È nostra intenzione moltiplicare gli sforzi in questa direzione e vorremmo coinvolgere in questo percorso anche i media, non soltanto in India, affinché gli omeopati si sentano sostenuti in questo impegno per il rinnovamento.

L’omeopatia si dibatte fra la ricerca di base, volta a dimostrare il suo meccanismo d’azione, e quella clinica: a fronte delle scarse risorse destinate alle attività di ricerca quale filone occorre favorire?
A mio avviso devono essere sviluppati entrambi. Dobbiamo raccogliere un numero maggiore di prove che dimostrino la plausibilità di questo sistema terapeutico, ma anche aumentare, in qualità e quantità, le evidenze della sua efficacia clinica. La ricerca di base è la chiave di volta per dimostrare la validità dell’omeopatia e gli studi statistici, osservazionali e clinici, nella misura in cui riescono a dimostrare la significatività di azione e l’efficacia dei medicinali omeopatici dovrebbero essere inclusi nella pratica di tutte le scuole di formazione e del singolo omeopata.  E’ una grande sfida: c’è ancora molta strada da fare, ma qualcosa comincia a muoversi nella giusta direzione.

Quali sono i risultati più interessanti che lei e il suo staff avete raggiunto nella ricerca clinica?
La ricerca è una parte integrante del mio lavoro, ma fondamentalmente sono un medico omeopata e quindi dedico molto tempo ai miei numerosi pazienti, provenienti non soltanto dall’India, ma anche da altri paesi. In circa 30 anni di attività, ho seguito pazienti colpiti dalle più svariate patologie, anche importanti sul piano clinico. Un piccolo gruppo di ricercatori che lavora in una struttura collegata al nostro studio ha condotto degli studi su alcuni di questi problemi, con l’obiettivo di valutare e analizzare i risultati del trattamento omeopatico. Testiamo i rimedi omeopatici sui pazienti, su modelli animali, su linee cellulari e ad oggi abbiamo completato cinque trial clinici, alcuni dei quali sono stati pubblicati su riviste internazionali. Abbiamo inoltre sviluppato nuovi medicinali omeopatici, che non sono l’associazione di farmaci già esistenti ma molecole nuove, alcune delle quali sono state brevettate negli Stati Uniti, in Europa e Australia. L’obiettivo della ricerca è migliorare la nostra offerta per il paziente, poter rispondere in modo più efficace ai suoi problemi, alle sue sofferenze.

L’omeopatia trova dunque impiego anche in patologie importanti: quali sono i campi di applicazione a suo avviso più promettenti?
Con il mio gruppo mi occupo da anni di affezioni della cute, in particolare di psoriasi, vitiligine, eczema, dermatiti atopiche ecc. Problemi molto diffusi in tutto il mondo per i quali stiamo cercando delle soluzioni in ambito omeopatico. Da qualche anno stiamo lavorando anche sui nosodi; abbiamo realizzato uno studio patogenetico in doppio cieco controllato con placebo sul nosode dell’epatite C, con l’obiettivo di introdurre questo nuovo medicinale nella Farmacopea omeopatica indiana. È stato condotto poi uno studio clinico su un piccolo campione di 27 pazienti che, al termine di 24 settimane di trattamento con il nosode dell’HIV, hanno mostrato un miglioramento dei parametri immunologici riportando l’aumento di peso, la riduzione dei sintomi e un miglioramento dello stato generale di salute. Non stiamo parlando ovviamente di una cura per questa malattia, ma delle basi per sviluppare nuove ricerche finalizzate a migliorare complessivamente la salute dei malati.

Come trasferire questi concetti nella formazione?
La formazione omeopatica rappresenta una grande sfida non soltanto per l’India ma in tutto il mondo. In India possiamo contare su un sistema formativo nazionale articolato in circa 200 Facoltà di omeopatia, a differenza di quanto accade in Europa, dove la formazione viene svolta per lo più dalle scuole private. In Gran Bretagna, ad esempio, la formazione omeopatica non gode di ottima salute. Certo, un tempo c’era la Faculty of Homeopathy che erogava corsi qualificati, ma quella storica istituzione è stata notevolmente ridimensionata nell’ultimo periodo. C’è il rischio che, nell’arco di 10 anni, sarà difficile, se non impossibile, trovare un omeopata davvero qualificato a svolgere questa professione medica. Esiste poi la questione di chi debba praticare l’omeopatia; in Italia questa disciplina è un atto medico ma non in altri paesi europei, dove può essere esercitata anche da personale non medico. Il sistema di formazione indiano presenta pro e contro: da una parte una formazione centralizzata e uniforme e con una durata congrua; dall’altra, ed è il lato grigio della medaglia, la qualità non sempre eccellente della formazione che viene erogata ai nostri studenti. Occorre dunque migliorare il profilo qualitativo, anche se è complesso individuare i vari fattori su cui intervenire.

Chi è Rajesh Shah
Rajesh Shah, laureato in omeopatia a Mumbai, pratica la medicina dei simili dal 1985 ed è attualmente direttore di un grande centro medico e di ricerca omeopatica, Life Force. Si occupa anche di ricerca, formazione (ha tenuto seminari negli USA, Irlanda, Belgio, Olanda, Croazia, Svezia, Norvegia, Giappone) e comunicazione globale attraverso numerosi siti dedicati alla medicina omeopatica. Direttore della Homeopathy India Foundation, editor di Homeopathy Times, ha pubblicato circa 20 articoli, di cui 8 su riviste internazionali, e i volumi My experiences with Ferrum Metallicum, Urticaria and its treatment, Lichen Planus Treatment, Vitiligo. Quest’ultimo riporta l’esperienza di oltre 6.000 casi clinici di vitiligine trattati con l’omeopatia.