La demenza, inclusa la malattia di Alzheimer, interessa in Italia oltre 1 milione di soggetti con preoccupanti stime di crescita che potrebbero traguardare i 2,5 milioni entro il 2040 e con un burden assistenziale estremamente significativo sia per il SSN che per le famiglie, sovente i primi soggetti coinvolti nell’assistenza.
I fattori di rischio modificabili per ridurre il rischio di demenza
Esistono, tuttavia, dei fattori di rischio potenzialmente reversibili che possono ridurre la possibilità di sviluppare demenza. Stando ai dati di un rapporto redatto dalla Lancet Commission, 14 fattori di rischio evitabili – inattività fisica, fumo, eccessivo consumo di alcol, lesioni alla testa, contatti sociali poco frequenti, obesità, ipertensione, diabete, depressione, disturbi dell’udito, perdita della vista non trattata ed elevato livello di colesterolo LDL, insieme a scarsi livelli di istruzione e all’esposizione all’inquinamento atmosferico – potrebbero ridurre del 45% i casi di demenza previsti a livello globale entro il 2050 – evitandoli o ritardandone comunque l’insorgenza.
La prevenzione rappresenta, quindi, una strategia cruciale, anche per la demenza. È quanto emerso da un webinar organizzato lo scorso 15 luglio da Federazione Alzheimer Italia “Demenza: possiamo parlare di prevenzione? Dialogo tra un neurologo e un ricercatore immunologo” che ha visto dialogare il neurologo Simone Salemme, consulente dell’Istituto Superiore di Sanità per progetti di sanità pubblica riguardanti demenza e salute cerebrale, e Davide Mangani, ricercatore immunologo dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina di Bellinzona, moderati da Francesca Arosio, psicologa e psicoterapeuta che da molti anni collabora con la Federazione Alzheimer.
L’importanza della prevenzione
I fattori di rischio che predispongono all’insorgenza della demenza si concentrano prevalentemente nell’età adulta e tra gli anziani, anche se il primo fattore di rischio reversibile si presenta già nei primi anni di vita. Una minore educazione culturale o scolastica aumenta difatti il rischio del 5%. Nella vita adulta, i due fattori di rischio a maggiore impatto sono i livelli elevati di Colesterolo LDL e la perdita dell’udito che pesano entrambi per un +7%. A concorrere tuttavia anche la depressione, i traumi cerebrali, l’inattività, il fumo, il diabete, l’ipertensione, l’obesità e l’eccessivo consumo di alcol.
Per gli anziani il nemico ‘numero 1’ è, invece, rappresentato dall’isolamento sociale, seguito dalla perdita della vista e dall’inquinamento atmosferico.
Azzerando tutti questi fattori di rischio, sarebbe quindi possibile ridurre il rischio di demenza del 45%, attraverso scelte individuali e politiche sociali.
A conferma di ciò, uno studio danese condotto su gemelli omozigoti ha evidenziato che l’80% dell’aspettativa di vita media di un individuo è dettata dagli stili di vita.
Imparare dalle best practice: cos’hanno in comune le popolazioni delle zone blu del mondo
In alcune aree del mondo – Sardegna, Ikaria (Grecia), Nicoya (Costa Rica), Loma Linda (USA) Okinawa (Giappone) – vivono le popolazioni più sane e longeve del mondo. Ma cos’hanno in comune tra loro?
Gli abitanti delle zone blu sono accomunati da uno stile di vita attivo, da una forte integrazione nella vita di comunità all’interno delle quali hanno uno scopo, da un’alimentazione mai eccessiva, concedendosi un bicchierino di vino rosso ai pasti con amici e parenti e mettendo i cari al primo posto. Partendo da questi spunti, è quindi essenziale: condurre una vita attiva, con almeno 150 minuti settimanali di attività fisica moderata, non fumare, mantenere un consumo di alcol moderato, adottare una dieta mediterranea o vegetale, leggere, visitare musei, fare le parole crociate, tutte attività cognitive queste ultime che forniscono stimoli al cervello, mantenendolo in salute.
È poi importante ridurre lo stress, assicurarsi una buona qualità del sonno e rimanere inseriti in un contesto sociale.
Alimentazioni: alcuni suggerimenti
A livello alimentare è bene limitare al minimo le carni rosse, favorendo una dieta vegetale; assumere te o caffè, che hanno capacità protettive sia rispetto ad alcune patologie oncologiche, sia rispetto al mantenimento delle attività cognitive. Ancora, il cioccolato fondente ad almeno l’80% e senza zuccheri aggiunti, rappresenta un fortissimo antiossidante, positivo per il benessere cellulare oltre che neuroprotettivo.
La salute del cervello come responsabilità collettiva
Intervenire sulle persone ad alto rischio, è stato sottolineato, non è una scelta efficace in quanto le patologie si sviluppano soprattutto tra la popolazione a rischio moderato, per sua natura più numerosa. Partendo dai dati degli studi PASSI e Passi d’Argento, l’azzeramento di 11 fattori di rischio su 14 potrebbe evitare, nel nostro Paese, l’insorgenza del 39,6% di casi di demenza, praticamente 4 casi su 10, mostrando l’enorme potenziale della prevenzione.
Alle scelte individuali dovrebbero però affiancarsi efficaci politiche sociali in grado di considerare i fattori di rischio di ciascuna popolazione e le specifiche di ciascun contesto. Combattere l’isolamento con efficaci politiche pubbliche, potrebbe, ad esempio, innescare un importante circolo virtuoso dal momento che lo stesso porta con sé depressione, immobilità e scelte di vita errate, come consumo di alcol e fumo.
Non è mai troppo tardi per invertire la rotta
Studi recenti hanno altresì mostrato che non è mai troppo tardi per invertire la rotta. Ridurre i fattori di rischio evitabili, anche in età avanzata, porta comunque a dei benefici, sia in termini di aumento dell’aspettativa di vita, sia rispetto ad inclusività, livelli di attività e quindi, più in generale, qualità di vita.
Predisposizione ereditaria e prevenzione
Se la prevenzione risulta una strategia cruciale nella popolazione generale, cosa accade in presenza di predisposizione ereditaria, ovvero di demenze ad esordio giovanile? A seconda della mutazione, hanno sottolineato gli esperti, dal 28% al 37% dei casi possono essere ritardati con stili di vita e scelte appropriate.
Ancora, l’attività fisica riduce sensibilmente l’accumulo di beta-amiloide nel cervello – principale responsabile del declino cognitivo – ritardando l’insorgenza dei sintomi fino a 15 anni.
La prevenzione rappresenta quindi, a maggior ragione in soggetti geneticamente predisposti, una strategia cruciale per ritardare l’esordio della patologia.


