L’Italia continua a scalare le classifiche internazionali della longevità, ma con un rovescio della medaglia che preoccupa: la qualità della vita in età avanzata è in calo e cresce il numero di anziani soli, fragili e con difficoltà ad accedere ai servizi essenziali. È da queste premesse che ha preso il via il Simposio: “Vivere 100 anni: Longevità e Invecchiamento”, promosso e ospitato dall’Università Europea di Roma lo scorso 9 luglio. Un’occasione in cui medici, psicologi, filosofi, bioeticisti e scienziati si sono confrontati cercando soluzioni perché una vita lunga possa diventare anche una vita in salute.

Italiani e longevità

In base ai dati Istat, l’Italia è il secondo Paese più longevo al mondo dopo il Giappone. Già oggi oltre un quarto della popolazione è over65 e nel giro di pochi anni questa percentuale andrà ad aumentare ulteriormente, con circa 1 italiano su 3 che avrà superato questa soglia di età. Su questi risultati pesa sicuramente la genetica ma, ancor di più, fattori legati all’ambiente, all’alimentazione, all’inquinamento e agli stili di vita.

L’intervista al Professor Greco

«Lo stile di vita italiano, tipicamente mediterraneo favorisce la longevità; a ciò si aggiunge che il nostro SSN, con prevenzione e terapie innovative, è in grado di migliorare lo stato di salute di una popolazione più anziana» ha spiegato il Professor Ernesto Greco, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Europea di Roma e promotore del Simposio.

Ad oggi, stando ai dati Istat, un 65enne ha 20 o più anni davanti a sé in termini di aspettativa di vita; al contempo però l’aspettativa di vita in autonomia risulta essere in media di 10 anni. «Questo vuol dire che siamo stati bravi ad allungare la sopravvivenza dei pazienti ma ancora non abbastanza nel creare un sistema logistico, sociale e di controllo delle malattie croniche che consenta agli anziani di mantenere la propria autonomia più a lungo» ha proseguito il Direttore del Dipartimento di Scienze della Salute e della Vita dell’Università Europea di Roma, per quindi aggiungere: «In realtà questo è normale: prima si allunga la vita e poi la società riesce a trovare strategie volte anche a migliorarla. C’è quindi oggi un importante gap tra ‘Lifespan’ e ‘Healthspan’, cioè aspettativa di vita vs aspettativa di vita in buona salute; un gap che pone interrogativi e riflessioni in termini di sostenibilità ma anche di tipo morale ed etico».

Rallentare l’invecchiamento e garantire dignità e benessere cognitivo

Gli interventi da mettere in campo sono dunque a 360°, a partire da due tasselli essenziali. Da una parte risulta fondamentale «identificare marcatori affidabili per sviluppare terapie capaci di rallentare o invertire l’invecchiamento cellulare», come richiamato nel keynote di Andrea Cipriano, Faculty instructor presso la Stanford School of Medicine, che ha presentato le ultime ricerche sui biomarcatori dell’invecchiamento, tra cui spiccano gli interventi epigenetici in grado di consentire un ringiovanimento cellulare senza incidere sul DNA. Dall’altro, occorre però garantire dignità e benessere cognitivo all’anziano attraverso una sua inclusione e valorizzazione. In tal senso, Alberto Carrara, Professore di Filosofia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e Claudia Navarini, Professore ordinario di Filosofia Morale dell’Università Europea hanno sottolineato che «gli anziani non sono un peso per la società, ma una risorsa preziosa».

Integrare sociale e sanitario promuovendo investimenti

Partendo da queste premesse è innanzitutto essenziale «far seguito al grande investimento che si continua a fare per la sanità – per offrire più cure, più tecnologie, spesso molto care, che permettono di salvare più pazienti e pazienti sempre più anziani – anche per la presa in cura di soggetti che magari non sono più pazienti ma semplicemente soggetti che necessitano di essere accompagnati nel percorso» ha sottolineato il Professor Greco. Un’esigenza questa oggi sempre più presente: se è vero che prima gli ultracentenari facevano notizia, oggi sono oltre 22mila, un numero che tra soli 10 anni potrebbe essere triplicato o quintuplicato. Soggetti che però, in molti casi, non hanno più un contesto relazionale o familiare di riferimento in quanto ‘sopravvissuti’.

«Al progresso della medicina e della chirurgia – che con tecniche innovative è sempre meno invasiva e quindi più sostenibile anche per i ‘grandi anziani’ – deve dunque essere affiancato un supporto sociale e logistico che permetta realmente di godere di quella vita in più che viene concessa. In questo senso iniziative di istituzioni Governative di recente attivazione come il CIPA –Comitato Interministeriale per le Persone Anziane, sono volte esattamente a studiare questi percorsi virtuosi di assistenza e valorizzazione di questa fetta importante della Società che dovrà sempre di più essere una risorsa, un vero ammortizzatore sociale del paese e portatrice di esperienza e conoscenza».

Il dramma della solitudine degli anziani

Questo rappresenta oggi una grande scommessa: basti pensare che molti anziani soffrono di solitudine e depressione, con ripercussioni che impattano negativamente anche sulla loro condizione fisica.

Anche se dopo i 65 anni si supera la fase di rischio per lo sviluppo di malattie psichiatriche, a meno che non si entri in una fase di deficit cognitivo o malattia di Alzheimer – come evidenziato nel corso del simposio da Benedetto Farina, Psichiatra e Professore ordinario di Psicologia Clinica presso l’UER – molto spesso dolori o deficit funzionali manifestati dagli anziani sono in realtà richieste: di attenzione, presenza, ausilio che, in assenza di risposte, portano alla depressione e alla dipendenza da una terapia farmacologica, con un impatto chiaramente negativo sull’esistenza.

Puntare a mantenere uno stato funzionale attivo e coinvolgere l’anziano in attività

«La prima cosa da fare con un anziano è migliorare il suo stato funzionale. Difatti quanto più è anziana una persona tanto maggiore è la possibilità che abbia delle malattie croniche, siano esse cardiache, respiratorie, metaboliche o di altro tipo. Il primo obiettivo è dunque preservare lo stato funzionale; l’altro, non meno importante, è creare condizioni perché possa sentirsi un soggetto utile per la società. L’anziano va coinvolto perché può apportare moltissimo, nei limiti delle proprie attività funzionali» ha sottolineato il Professor Greco.

Alcuni strumenti utili a ridurre il gap ‘Lifespan’ vs ‘Healthspan’

Le case per anziani e i circoli per anziani, in particolare all’estero, rappresentano luoghi di aggregazione a carattere diurno, non residenziale, deputati ad attività sociali, relazionali, di scambio di esperienze. «Occorre quindi partire da investimenti strutturali e logistici, che possano facilitare la vita dell’anziano nel suo quotidiano, rendendolo al contempo meno solo. Telemedicina, teleassistenza e teleconsulto permettono, in tal senso, di essere presenti costantemente, anche se a distanza. Non dovrebbero esistere momenti di vuoto e solitudine prolungata. Una delle principali barriere è però rappresentata dall’analfabetismo digitale di una importante fetta di popolazione anziana. «Promuovere progetti di alfabetizzazione digitale, potrebbe, unitamente a quanto evidenziato in precedenza, rappresentare un passo importante verso una maggiore inclusione della popolazione anziana che, innescando un circolo virtuoso, potrebbe ridurre i costi sanitari per farmaci e ricoveri e rappresenterebbe un ulteriore ponte tra diverse generazioni». È dunque necessario attuare processi e percorsi differenti alla luce dell’inarrestabile evoluzione demografica in atto. «Allungare la vita deve andare di pari passo con la capacità della società di garantire servizi, relazioni e dignità» ha concluso il Professor Ernesto Greco.