L’antibiotico-resistenza non è un problema astratto né distante. È un fenomeno che sta già cambiando la medicina quotidiana e l’efficacia delle cure più comuni. In Italia, secondo l’ultimo rapporto AIFA, l’abuso di antibiotici causa ogni anno oltre 11.000 decessi. Il numero sale a 110.000 se si considerano i casi in cui l’antibiotico inefficace è una concausa.
In Europa i morti sono oltre 35.000, e quasi un terzo avviene nel nostro Paese: un primato che non vorremmo avere. La conseguenza è duplice: più malattie, più spesa. I cosiddetti “super batteri” assorbono 1,5 miliardi di euro l’anno tra costi sanitari diretti e indiretti.
Ancora più significativo è il dato sul territorio: 1,5 milioni di italiani assumono antibiotici ogni anno fuori dall’ospedale, spesso per infezioni che potrebbero essere gestite diversamente.
Perché gli antibiotici non bastano più
L’uso eccessivo e inappropriato degli antibiotici è uno dei motori principali dello sviluppo di ceppi resistenti. Non riguarda solo gli esseri umani, ma anche il settore veterinario e agricolo. Per questo l’Unione Europea ha fissato un obiettivo chiaro: ridurre del 20% il consumo totale di antibiotici entro il 2030.
Ridurre però non significa negare l’efficacia degli antibiotici quando servono — resta uno dei pilastri irrinunciabili della medicina moderna. Significa, invece, evitare prescrizioni inutili, soprattutto nelle URTI, le infezioni respiratorie alte, che nella maggior parte dei casi hanno origine virale e non richiedono antibiotici.
Il contributo possibile della medicina integrata
La letteratura internazionale suggerisce che, in alcuni ambiti, un corretto utilizzo delle CAM — Complementary and Alternative Medicines, incluse le terapie omeopatiche — possa contribuire a ridurre il ricorso agli antibiotici quando non necessari (Baars 2019).
Si tratta di un possibile supporto nei casi in cui la terapia antibiotica non è indicata, all’interno di percorsi clinici strutturati e sempre basati sull’evidenza.
Il pediatra Gianfranco Trapani, esperto in medicine complementari, ricorda quanto questo tema sia delicato in età infantile: «Il tema della resistenza agli antibiotici in età pediatrica è particolarmente delicato. I bambini tra i 2 e i 5 anni sono tra i maggiori utilizzatori di antibiotici e possono essere un serbatoio di germi, anche antibiotico resistenti, che poi circolano in famiglia. Gli antibiotici restano indispensabili quando c’è una chiara indicazione batterica, ma l’omeopatia può essere di supporto in quei casi in cui la terapia antibiotica non è indicata o può essere decisa dopo una diagnosi accurata ed un periodo di vigile attesa».
L’uso integrato, quindi, non sostituisce i farmaci convenzionali, ma può ridurre l’esposizione inutile agli antibiotici in condizioni non batteriche. Trapani aggiunge: «Le evidenze disponibili, soprattutto quelle di tipo osservazionale, suggeriscono che un uso strutturato delle medicine omeopatiche, all’interno di percorsi ben definiti di medicina basata sulle evidenze, può contribuire a ridurre il consumo di antibiotici quando non sono necessari, senza sostituirli nei casi in cui sono imprescindibili».
Verso una strategia più ampia e responsabile
La lotta all’antibiotico-resistenza non può essere delegata solo ai sistemi sanitari. Richiede informazione, prudenza, diagnosi accurate, stili di vita più consapevoli e, quando appropriato, percorsi integrati che aiutino a evitare trattamenti inutili.
Ridurre l’abuso di antibiotici non significa rinunciare alla scienza: significa rafforzarla, facendo in modo che gli antibiotici continuino a funzionare quando davvero servono.


