Sono stati resi noti i primi risultati di Interceptor, progetto promosso e finanziato nel 2018 dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e AIMA (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer).

Il progetto, multicentrico, coordinato da Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Università Cattolica, ha l’obiettivo di identificare un panel di biomarcatori che, in affiancamento ai tradizionali test neuropsicologici, possano consentire di diagnosticare precocemente, ovvero di intercettare fra le persone affette da un disturbo cognitivo lieve quelle a maggior rischio per lo sviluppo di demenza, quindi candidabili a ricevere trattamenti farmacologici che agiscono sui meccanismi biologici di progressione della malattia.

Sono oltre un milione gli italiani con malattie neurodegenerative, quasi 900 mila con deterioramento cognitivo lieve, 4 milioni i caregiver impegnati nell’assistenza a queste persone.

Obiettivo della ricerca

È fermare, o comunque arrivare a controllare lo sviluppo della demenza nella prima insorgenza, definita di disturbo cognitivo lieve caratterizzato da leggeri deficit di memoria eventualmente accompagnati da alterazioni di altre funzioni cognitive, quali il linguaggio, le abilità visuo-spaziali, le funzioni esecutive, le capacità di ragionamento.

Intervenire in questa fase significa poter prevenire danni irreversibili al cervello, grazie all’azione di nuovi farmaci, compresi quelli di recente autorizzati da AIFA, in grado di interagire con il processo evolutivo della malattia.

Fondamentale sarebbe l’individuazione di specifici marcatori: obiettivo cui punta Interceptopr, progetto nato alla fine del 2016, dopo l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) del primo farmaco contro l’amiloide, il cui accumulo nel cervello è ritenuto fra i primi fattori della demenza di Alzheimer. Lo studio ha coinvolto, in Italia, in fase iniziale 351 pazienti con declino cognitivo lieve (MCI) in 19 centri clinici diffusi in tutto il territorio nazionale, che sono stati sottoposti a una serie di esami per rilevare una serie di potenziali biomarcatori di malattia.

Tra quelli identificati, otto sembrerebbero candidabili a qualificare pazienti con maggiori probabilità di progredire da MCI verso la demenza. Il modello, attraverso l’utilizzo combinato di questi otto biomarker, si sarebbe dimostrato capace di distinguere nell’81% dei casi le forme in progressione rispetto a quelle destinate a restare stabili.

I prossimi passi

Forti di queste prime evidenze, i cui risultati sono stati presentati all’ISS, lo studio coinvolgerà ora 500 soggetti con MCI, di età compresa tra 50 e 85 anni, reclutati da 20 centri italiani, con il supporto di 5 centri specializzati nella diagnosi e nella cura della demenza di Alzheimer, tra cui la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, centro di reclutamento e coordinatore del progetto, per proseguire il monitoraggio.

Nell’ambito dello studio, tutti i partecipanti saranno infatti valutati mediante 6 marcatori, con un tempo di osservazione di almeno 3 anni, tale da permettere di potere conoscere quale biomarcatore o quale combinazione di biomarcatori siano predittivi con maggiore precisione e accuratezza dell’evoluzione della malattia dall’inizio dei primi sintomi. Necessario a postulare quindi schemi terapeutici più efficaci e efficienti nel controllo della patologia.

Fonte

Link al progetto: www.interceptorproject.com

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