Emerge un nuovo ruolo del microbiota intestinale nella prevenzione dell’osteoporosi postmenopausale (PMOP), dovuta e associata come noto alla diminuzione degli estrogeni, quindi alla depauperazione dell’osso. Un evento che potrebbe essere contenuto, secondo recenti studi, di cui uno pubblicato su Frontiers of Medicine, tramite il supporto, in affiancamento a terapie tradizionali, di diete mirate e personalizzate e il ricorso a probiotici: “strumenti” complementari capaci di riportare in equilibrio i batteri intestinali e i prodotti della loro fermentazione, aumentando in particolare la produzione degli acidi a catena corta (SCFA), coinvolti nei meccanismi che influenzano la salute dell’osso.

Il legame fra microbiota intestinale, salute dell’osso e intestino

Un trinomio indissolubile, dall’effetto domino: la menopausa determina, infatti, un rapido calo degli estrogeni, responsabili sia della perdita di massa ossea così come di un aumento della permeabilità dell’intestino. Un evento avverso che porta a una maggiore e più facile passaggio di sostanze pro-infiammatorie come il lipopolisaccaride (LPS), un componente della parete dei batteri patogeni, e di cellule immunitarie attivate dall’intestino al midollo osseo.

Le ultime evidenze scientifiche sembrano dimostrare che il microbiota intestinale e i suoi metaboliti possono regolare il metabolismo osseo attraverso l’asse intestino-osso e l’asse intestino-cervello ed in particolare che la PMOP si associ alla disbiosi del microbiota intestinale e allo squilibrio Th17/Treg. Stabilendo così un ulteriore importante legame: il microbiota intestinale è, infatti, strettamente correlato allo sviluppo e alla differenziazione delle cellule Treg e Th17.

Specificatamente i metaboliti del microbiota intestinale, come gli acidi grassi a catena corta (SCFA), possono regolare la differenziazione delle cellule T effettrici agendo sui recettori molecolari presenti sulle cellule immunitarie, favorendo e regolando così il processo immunitario osseo. Nel corso di esperimenti su modelli animali si sarebbe osservato, ad esempio, un aumento della produzione di citochine infiammatorie, tra cui IL-17, TNF-α e RANKL, che stimolano gli osteoclasti, le cellule responsabili della distruzione del tessuto osseo. Dall’altro vi sarebbe dimostrazione che modelli animali privi di microbiota intestinale o di cellule T non manifestano perdita di massa ossea dopo la rimozione chirurgica delle ovaie (ovariectomia): da qui la relazione dell’asse intestino–immunità–ossa. Ciò fa ritenere che la regolazione di questo equilibrio potrebbe offrire nuove opportunità per il trattamento della PMOP.

Il microbiota intestinale in donne con osteoporosi

Minore diversità microbica, specificatamente bassa alpha-diversità, incremento dei batteri della famiglia phylum Firmicutes, ovvero dei pathobionti, batteri patogeni come Klebsiella, Escherichia e Clostridium, che favoriscono l’infiammazione sistemica, diminuzione dei batteri del phylum Bacteroidetes, soprattutto Butyricicoccus, Fusicatenibacter e Prevotella histicola, batteri buoni che favoriscono la produzione di SCFA, butirrato e propionato, benefici per la salute intestinale e ossea. Sono alcuni aspetti che sembrano differenziare il microbiota intestinale di donne con osteoporosi rispetto a quello di donne sane.

Sotto l’aspetto clinico, questo squilibrio correla con i livelli ematici di marcatori del metabolismo osseo (ad esempio C-telopeptide e osteocalcina) e la densità minerale ossea (BMD) a livello dell’anca. Un ulteriore elemento che sottolinea come la composizione del microbiota intestinale potrebbe rappresentare un possibile biomarcatore per l’osteoporosi, fino a diventare un potenziale bersaglio terapeutico.

Gli approcci terapeutici

Ristabilire l’integrità intestinale costituisce una importante sfida per la ricerca che ha sta vagliando alcune possibili ipotesi come il trapianto fecale da donatori sani. Questa soluzione avrebbe dimostrato una potenziale efficacia in topi ovariectomizzati, che “mimano” un modello animale dell’osteoporosi postmenopausale, con il ripristino dell’integrità della barriera intestinale, della risposta immunitaria tra cellule Th17 (pro-infiammatorie) e Treg (regolatorie) tanto nell’intestino quanto nel midollo osseo: se tali effetti fossero confremati si aprirebbe ad esempio una opzione per la prevenzione della perdita di osso trabecolare.

In alternativa, si sta valutando anche l’impiego di probiotici ed in particolare l’assunzione di Lactobacillus rhamnosus. L. reuteri e Bifidobacterium longum, ceppi che sembrano favorire il rafforzamento delle giunzioni strette tra le cellule intestinali, grazie all’aumento delle proteine ZO-1 e occludina, il ridotto il passaggio di lipoliposaccaridi (LPS), a fronte di un aumento delle citochine antinfiammatorie come IL-10 e TGF-β, di osteoprotegerina, proteina che inibisce l’attività degli osteoclasti. Una chiave cruciale in questo processo sembra essere il Lactobacillus, l’acido lattico, il quale tramite la lattilazione degli istoni, contribuirebbe alla differenziazione delle cellule staminali del midollo osseo verso gli osteoblasti, le cellule che formano nuovo tessuto osseo.

Una nuova frontiera terapeutica

In buona sostanza, approcci dietetici tali da implementare la produzione dei SCARF potrebbero profilarsi come una efficace strategia a supporto della prevenzione e trattamento dell’osteoporosi postmenopausale.

Ad esempio, regimi alimentari ricchi di fibre fermentabili in grado di aumentare i livelli di acetato e butirrato, prevenendo la perdita ossea indotta da ovariectomia, favorendo in parallelo la maggiore efficacia di calcio e Vitamina D. Al pari, si sarebbero dimostrati sinergici anche i probiotici: uno studio clinico durato un anno evidenzierebbe un lieve aumento della densità ossea a livello della colonna lombare, mentre formulazioni multiceppo avrebbero ridotto i marker di turnover osseo, senza impattare sulla BMD (bone mineral density).

Ulteriori studi saranno necessari per definire i dosaggi efficaci e sicuri e le porzioni ottimali di SCFA per la prevenzione della perdita ossea e stimarne il ruolo integrato con farmaci anti-riassorbitivi o anabolici. Una valutazione che potrebbe essere favorita da studi di ricerca che impieghino un approccio integrato, ovvero che combini metagenomica (studio del DNA microbico), metabolomica (analisi dei metaboliti) e immuno-fenotipizzazione (profilazione delle cellule immunitarie), permettendo così di strutturare interventi personalizzati sulla specificità del microbioma, quindi in grado di migliorare la salute delle ossa, a supporto degli attuali trattamenti farmacologici.

Fonte

Chen Y, Xie Y, Yu X. Progress of research on the gut microbiome and its metabolite short-chain fatty acids in postmenopausal osteoporosis: a literature review. Frontiers of Medicine, 2025, Vol. 19, Pages 474-492.