L’inquinamento atmosferico non risparmia neanche le vie aree superiori, a rischio per lo sviluppo di infiammazione, a sua volta associata a patologie tipiche come asma, rinite allergica e tosse cronica, e disidratazione. Eventualità sensibilmente maggiori in presenza di aria secca, pertanto l’impatto generato sulle vie respiratorie è stimato in aumento a causa del surriscaldamento globale.
Lo suggerisce un recente studio della Johns Hopkins University di Baltimora, Stati Uniti, finanziato dal National Institutes of Health degli Stati Uniti, e pubblicato su Communication Earth&Environment.
Le evidenze e background
Non occorrerebbe essere già esposti a patologie del tratto respiratorio o presentare eventuali fattori di rischio. L’attuale contesto climatico sembra poter esporre anche persone sane alla possibilità di manifestare nel tempo problematiche delle vie aeree superiori.
L’evento si assocerebbe a uno specifico meccanismo d’azione: il riscaldamento dell’atmosfera, quindi dell’aria, produrrebbe un rapido aumento dell’umidità relativa, ovvero del deficit di pressione di vapore (VPD) determinato dal rapporto tra la quantità di umidità presente nell’aria e la quantità di umidità che l’aria può trattenere, quando è satura. Tanto più il VPD è maggiore, tanto più elevato è il tasso di evaporazione dell’acqua, responsabile della disidratazione degli ecosistemi.
Sulla base di queste premesse, rilevate nel globo, i ricercatori americani hanno voluto indagare la possibilità che il fenomeno della traspirazione, quindi della perdita d’acqua, fosse applicabile anche al muco delle vie aeree superiori, laddove esistano ambienti con aria secca.
Lo studio
Per testare l’ipotesi, i ricercatori americani hanno dunque avviato esperimenti in vitro esponendo le cellule dell’epitelio bronchiale, la membrana che riveste le vie aeree superiori, all’aria secca al fine di “misurare” eventuali alterazioni dello spessore del muco e lo sviluppo di risposte infiammatorie.
È stato così possibile osservare in cellule rimaste a lungo in ambienti con aria secca con un elevato deficit di VPD, due reazioni: un assottigliamento progressivo dello strato di muco (del 5%, 35% e 58%) quando esposte ad aria con gradi di secchezza in costante aumento (umidità relativa del 95%, 60% e 30% a 37 °C) e un incremento delle concentrazioni di citochine infiammatorie, specificatamente TNF-α, IL-33 e IL-6.
Tali evidenze si sarebbero attestate anche in un modello animale: topi sani e topi con secchezza preesistente delle vie aeree, farebbero osservare entrambi la comparsa di malattie respiratorie croniche, dopo una settimana di esposizione ad aria secca intermittente. Nello specifico, in topi con un fenotipo muco-infiammatorio dopo circa 14 giorni di esposizione a questo “microclima” avrebbero mostrato alterazioni istopatologiche e degli infiltrati infiammatori, un indicatore di elevata risposta infiammatoria, non rilevata invece in topi esposti solo all’aria umida.
In conclusione
I risultati suggeriscono che tutte le mucose, inclusa quella oculare, sono a rischio in ambienti disidratanti, con potenziale sviluppo di patologie tipiche.
Fonte
Edwards DA, Edwards A, Li D et al. Global warming risks dehydrating and inflaming human airways. Communication Earth&Environmnt, 2025, 6, Article 193