Sostenere la ricerca nella medicina complementare

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Sono stati pubblicati recentemente i dati relativi ai finanziamenti riguardanti la ricerca scientifica e il numero di ricercatori occupati nel mondo (Fonte OECD 2012) e il quadro che ne esce per quanto riguarda l’Italia è davvero sconfortante. Nel nostro Paese si investe in ricerca appena l’1.25% del Pil, una percentuale che rimane stabile da oltre 20 anni. In paesi come gli Stati Uniti è il 2.8%, in Germania il 2.84%, nell’Ocse il 2.38% mentre quelli dell’Europa a 15 è il 2.08%, per non parlare di Giappone e Svezia che superano il 3%. Come si vede, si tratta di percentuali che superano di più del doppio l’investimento italiano in ricerca. E per quanto riguarda i ricercatori, non è una sorpresa apprendere che con i nostri 4,3 occupati su 1000 siamo agli ultimi posti di una ideale classifica che vede il Nord Europa con Finlandia o Islanda avere 17 occupati su 1000, e molti altri paesi attestarsi dai 7.1 della Slovacchia ai 12.6 della Danimarca. Insomma la media della UE (tutti i paesi) è 7.0, mentre se ci limitiamo ai 15 diventa 9.6, ovvero, anche in questo caso siamo al doppio della realtà italiana. Viene fatto inoltre rilevare che non solo investiamo poco, ma investiamo in ricerca anche male, visto che su ogni euro investito in ricerca rientrano solo 60 centesimi, a causa dei tanti ostacoli burocratici che di volta in volta si frappongono sul cammino progettuale dei ricercatori e della mancanza di un sostegno “tecnico” alla scrittura e alla gestione dei progetti che partecipano a bandi internazionali. I dati sono stati pubblicati (Corriere della Sera 20.1.2013) in occasione della notizia di una petizione che oltre duemila ricercatori hanno firmato per chiedere al Ministero di modificare alcuni dei criteri proposti per il bando 2012 dei Progetti di rilevanza nazionale, giudicati troppo restrittivi e non sufficientemente premianti il merito e la qualità dei progetti di ricerca. Non è questa la sede per valutare la giustezza delle critiche sollevate da numerosi ricercatori, se questi limiti esistono effettivamente e se peseranno sui risultati finali del concorso, l’unico al momento in Italia che consente ai tanti gruppi di ricerca di sperare di usufruire dei pochi fondi messi a disposizione a livello pubblico e che in epoca di spending review ad ogni livello certamente non verranno aumentati. Ci interessa invece rilevare come, tragicamente, un settore come quello delle medicine complementari venga da sempre completamente ignorato da questi bandi e sia di fatto escluso dai meccanismi di ricerca. Praticamente mai un euro pubblico è stato destinato a finanziare la ricerca in questo settore e se qualche volta, molto incidentalmente, questo è accaduto, (per esempio qualcosa in questo senso si è fatto a livello regionale), l’esperienza si è difficilmente, o più spesso mai, ripetuta. Non così accade in Europa, dove esiste una realtà di ricerca che, per quanto ancora molto limitata, rappresenta un segnale importante e un’indicazione ai Paesi membri su quale sia la strada da intraprendere. È evidente la contraddizione fra i continui appelli che la medicina convenzionale rivolge alle “altre” medicine per un approccio più scientifico, per una dimostrazione di efficacia nelle diverse patologie, insieme alla pressante richiesta di utilizzare il golden standard della Evidence based medicine ovvero i trial clinici randomizzati in doppio cieco. Ci chiediamo: secondo loro chi li dovrebbe pagare? Non può essere solo il privato, come attualmente accade, visto che nella stragrande maggioranza dei casi il medicinale omeopatico, almeno quello unitario, così come il trattamento con agopuntura, e le piante, non sono (per ora) brevettabili. Le uniche risorse disponibili dovrebbero essere quelle pubbliche, ma la situazione in questo ambito è quella che abbiamo precedentemente descritto. E allora? Intanto sarebbe utile che, chi ci critica senza proporre soluzioni, smettesse di riempirsi la bocca con parole come rigore scientifico, medicina basata sulle prove di efficacia, ecc., parole che suonano in questa situazione ipocrite e prive di senso pratico. Al tempo stesso è giunto evidentemente il momento di smettere con l’illusione che prima o poi verrà finanziata la ricerca in questo settore. Non è successo fino ad ora, e non può succedere nel prossimo futuro. È giunto il momento di fare uno sforzo collettivo in cui tutti gli attori del nostro mondo diano il proprio contributo, superando finalmente le differenze e le divisioni fra le categorie professionali, le diverse medicine, le metodologie differenti, le conflittualità di mercato, e si promuova un sostegno comune alla ricerca, in cui davvero funzioni la meritocrazia, in cui la bontà del progetto prevalga sull’appartenenza e il sostegno allo sforzo dei “nostri” ricercatori, ancora troppo pochi e isolati, sia garantito da tutti nella forma più utile. Vedremo se e quando questa speranza potrà diventare realtà.

Elio Rossi