Si è tenuto a Firenze il 1st CBD & Medical Cannabis Forum (12-13 settembre 2025): una Agorà di esperti di diversa formazione – clinici, fra cui terapisti del dolore e algologi, farmacisti e farmacisti preparatori, rappresentanti del mondo legale e dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, l’unico autorizzato dal Ministero della Salute alla coltivazione della cannabis– che hanno fatto il punto sullo “stato dell’arte” della cannabis terapeutica nella realtà italiana, tra punti di forza, come le sempre crescenti evidenze scientifiche, per quanto studi in materia di ricerca e sviluppo dovrebbero essere ulteriormente promossi, sull’efficacia della sostanza nella gestione del dolore per specifiche patologie, e criticità quali la necessità di aggiornare la norma vigente sulla cannabis – il Decreto Lorenzin datato al 2015 e mai attualizzato in funzione all’evoluzione subito dalla sostanza nel corso degli anni e alle richieste crescenti del territorio – o del recente Decreto Patenti che lede la dignità e la “libertà” del paziente utilizzatore di cannabis. E, non ultimo, sono emersi suggerimenti e indicazioni per medici senior e nuove leve per un uso appropriato e adeguato della cannabis, dove l’(in)formazione ricopre un ruolo cruciale, prioritario.
La cannabis una preziosa opportunità
È una vecchia arma, nota e impiegata fin dall’antichità, da mettere al servizio dei malati, i quali oggi sono colti e informati sulle problematiche dell’utilizzo della cannabis, calate nel proprio contesto personale.
«Questa “cultura” – spiega Renato Vellucci, specialista in Terapia del Dolore e Cure Palliative presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze – porta il malato a richiedere specificatamente di poter sfruttare la cannabis, sia perché considerata come una cosa naturale, magari perché sperimentata in precedenza nella storia famigliare o anche per un primo contatto a scopo ludico».
L’arrivo prossimo di sostanze titolate cambierà la prospettiva terapeutica di utilizzo della cannabis, potenzialmente destinata a diventare una terapia molto più vicina allo standard terapeutico, permettendo di poterla offrire a tutti i pazienti, senza il bisogno di estrarre il prodotto da una pianta, quindi allestendo un galenico a partenza da alcuni preparati per-titolati e pre-confezionati dalle aziende produttrici.
«Questo rappresenterà una opportunità di crescita, in termini qualitativi e quantitativi – sottolinea l’esperto – rispetto allo stato attuale in cui estraendo dalla pianta specifiche sostanze non è possibile garantire la perfetta riproducibilità, quindi l’esatto quantitativo contenuto nel trattamento precedente. Ciò anche a supporto della volontà del malato che desidera potere usufruire di prodotti naturali a basso rischio, imponendo al medico di fare formazione continua per acquisire sempre maggiore cultura e competenza in termini di rischi legati al trattamento e di applicazioni terapeutiche. La cannabis è una delle varie armi a disposizioni, poche, nella gestione del dolore, fondamentale per migliorare la qualità della vita del malato e che va sfruttata al massimo delle sue potenzialità».
Vi sono chiare indicazioni che la sostanza costituisce un baluardo in determinati contesti clinici, con sempre più robuste indicazioni: la spasticità, alcune malattie degenerative del sistema nervoso, come la Sclerosi Multipla dolori neuropatici, dolore oncologici o altre patologie, come l’HIV, che correlano anche da altre problematiche, tra cui l’anoressia. In tutti questi contesti, citando i principali, la cannabis, può costituire una opportunità integrativa alle terapie convenzionali per migliorare la performance del paziente, così come è una strategia importante, una integrazione a cui non si può rinunciare, in caso di fallimento di terapie di prima linea.

I (limiti) della legge Italiana
La Regione Toscana, all’avanguardia, è stata la prima a dettare le regole sull’applicazione della cannabis, ancora prima della definizione della normativa italiana, iniziando fin dal 2012 un percorso di legalizzazione dei trattamenti, dando la possibilità ai malati di cominciare a beneficiare dei suoi effetti in contesti di dolore molto precoce.
Oggi la Toscana, fra le poche regioni, è in grando di offrire e proporre la cannabis a tutti i pazienti aventi diritto. «Non esistono dei PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) “protocollati” – fa sapere il dottor Vellucci – ma dei percorsi che vengono costruiti sulla patologia, quali la fibromialgia o l’endometriosi in cui la cannabis è un attore cruciale per la gestione del dolore pelvico, personalizzati sulle necessità del paziente, e modulati nel tempo. Percorsi che vengono studiati e predisposti da ginecologi, con expertise all’impiego della cannabis, reumatologi e così via secondo formulazioni specifiche».
Oggi il limite nazionale è rappresentato dalle leggi ancora restrittive, come nel caso del rinnovo patenti, ricordando che in Europa, paesi vicini all’Italia, hanno già una legislazione avanzata. «Basterebbe replicare queste legislazioni, senza particolari sforzi. Mentre, dal punto di vista pratico- aggiunge Vellucci – come medici spieghiamo al malato i rischi di questo trattamento, lo supportiamo nel percorso, anche nel rinnovo patente, consigliando alcune strategie he permettono di avere una polizza assicurativa con rinuncia alla rivalsa da parte della polizza stessa, oppure rilasciando una serie di certificazioni che possono garantire al malato supporto in caso di sinistri. Infine accompagniamo il malato nella scelta delle formulazioni della cannabis, dietro cui c’è un universo di terapie specifiche, legate ai singoli alcaloidi che hanno effetti terapeutici differenti, e che possono rappresentare un grande valore aggiunto, sinergico, quando vengono somministrati gli estratti».
Le regole per un uso corretto o un primo approccio alla cannabis
Sono indispensabili almeno tre caposaldi per il buon governo e conoscenza della cannabis terapeutica.
– La formazione, favorita da eventi e/o altre iniziative. «La conoscenza è la base per cominciare a introdurre la cannabis nella possibilità terapeutica – spiega Giulia Biondi, dirigente medico presso U.O. Terapia del dolore dell’Ospedale Bellaria (Bologna) – a prescindere dalla I, II e III linea di trattamento e del reale posizionamento della cannabis, ancora non così ben delineato. Il medico si deve sentire in grado di prescriverla con “sicurezza” che deriva dalla conoscenza della materia, dalla capacità di capire i vari preparati che ha a disposizione, dall’aver compiuto adeguati calcoli finalizzati a valutare in quelle gocce e/o in altre formulazioni, quanti milligrammi di THC (tetraidrocannabinolo) o CBD (cannabidiolo) sta somministrando al proprio paziente con quello specifico preparato. Su questa base è possibile ragionare in termini di efficacia terapeutica e valutarne gli effettivi outcome una volta che il paziente torna in ambulatorio».
– (L’auspicio) di disporre di una ricetta, al pari di una qualunque altro farmaco. Sarà probabilmente impossibile, con la cannabis, arrivare a questo traguardo per diversi fattori. «La prescrizione – prosegue la dottoressa – è personalizzata e la “ricetta” nasce dalla comprensione e dal monitoraggio del paziente, nel tempo. In precedenza governava la teoria di prescrivere la cannabis al paziente che lo richiedeva, rappresentando una possibile “via di uscita” dopo una visita presso i nostri ambulatori, ma anche un modo per assecondare la volontà del malato stesso, pur non avendo alle spalle robuste conoscenze. Oggi il contesto è sensibilmente cambiato: la cannabis è una scelta terapeutica oculata, accurata, che va seguita e titolata più di altri farmaci. Quindi seconda regola d’oro, dopo la formazione, il tempo».
– Curiosità-driven. È un paradigma che guida la ricerca scientifica e che vale anche per la cannabis. «Stanno uscendo molti nuovi estratti – precisa Giulia Biondi – e si stanno delineando tante possibilità di applicazioni terapeutiche per la cannabis. Se da un lato, questo può aiutare a standardizzare la prescrizione, quindi i milligrammi a cui si vorrebbe/dovrebbe arrivare per garantire efficacia, o anche a definire una standardizzazione per studi clinici, dall’altro ciò può mettere in difficoltà sulla scelta per specifico paziente. Da cui la curiosità, o meglio la necessità, che deve spingere a volere conoscere cosa c’è a disposizione in tema di cannabis, come possono differenziarsi i vari preparati, al fine di giungere a una terapia doc e ad hoc, cucita il più possibile sul paziente».
Collaborazione fra esperti
È un altro punto nodale, soprattutto in caso di cannabis: l’integrazione e la condivisione fra più esperti in un paziente utilizzatore di cannabis è cruciale, in quanto l’approccio di cura è multispecialistico e multimodale.
«La collaborazione – conclude Biondi – deve strutturarsi sia in medici “senior” che impiegano la cannabis nel trattamento dei propri pazienti da anni, cui non è escluso il bisogno di uno scambio di know-how, sia in medici che si avvicinano a questa opportunità per la prima volta. E soprattutto non può mancare l’alleanza con il territorio, con l’ospedale, il medico di medicina generale, lo specialista e la farmacia, che si prendono in carico in paziente in una sinergia interrelazionale».



