Multifattoriale, multidistrettuale, subdola. L’inquadramento diagnostico dell’endometriosi, patologia che colpisce all’incirca il 10-15% delle donne in età fertile, è complesso. Complice diversi fattori: le manifestazioni aspecifiche e multisistemiche, spesso mascherate da sintomi comuni, quali dolore mestruale, dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali, possibile overlapping con disturbi urinari, intestinali, o gastrointestinali.
A ciò si aggiunge l’assenza di biomarcatori diagnostici e/o esami specifici che ne consentano una caratterizzazione certa o comunque una diagnosi differenziale rispetto ad altre condizioni patologiche simili, anche dal punto di visita sintomatologico, ma meno gravi rispetto all’endometriosi. Anche la presa in carico dell’endometriosi non è sempre ottimale con tendenza, al sospetto di malattia, a curare il sintomo riferito dalla paziente, piuttosto che a indagare, e quindi a trattare, il trigger a valle della patologia che potrebbe dipendere da origini e cause diverse.
Queste implicazioni impattano sul ritardo diagnostico, stimato anche tra 7 e 10 anni, con conseguenti ricadute, in termini di outcome ingravescenti sulla paziente: cronicizzazione del dolore, aumento dei livelli di infiammazione sistemica generalizzata, incremento del rischio di infertilità, fra le principali conseguenze.
È necessario un nuovo paradigma di cura dell’endometriosi: un approccio personalizzato, integrato, multidisciplinare, governato da una medicina empatica, basata sull’ascolto e l’attenzione alle varie implicazioni della malattia, immunologiche, metaboliche, psicologiche e cliniche. Il tema è stato affrontato nel corso dell’evento “Endometriosi, microbiota e alimentazione”, da Francesco De Seta, ostetrico-ginecologo, Renata Alleva e Beatrice Venturi, biologhe nutrizioniste.
Fondamentale l’anamnesi
Indagini di tipo strumentale, l’ecografia e la risonanza magnetica, con un netto passaggio da un approccio di cura di tipo medico, non chirurgico, rispetto all’interventistico di solo pochi anni fa, e la ricostruzione accurata della “mappa sintomatologica del dolore”, legato cioè a disturbi intestinali e vescicali, sono strumenti preziosi che possono aiutare a ridurre l’attuale ritardo diagnostico, spesso causa della metamorfosi del dolore da sintomo acuto a cronico.
La diagnosi precoce nell’endometriosi, dipendente in molti casi un uno stato infiammatorio, cronico, multidistrettuale, è cruciali nel ridurre fino a bloccare i danni correlati all’infiammazione stessa. Primo diagnosta nell’identificare/sospettare l’endometriosi è il ginecologo, ma nella presa in carico della patologia sono chiamati in causa anche altre figure professionali altrettanto importanti: il nutrizionista, in primo luogo, per il ruolo emergente che sta acquisendo anche il microbiota intestinale, vaginale e endometriosico nella determinazione della patologia. La corretta alimentazione può infatti contribuire a ridurre lo stato infiammatorio, alla base dell’endometriosi, quindi a ridurre il dolore cronico.
Fondamentale è anche lo psicologo: l’endometriosi può associarsi allo sviluppo anche di disturbi dell’umore, quali ansia, depressione, in prima istanza. La gestione dell’endometriosi, quindi, deve essere “integrata” fra più discipline, più esperti, più opzioni di trattamento e sartorializzata sulla paziente, sui suoi bisogni, i sintomi, i livelli di infiammazione localizzata e sistemica.
La relazione microbiota intestinale, vaginale, estrogeni e infiammazione
La triade è strettamente correlata: l’endometriosi è, infatti, una patologia infiammatoria ed estrogeno dipendente, dove sempre più studi sembrano dimostrare il coinvolgimento, importante, del microbiota intestinale nel governo dell’infiammazione, del metabolismo degli estrogeni e dell’immunità, quindi con un ruolo chiave nella patogenesi dell’endometriosi.
Studi evidenziano che la composizione del microbiota intestinale è differente nelle donne con patologia che presentano un enterotipo dominato da proteobatteri, aumentati livelli di Escherichia Coli e diminuzione di batteri buoni tra cui Bifidobatteri e Lactobacilli e/o batteri produttori di butirrato come i Faeclibacterium. Ulteriore aspetto che correla l’endometriosi all’infiammazione è la presenza di livelli più bassi di acidi grassi a catena corta, fra cui il butirrato, noto per le sue proprietà antinfiammatorie e in grado, da studi di letteratura, anche di inibire la sopravvivenza e la crescita di cellule endometriosiche ectopiche e di citochine proinfiammatorie.
Infine, la correlazione endometriosi-estrogeni lega al fatto che il microbiota ne regola il metabolismo tramite l’estroboloma, che nelle donne con patologia risulta alterato. Questo stato di disbiosi favorisce la maggiore permeabilità intestinale a sua volta associata alla traslocazione di prodotti batterici, come i lipopiolisaccaridi nel circolo sanguigno, che vanno a stimolare alcuni fattori di infiammazione, tra cui IL(Interluchina)-8, IL-6, TNF-alfa. Non è invece dimostrata una chiara correlazione, secondo il concetto di plausibilità biologica, tra disbiosi vaginale, disbiosi intestinale e endometriosi, mentre studi recenti starebbero dimostrando un ruolo della mestruazione retrograda.
Vi sarebbe evidenza che alcuni specifici batteri risalendo dalla vagina verso l’alto possano favorire una disbiosi vaginale alimentando la presenza di microrganismi aerobi, come Escherichia Coli, o di batteri anaerobi, tra cui Gardnerella, favorendo il rischio di sviluppo di vaginiti e vaginosi. Mentre, a livello di microbiota intestinale, alcuni studi attesterebbero che l’aria e i cibi consumati tramite l’interazione di perturbanti endocrini, possano determinare un accorciamento della distanza ano-vagina, quindi il collegamento tra intestino e apparato genitale, potenziale causa di sviluppo della lip gut syndrome (Sindrome dell’Intestino Irritabile).
Il ruolo e il concetto di estroboloma
L’estroboloma, ovvero l’insieme dei geni che codificano per alcuni enzimi con un potenziale ruolo nella metabolizzazione degli estrogeni, potrebbe contribuire a mantenere i livelli elevati di estrogeni o, viceversa, a promuoverne l’eliminazione attraverso urina e feci.
In questo contesto il microbiota svolge un ruolo cruciale; alcuni batteri, prevalentemente Gram- e alcuni Gram+, avrebbero infatti la capacità di esprimere e sintetizzare la glucosidasi, attivata da una classe di enzimi che inibiscono la coniugazione con acido glucuronico nel fegato degli estrogeni, favorendone l’eliminazione.
In stato di disbiosi, il processo alterato, sostiene l’iperestrogenismo, quindi l’infiammazione: il meccanismo, secondo alcuni studi, non solo promuoverebbe l’endometriosi, ma anche il possibile aumento del numero di lesioni. Fondamentale è dunque riequilibrare l’intestino per riequilibrare la patologia: l’alimentazione ha un ruolo chiave.
L’importanza della nutrizione
Una dieta corretta, nel suo complesso, non un singolo alimento, personalizzata sulle necessità della singola paziente, può contribuire a modulare in maniera efficace il microbiota, potenziandone gli effetti anti-infiammatori. In linea generale, seppure da valutare sul singolo caso, sono da previlegiare:
– Le fibre. Svolgono una importante azione prebiotica, grazie alla produzione di acidi grassi a corta catena (butirrato, acetato, propionato), promuovendo effetti antinfiammatori a livello intestinale e sistemico, riduzione dei marker di infiammazione e il possibile aumento dell’escrezione degli estrogeni. Poiché l’introduzione di fibre in alcune pazienti potrebbe impattare sulla presenza di sintomi intestinale, è cruciale l’introduzione delle stesse con gradualità, lavorando dapprima sul riequilibrio del microbiota e dell’infiammazione intestinale e poi sulla dieta.
– Alimenti a base vegetale. Studi dimostrerebbero che una dieta più ricca di alimenti vegetali abbia la capacità di ridurre durata e gravità del dolore.
– Acidi grassi Omega 3. Hanno effetti inibitori sull’endometriosi, diminuiscono i livelli di infiammazione e partecipano alla riduzione citochine e prostaglandine pro-infiammatorie e di batteri produttori di lipopolisaccaridi, come Escherichia Coli ad esempio. Fondamentale è valutare il rapporto tra acidi grassi Omega 3 e Omega 6, spesso alterato a favore dei secondi nelle donne con endometriosi, e che rappresentano un trigger per l’aumento dell’infiammazione cronica.
Possono avere un ruolo di supporto anche alcuni integratori che vanno anch’essi personalizzata sulla paziente. Tra questi:
– Vitamina (Vit.) D. Svolge una azione anti-infiammatoria e immunomodulante, favorendo la riduzione del dolore cronico. Studi di letteratura sembrano rilevare un maggior rischio di endometriosi in donne in cui i livelli di Vit. D sono carenti.
– Vitamine del gruppo B. In particolare la carenza di B1 sembra associata a dismenorrea. Pertanto può essere indicata l’integrazione in forma metilata attiva, come anche di Vit. B2 (riboflavina), che contribuire e supporta il normale metabolismo del ferro.
– Probiotici. Questi sono noti per le loro proprietà antinfiammatorie e l’efficacia nella risposta immunitarie. Anch’essi vanno modulati sulla paziente, ad esempio sono indicati probiotici ricchi di Bifidobatteri in donne che presentano stipsi a fronte di quelli ricchi di Lactobacilli in pazienti in cerca di gravidanza o avviate a un percorso di PMI (Procreazione Medicalmente Assistita).
Attività fisica e gestione dello stress
Si ipotizza che lo stress, determinando l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi, correlato alla gestione dello stress stesso, possa impattare su intestino e apparato genitale favorendo l’iperproduzione di modulatori attivi e metaboliti. Questi da un lato tendono a diminuire acidi a catena corta, come butirrato, miochine o interluchine antinfiammatorie, come IL-10, ma possono anche aumentare Il-6 o IL-8, ad azione proinfiammatorie, quindi supportando l’alterazione di risposta allo stress e la una sintomatologia associata.
Studi sembrano dimostrare una correlazione tra permeabilità intestinale e risposta allo stress su cui potrebbero agire positivamente mindfulness, yoga, un supporto psicologico. Preziosa anche l’azione dell’attività fisica che può contribuire a modulare l’infiammazione e ad attivare una migliore risposta metabolica. Tali terapie integrate vanno inserite in un contesto di tradizionali approcci farmacologici per l’endometriosi e di vita sana.


