Con un raddoppio nell’incidenza della malattia a livello globale in soli 20 anni, il diabete, troppo spesso sottovalutato, rischia di trasformarsi in una vera e propria pandemia, anche alla luce delle stime Oms, che ipotizzano un ulteriore incremento entro il 2045. Nel 2020 in Italia la prevalenza è stata del 5,9%, con un’incidenza in crescita forte tra gli over 65. 73 i decessi quotidiani direttamente imputabili alla patologia

La lotta al diabete rappresenta una delle tre emergenze sanitarie identificate dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), insieme alla malaria e alla tubercolosi, unica delle tre a essere una malattia cronica non trasmissibile.

Si tratta di una sfida molto complessa da attuare, sia perché i pazienti diabetici di tipo 2 sovente sottovalutano la patologia, sia perché in molti casi non hanno ricevuto adeguata diagnosi e quindi terapia, sia perché, complice l’invecchiamento generale della popolazione, la sua prevalenza è in costante aumento. Basti pensare che il numero di diabetici è più che raddoppiato nel corso dell’ultimo ventennio, contando oggi circa 537 milioni di pazienti, e le previsioni dell’Oms prevedono un ulteriore, significativo, incremento entro il 2045.

A livello italiano, considerando il “sommerso’” (ovvero quei pazienti ancora non diagnosticati), il numero di diabetici è pari a circa 5 milioni, di cui oltre il 95% interessato dal diabete di tipo 2 e un 2-3% dal diabete di tipo 1.

L’impatto della pandemia sui pazienti diabetici

La pandemia da Covid-19 da una parte ha messo in luce la fragilità di questi pazienti, rimasti, in molti casi, vittime dell’infezione, e, dall’altra, ha evidenziato un peggioramento complessivo della situazione: meno visite, meno controlli e peggiorati stili di vita. Con la pandemia, difatti, e le conseguenti restrizioni atte a ridurre il contagio, è aumentato il consumo di alcool e fumo, la sedentarietà, il sovrappeso e le abitudini alimentari scorrette.

Gli ultimi dati hanno fatto registrare anche una maggiore incidenza della patologia tra le donne, le quali, peraltro, sono coloro che maggiormente rinunciano alle prestazioni sanitarie: il 22,7% a fronte di un 17,2% di uomini.

Sono questi alcuni dati emersi dalla quindicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report “La pandemia del diabete tipo 2 e il suo impatto in Italia e nelle regioni” realizzato, come sempre, dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (Ibdo) Foundation, in collaborazione con Istat e con il contributo di Coresearch e Bhave e quello non condizionante di Novo Nordisk.

Il crescente impatto sulle donne

L’incremento dell’incidenza del diabete di tipo 2 registrato nelle donne è spiegabile con una pluralità di motivi, tra cui la maggior longevità delle donne, tanto che il tasso aggiustato per età fa sì che la prevalenza tra le donne sia più bassa, ovvero del 4,7% rispetto al 5,5% tra gli uomini.

«Oltre alla maggior longevità, nelle donne hanno un maggior impatto le disuguaglianze socioeconomiche; considerando il titolo di studio, per esempio, nella fascia di età 45-64 anni è stata riscontrata una prevalenza tre volte più elevata tra le donne con bassa istruzione, il 5,8%, rispetto all’1,8% delle più istruite. Analogamente negli uomini, dove, tuttavia la differenza è più contenuta, con un’oscillazione che va dal 7,4% al 4,3%. Stesso discorso per la condizione reddituale: nelle donne over 45 la percentuale con basso reddito che soffre di diabete si attesta all’11% per cento rispetto al 6,4% tra coloro che dispongono di maggiori risorse» ha sottolineato Roberta Crialesi, Dirigente Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia, Istat.

Il peso delle disparità sociali e territoriali

«Questi dati indicano il peso delle disparità sociali per l’insorgenza di malattie croniche come il diabete, dove le persone maggiormente colpite sono quelle in condizioni socioeconomiche più disagiate e spesso si tratta di donne. Bassa istruzione e scarso reddito si associano spesso a stili di vita non salutari, come cattive abitudini alimentari, sedentarietà, insufficiente ricorso alla prevenzione primaria e secondaria, maggior rischio di obesità e di insorgenza di malattie metaboliche. Inoltre, tali condizioni possono ridurre le opportunità di accesso a servizi e prestazioni sanitarie di qualità o causare il ritardo nell’accesso ai servizi per la presenza di lunghe liste di attesa» ha commentato Paolo Sbraccia, vicepresidente Ibdo Foundation.

Le donne sono anche quelle che rinunciano più spesso alle prestazioni sanitarie, in particolare se affette da diabete e altre malattie croniche. Le cause della rinuncia, oltre alla paura del contagio in fase Covid, sono riconducibili a problematiche economiche o all’incapacità o mancanza di volontà di cambiare stili di vita, o a liste di attesa troppo lunghe.

Le disparità nell’accesso alle cure sono molto marcate a livello territoriale. Disparità che interessano sia le politiche di prevenzione sia la presa in carico. Le Regioni meridionali sono “bollino nero”, con la Campania che si contraddistingue tristemente per le peggiori performance. Basti pensare che la Regione detiene il primato per l’amputazione degli arti inferiori, una delle complicanze della patologia, con oltre 400 interventi l’anno, a fronte di circa 120 registrati in una regione come il Piemonte.

I costi economici e sociali della patologia

Come è noto il diabete è una patologia cronica che, se non controllata adeguatamente, intacca lentamente numerosi organi, portando a complicanze anche molto invalidanti: cecità, amputazione degli arti inferiori, nefropatie, problemi cardiovascolari. Al di là dei costi sociali, molto alti sono anche i costi economici, stimati in circa 2.800 euro annui, pari a oltre il doppio del costo di un paziente medio.

Gli alti costi sono dovuti in buona parte alle numerose comorbidità dei pazienti diabetici, causa di ricoveri, ricorso a visite specialistiche e farmaci aggiuntivi. Costi che in parte potrebbero essere prevenuti con una corretta informazione e prevenzione: basti pensare che la riduzione di un punto percentuale di emoglobina glicata riduce del 14% il rischio di infarto, del 37% il rischio di complicanze cardiovascolari e del 21% i decessi.

Il ruolo chiave di conoscenza e prevenzione

«Siamo alla vigilia di una rivoluzione del sistema sanitario nazionale, che andrà, tra le altre cose, a rimettere al centro l’assistenza territoriale, così da garantire l’accesso alle cure al maggior numero di pazienti – ha evidenziato Federico Serra, Capo Segreteria Tecnica dell’intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete – Occorre tuttavia ricordare che nel diabete ancor più che in altre patologie, la prevenzione e l’adozione di stili di vita corretti risultano cruciali, tali da poter ridurre l’incidenza della malattia nel 50% dei casi». Per una corretta prevenzione bisogna  comunque partire da una corretta informazione e da un empowerment del paziente.