Agenti inquinanti, germi, l’ambiente psico-emotivo, affettivo e relazionale, le emozioni in senso più ampio. Sono alcuni dei principali fattori in grado di modulare e alterare il patrimonio genetico ereditato alla nascita. È l’effetto esposoma: un’acquisizione scientifica piuttosto recente che, sulla base dell’epigenetica, ha messo in luce l’impatto rilevante dell’ambiente sui geni, tanto da potere predisporre, a medio-lungo termine, allo sviluppo di specifiche patologie. Se ne è parlato in occasione de “I Salotti di Guna, Futuro del bambino e medicina dei sistemi: nuovi approcci terapeutici, tra ambiente e socialità”.

L’età evolutiva, la più a rischio

Il bambino è tra i soggetti più “fragili”, maggiormente sensibili a possibili danni neurologici derivanti dall’esposizione a fattori ambientali, a causa della barriera emato-encefalica non ancora matura, priva di adeguati filtri. «Le finestre biologiche, ovvero i periodi di maggiore rischio – spiega Sergio Bernasconi, professore Ordinario di Pediatra, già direttore della Clinica Pediatrica Università di Parma e Modena-Reggio Emilia – si hanno in età evolutiva: nel periodo della gravidanza, da qui l’importanza di (in)formare anche i ginecologi in un’ottica soprattutto di prevenzione, nei primi 1000 giorni di vita e nella pubertà in cui si assiste a importanti cambiamenti funzionali e biologici.

L’esposizione a fattori inquinanti ambientali, in questi periodi finestra di maggiore suscettibilità, può elevare il rischio di sviluppare specifiche patologie in età adulta, in prevalenza malattie cardiovascolari e tumori, cui si associano anche i tassi più alti di mortalità». L’associazione è indicativa del fatto che svariate malattie dell’adulto hanno radici proprio nella finestra biologica.

I fattori inquinanti

Si legano in larga parte all’ambiente fisico, in grado di influire in maniera preponderante sull’esposoma.

  • Inquinamento luminoso: vi sono sempre maggiori evidenze, da studi di biologia che alcune specie animali in contesti di privazione di luce, siano “obbligatoriamente” costrette a cambiare i cicli vitali.
  • Inquinamento acustico: secondo l’Agenzia Europea dell’ambiente, l’Italia è maglia nera per l’inquinamento acustico, dove un impatto sensibile è occupato dall’inquinamento elettromagnetico.
  • Inquinamento da air pollution: una metanalisi che tira le somme di circa un centinaio di altre metanalisi internazionali che hanno indagato la relazione ambiente-salute, dimostrerebbe che l’air pollution è responsabile di una cinquantina di condizioni patologiche, in prevalenza dell’adulto ma anche dell’età pediatrica, in misura maggiore di malattie respiratorie, e di alcune problematiche che possono insorgere in gravidanza, condizionando alcune caratteristiche biologiche del feto.

Inquinamento chimico

Oltre 7.000 lavori scientifici sono stati sviluppati sull’argomento nell’arco degli ultimi 10 anni; da essi si evince un impatto importante dell’inquinamento chimico sugli interferenti endocrini. «Si tratta di sostanze in gran parte utilizzate nel materiale plastico, tra queste Bisfenolo A, ftalati per conferire maggiore flessibilità, resistenza – prosegue Bernasconi – sebbene si trovino anche in pesticidi, cibi contaminati, nella composizione di alcuni packaging, nei ritardanti di fiamma, nell’edilizia.

Vengono definiti interferenti endocrini perché lavori scientifici hanno dimostrato un’azione sui recettori di specifici ormoni, favorendone l’alterazione. Ad esempio un grosso studio sembra sottolineare la corresponsabilità nell’indurre, in età fetale, una alterazione nella formazione e morfogenesi dell’apparato genitale maschile. Vi sono, inoltre, evidenze di influenze anche sugli ormoni tiroidei ed altri e più di recente è emersa una loro azione a livello metabolico»

Studi di letteratura in cui sono stati enucleati sottocategorie di interferenti endocrini farebbero osservare un’azione di lipogenesi, ovvero sulla formazione di tessuto adiposo, qualificandoli come una concausa dell’obesità da cui la definizione di obesogeni.

Inquinamento da farmaci

Enorme quantità di farmaci dispersi nell’ambiente e depuratori insufficienti a ripulire al 100% dalle tossine rilasciate sono causa dell’inquinamento da farmaci, di cui estroprogestinici, antibiotici, farmaci psichiatrici/di equilibrio psichico sono i maggiormente presenti nell’ambiente. «Gli effetti dei farmaci – commenta Bernasconi – sono stati studiati sui pesci in cui si è osservata la capacità di mutare alcuni comportamenti, ad esempio la perdita di interesse sessuale a seguito di meccanismi neuromodulazione, simili a quelli dell’uomo. Infine gli antipiretici, in particolare paracetamolo e ibuprofene: esistono ampie dimostrazioni che ambedue, se presenti nell’ambiente, possono avere una interferenza endocrina, almeno a livello animale».

Da ultimo non è da sottovalutare che i farmaci dispersi nell’ambiente possono creare o accentuare l’antibiotico-resistenza, tra i maggiori rischi epidemiologici. Vero è, infatti, che nella maggior parte delle forme infettive nel bambino, l’antibiotico viene dato come medicina difensiva o per passa parola.

L’impatto sul feto

Recenti studi avvalorerebbero la tesi che gli interferenti endocrini siano in grado di influenzare anche il neurosviluppo del feto. L’attenzione in questa direzione è oggi rivolta soprattutto ai potenziali effetti sulle due patologie psichiatriche maggiori in età pediatrica: lo spettro autistico e l’ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività), in cui l’impatto ambientale potrebbe essere una concausa.

«Il tema è molto dibattuto – prosegue l’esperto – in quanto le agenzie normative non considerano gli interferenti endocrini pericolosi fino a una certa soglia. Tale “affermazione” non convince i ricercatori, in quanto il riferimento-soglia è riferito alla singola sostanza, non alla miscela. Essendo tali sostanze ubiquitarie è presumibile il contatto con più di una di queste, da qui la necessità di stabilire un livello soglia totale di rischio, stimato anche in funzione dell’età, quella dell’adulto è differente da quella del lattante.

Nel bambino, soprattutto nei mille giorni di vita, i sistemi di detossificazione non sono così attivi, per via di barriere intestinali e ematoencefaliche non ancora altamente filtranti, senza considerare che il lattante in rapporto alla sua superficie corporea e al peso, ha una capacità respiratoria e cardiologica nettamente superiore all’adulto, quindi con l’introduzione delle sostanze presenti nell’aria in quantità molto superiore». Si pone quindi la necessità di definire protocolli e principi cautelativi in queste fasce più a rischio.