Oggi 25 novembre, ricorre la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. In quest’occasione, la a Società Italiana dei Medici di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG) richiama l’attenzione sul ruolo che possono ricoprire gli ambulatori dei Medici di famiglia. 

Il ruolo degli ambulatori

Il lavoro del Medico di Medicina Generale si contraddistingue per prossimità, continuità assistenziale e conoscenza diretta dei contesti familiari: questo permette di percepire eventuali sintomi di una violenza fisica ma anche di controllo economico, manipolazione psicologica, restrizione dell’autonomia, pressione sulla sfera riproduttiva con fenomeni come complicanze ripetute, basso peso alla nascita o gravidanze molto precoci. 

Dinamiche che raramente emergono spontaneamente ma che possono essere individuate precocemente negli ambulatori dei medici di famiglia.

«I medici di famiglia non vedono solo i sintomi, ma anche le storie – sottolinea Camilla Mandatori, Medico di Medicina Generale ad Aosta, membro SIMG In molte situazioni è proprio la relazione costruita negli anni a permettere di cogliere ciò che non viene detto. I segnali delle violenze spesso non sono eclatanti: una paziente che si presenta sistematicamente accompagnata e lascia al partner la gestione del colloquio; uno sguardo che sfugge, risposte esitanti, un atteggiamento che trasmette insicurezza o paura. A questi segnali relazionali si aggiungono quelli clinici: contusioni o fratture spiegate in modo incoerente, ematomi in fasi diverse di guarigione, disturbi ricorrenti come cefalee, dolori addominali, capogiri, sensazione di soffocamento, per i quali non emerge una causa organica. Anche insonnia, abuso di psicofarmaci, depressione o un tono dell’umore instabile possono rappresentare indicatori da non sottovalutare. Naturalmente, un solo elemento preso singolarmente non costituisce una diagnosi, ma l’insieme di diversi segnali ci deve imporre un sospetto, che può cambiare la traiettoria della vita di una donna».

Camilla Mandatori, Medico di Medicina Generale ad Aosta

«I MMG devono imparare a chiedere di più, usando allo stesso tempo competenza e cautela, poiché possono far emergere un quadro rimasto taciuto per anni – spiega Alessandro Rossi, presidente SIMG – La crescente presenza femminile nella professione – oltre il 50% dei medici italiani e circa il 40% dei MMG – contribuisce a creare contesti di maggiore confidenza. Ma la componente decisiva resta la formazione, a cui SIMG sta lavorando: bisogna riconoscere gli indicatori, sapere come affrontare la conversazione, conoscere i percorsi sul territorio e collaborare con centri antiviolenza, consultori e servizi sociali. La violenza sulle donne resta un fenomeno in larga parte sommerso e il medico di famiglia è uno dei pochi professionisti che può scoprirne lo strato invisibile, prima che sia troppo tardi. Dobbiamo pensare il nostro ambulatorio come uno spazio sicuro anche sotto questo punto di vista, dove la donna possa essere ascoltata e accompagnata verso un percorso di protezione».

Alessandro Rossi, presidente SIMG

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