Efficacia e criticità nella gestione della cannabis, interferenze farmacologiche, modalità somministrazione, il ruolo sinergico di più figure professionali nella gestione del paziente con dolore cronico e/o neuropatico in terapia con questa sostanza. Sono alcuni degli argomenti discussi al 1st CBD & Medical Cannabis Forumtenutosi lo scorso settembre a Firenzeche ha radunato i massimi esperti per un confronto sul tema, con l’auspicio di porre le basi per un approccio “standardizzato” della cannabis e mettere le basi per proposte concrete da portare ai tavoli decisionali funzionali all’aggiornamento del decreto del 2005, da allora in stallo, e non conforme alle ultime evidenze scientifiche. 

Come agisce la cannabis 

Sfrutta il sistema endocannabinoide, una complessa via di comunicazione tra le cellule, composto da tre elementi: gli endocannabinoidi, innanzitutto, che hanno un ruolo di “trasmettitori”, in cui le molecole, ed in particolare Anandamide e 2-Arachidonoilglicerolo (2-Ag), registrano le variazioni delle condizioni esterne della cellula che attivano specifici recettori. Questi inviano specifici massaggi alle cellule, innescando una risposta. Il secondo elemento del sistema sono I recettori, che costituiscono il secondo elemento chiave, governano il sistema: in particolare i CB1, presenti principalmente nelle cellule nervose dell’encefalo del Sistema Nervoso Centrale (SNC), come corteccia, ippocampo, amigdala, gangli e cervelletto ed in alcune altre cellule (polmoni, muscoli, organi riproduttivi, fegato e sistema cardiovascolare), e i CB2. Questi recettori sono, invece, espressi principalmente a livello periferico, presenti soprattutto nelle cellule di ossa, milza, colon, pancreas e nel sistema immunitario. Questi due recettori hanno il compito di regolare il rilascio di altri messaggi, ad esempio i CB1 interferiscono con i neurotrasmettitori per proteggere il SNC dalla sovrastimolazione mentre i CB2 agiscono sull’attività del sistema immunitario. Infine, terzo componete, gli enzimi che contribuiscono a degradare le molecole, una volta che hanno svolto la loro funzione evitando l’accumulo degli endocannabinoidi all’interno dell’organismo. I cannabinoidi endogeni sono anche immunomodulatori con funzione antinfiammatoria e di regolazione dello stimolo della fame, dell’umore e mancanza di sonno. 

Efficace nella gestione del dolore cronico e neuropatico

L’Italia ha introdotto la cannabis terapeutica nel 2006 attraverso il Decreto Ministeriale che ne ha regolamentato l’uso medico. Dal 2015, lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze produce cannabis standardizzata per uso terapeutico, garantendo qualità e sicurezza del prodotto. Tuttavia, permangono significative limitazioni nell’accesso e nella prescrizione. «All’inizio l’applicazione della cannabis – indoma Marco Bertolotto, specialista in Anestesia e Terapia del dolore – era possibile per sei possibili patologie con possibile estensione di prescrizione laddove emergessero evidenze scientifiche. I benefici maggiori della cannabis, ad oggi, si osservano in patologie a base infiammatoria, mentre non si evidenzia un effetto antitumorale, potenziale in studi in vivo e in vitro, su animali e cellule, ma non dimostrato sull’uomo. L’uso della cannabis è invece raccomandato nelle cure palliative, efficace nella gestione di nausea, vomito e sintomi correlati, nel morbo di Chron in cui è dimostrata l’azione curativa e il miglioramento della qualità di vita, colon irritabile (IBS), nella gestione di ansia, insonnia, disturbi psichiatrici, fibromialgia, malattie immunitarie per l’effetto del CBD sul sistema immunitario, nelle malattie ginecologiche e muscolo-scheletrici, in caso di DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness) o tendiniti, ad esempio, come anche in patologie dermatologiche. È consigliato iniziare il trattamento con dosi basse, salendo lentamente, informando il paziente nel caso in cui la cannabis venga applicata off label, cioè in un contesto in cui non vi sono evidenze scientifiche solide. È quindi fondamentale definire un chiaro piano terapeutico». L’efficacia della cannabis è oggi dimostrata per:

Fibromialgia

Attualmente non esistono farmaci in grado di controllare in modo pienamente efficace le manifestazioni della fibromialgia: dolore diffuso, stanchezza intensa e “nebbia cognitiva”. Un insieme di sintomi che porta oggi a parlare di sindrome fibromialgica, una condizione che colpisce soprattutto le donne, con un rapporto di circa 4-5 a 1 rispetto agli uomini, e una prevalenza stimata tra il 5 e il 7% della popolazione. «La fibromialgia non presenta alterazioni ematochimiche né anticorpi specifici – spiega Laura Bazzichi, Reumatologa presso l’U.O. di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio di Milano –. Non si osservano modificazioni articolari o altre manifestazioni tipiche: la diagnosi è dunque di esclusione». Il dolore nociplastico, caratterizzato da un’alterata elaborazione centrale dello stimolo doloroso, con fenomeni di iperalgesia e allodinia, rappresenta il cardine della malattia. «Spesso – prosegue Bazzichi – la fibromialgia si associa ad altre condizioni, come la sindrome dell’intestino irritabile, la cefalea o la lombalgia idiopatica. Gli studi di neuroimaging mostrano, a parità di stimolo, una maggiore attivazione delle aree cerebrali del dolore nei pazienti fibromialgici rispetto ai soggetti sani. Questo suggerisce la presenza di una neuroinfiammazione di base, legata all’attivazione della microglia e alla produzione di citochine infiammatorie». Accanto alle terapie convenzionali, che comprendono educazione del paziente, igiene del sonno, farmaci antidepressivi e analgesici, possono essere affiancate terapie complementari, tra cui la cannabis medica, utile nel modulare la soglia del dolore. «Nei pazienti fibromialgici – sottolinea Bazzichi – la finestra terapeutica è spesso molto stretta: l’efficacia del farmaco è vicina alla comparsa degli effetti indesiderati. La cannabis medica può offrire un valido supporto grazie alla duplice azione dei suoi principali componenti: il THC, con effetto analgesico e modulazione centrale del dolore tramite i recettori CB1, e il CBD, con azione antinfiammatoria e immunomodulante mediata dai recettori CB2, presenti in prevalenza sui linfociti». Sono oggi disponibili diversi preparati bilanciati THC-CBD, in particolare in forma di gocce sublinguali, che si sono rivelate molto utili nella gestione dei pazienti complessi. Se correttamente titolata e dosata, la cannabis medica presenta pochi effetti collaterali, generalmente lievi (come secchezza delle fauci o irritazione oculare). «La cannabis è indicata nei pazienti fibromialgici che non rispondono alle terapie convenzionali e che non presentano disturbi psichiatrici gravi o storia e/o problemi di abuso di sostanze. Il trattamento consente spesso un miglior controllo del dolore, un miglioramento del sonno, della rigidità e del tono muscolare, e può ridurre il ricorso agli oppioidi. A sei mesi, molti pazienti riferiscono una migliore qualità della vita grazie all’effetto analgesico antinfiammatorio ed immunomodulante». Tuttavia, la cannabis medica rappresenta un’opportunità terapeutica aggiuntiva, che deve essere sempre prescritta e monitorata da un medico esperto. «È importante iniziare il trattamento con gradualità – precisa l’esperta – valutando le eventuali interazioni farmacologiche e spiegando al paziente che la dose personalizzata richiede tempo per essere definita».

Endometriosi, ginecologia e proctologia

L’endometriosi, patologia benigna, cronica, estrogeno dipendente in cui parte dell’endometrio, la mucosa che riveste l’endometrio, fuoriesce dall’utero, interessa circa il 10% delle donne in età fertile. L’ipotesi più accreditata, ma non certa, è che origini da un ciclo mestruale retrogrado, tuttavia la presenza di eventuali lesioni anche a livello polmonare o del SNC, fa ritenere che alla base ci possa essere anche una componete linfatica e/o vascolare, o una metaplasia a partire dalle cellule staminali. «L’endometriosi – dichiara Milo Giani, ginecologo, presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze – si può manifestare a livello pelvico addominale, avere un interessamento dell’ovaio, fino a poter coinvolgere anche altri organi come il retto e la vescica. Il dolore, insieme all’infertilità, è il sintomo principale, e si può presentare nel corso della mestruazione (dismenorrea), del rapporto sessuale, alla minzione e cronicizzarsi in dolore pelvico. Spesso si osserva una associazione con l’adenomiosi, patologia “sorella” in cui le cellule vanno a impiantarsi nella parete dell’utero (miometrio). Il trattamento è prevalentemente medico (pillole sotto estrogestiniche, estroprogestiniche, RH analoghi, antagonisti del GnRH), supportata da terapia fisica (fisioterapia del pavimento pelvico) e psicoterapia, mentre la chirurgia è riservata a pochi casi, e i percorsi di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) a donne con problemi anche di infertilità. Tali terapie tuttavia non consentono di rendere asintomatiche tutte le pazienti e circa un quarto continua a lamentare dolore fino a sviluppare forme di dolore pelvico cronico, nocicettivo, neuropatico e sensibilità periferica e/o centrale». La cannabis, per queste pazienti, può rappresentare una opportunità di cura sfruttando la potenzialità antinfiammatoria, analgesica e gli effetti ansiolitici e antidepressivi della sostanza, sebbene non vi sia ancora una forma “standardizzata” efficace e un dosaggio ottimale. Sono inoltre allo studio alcuni fitoterapici tra cui resveratrolo, derivati della curcumina, derivato dell’epigallocatechina gallato in cui è di particolare interesse l’azione sulla protezione dalla formazione di nuovi fibromi. In ambito urologico e proctologico, vi è evidenza che il CBD (cannabis) ad uso topico possa avere effetti miorilassanti, antidolorifici e antinfiammatori. Nello specifico, in ginecologia l’utilizzo può essere applicato nella gestione di vulvodinia, neuropatia del pudendo (nell’uomo e nella donna), dismenorrea, dolore al rapporto sessuale. «Insieme al CBD in off label – spiega Matteo Mantovani, farmacista – vengono spesso usati anche altri trattamenti, come diazepam, baclofene, antidepressivi triciclici i quali agendo sul sistema serotoninergico e noradenergico aiutano a ridurre la percezione del dolore». In urologia, il CDB ha dato risultati nel trattamento del dolore pelvico cronico, cistiti interstiziali abatteriche, sindrome della vescica dolorosa, ipertono muscolare, dolore sessuale, candida, dismenorrea primaria per l’azione antinfiammatoria e miorilassante. «Serve un approccio multidisciplinare – prosegue il farmacista – che coinvolga ginecologo, ostetrica, riabilitatrice del pavimento pelvico, a volte lo psicologo, in quanto spesso gli effetti di queste patologie psicosomatizzano, specie nel caso di dolore sessuale, ricordando che si tratta di pazienti giovani o di donne in menopausa per quanto concerne il dolore sessuale». Infine in proctologia vi sono prime evidenze in caso di ragadi per la gestione del dolore post-operatorio e delle emorroidi in cui l’azione miorilassante del CDB e la migliore ossigenazione dei tessuti potrebbero contribuire al riassorbimento del plesso emorroidale.  

Disturbi psichici

Fondamentale è prestare attenzione soprattutto al “contenuto emotivo”, specie in pazienti che presentano disabilità o pazienti complessi in terapia con antipsicotici, neurolettici, antiepilettici, tuttavia in grado di controllare i sintomi solo in modo parziale e frammentario, inficiando la gestione ottimale del percorso di cura del paziente. «La cannabis – chiarisce Attilio Gattucci, psicoterapeuta con expertise nella Terapia del Dolore e cannabinoidi – prescritta dopo un esame accurato del contesto clinico e della situazione emotiva del paziente che ha spesso alle spalle fallimenti terapeutici e sintomi non ben controllati, può essere di efficacia. Il primo passo, fondamentale, è costruire un rapporto fiduciario con il paziente, instaurando una relazione che non si fermi all’analisi del “dato clinico”, certamente cruciale, ma che si estenda al potere dell’incontro e della parola. La cannabis insegna che la (re)azione terapeutica passa non solo dal percorso di cura, ma anche dal sapersi mettere in contatto con il nucleo affettivo della persona». In questo contesto, complesso, la cannabis non deve essere vista come uno strumento alternativo, bensì come elemento sinergizzante con le altre terapie farmacologiche, finalizzato alla deprescrizione farmacologia, ovvero alla somministrazione della minima dose efficace necessaria, sia della cannabis come degli altri trattamenti. «La cannabis è pertanto uno strumento trasversale – aggiunge Gattucci – che i medici possono applicare a prescindere dal contesto specialistico, valorizzando tutto ciò che esula dalla pratica clinica fatta esclusivamente di dosaggi, somministrazioni e quantitativi farmacologici».

Malattie neurodegenerative

Il Parkinson, malattia neurodegenerativa cronica, con sintomi motori (rigidità, tremori, instabilità posturale, discinesia) e non motori (nebbia mentale, ansia, turbe del sonno, alterazioni dell’olfatto), è caratterizzata da un deficit dopaminergico e degenerazione dei neuroni e della substantia nigra. Progressivamente ingravescente, colpisce in misura lievemente superiore il maschio, dove età avanzata (60-70 età media alla diagnosi) e famigliarità rappresentano ulteriori fattori di rischio. Non si esclude anche l’esposizione a sostanze ambientali neurotossiche fra i possibili trigger. «In pazienti con Parkinson e/o con parkinsonismi – informa Michele Antonelli, specialista in Medicina Preventiva e Cannabis Terapia – non sufficientemente responsivi a trattamenti di prima linea o intolleranti a determinati farmaci potrebbero avere un benefico da una integrazione con cannabis, in cui diverse metanalisi di studi clinici evidenzierebbero un effetto superiore, rispetto al placebo, sui sintomi tipici del Parkinson come anche in quelli non motori. I maggiori benefici si osserverebbero a livello della neurotrasmissione, oltre che all’effetto algico, ad esempio sulla tensione muscolare ed una azione sulla componente neuroinfiammatoria, ansiosa, sonno e altri sintomi ancillari presenti nella malattia. Inoltre, si registra una inibizione dell’ezio tossicità e la riduzione dell’attivazione gliale». Le indicazioni terapeutiche suggeriscono di cominciare con un estratto con rapporto bilanciato di cannabinoidi oppure con un profilo di CBD dominante in caso di gestione della componente ansiosa, in un paziente parkinsoniano intollerante alle benzodiazepine e/o agli ansiolitici, con un dosaggio iniziale di 2,5 mg tra THC e CBD e dosaggi inferiori in pazienti anziani e fragili. In particolare, nel grande anziano è bene valutare una partenza con terapia con solo CBD, successivamente integrata con un estratto di CBD e THC, analizzando l’effetto entourage, quindi del cannabinoide e degli altri componenti (terpeni, flavonoidi), modulando molto gradualmente la posologia fino a intercettare, in funzione della compliance del paziente, e della collaborazione del care-giver/famigliare, quella ottimale. «Attenzione, infine, alle interazioni con benzodiazepine, oppioidi, miorilassanti, antidepressivi – sottolinea Antonelli – ricordando che la cannabis può essere usata come decalage per la riduzione degli oppioidi, secondo la massima “start low, dose low”». In ambito di Sclerosi Multipla (SM) è di particolare interesse l’azione dei recettori CB2 sulla modulazione della risposta immunitaria e dei processi infiammatori. «L’orientamento – commenta Giovanna Borriello, neurologa e ricercatrice presso l’Università di Roma La Sapienza – si sta spostando dalla semplice valutazione del sintomo a un livello più ampio di patologia, con interesse verso i recettori localizzati in alcune aree come cervelletto e sistema limbico e al substrato infiammatorio». Diversi studi stanno dimostrando l’efficacia della cannabis sulla gestione della spasticità, del dolore e del sonno e di alcune molecole derivate dai cannabinoidi potenzialmente in grado di ridurre l’infiammazione del tessuto nervoso e la perdita di mielina nell’encefalite allergica sperimentale. «Non ultimo vi è evidenza anche di una potenziale azione a livello periferico, ad esempio sui disturbi urinari che portano la persona con SM a rinunciare alla vita sociale, man mano che il sintomo diventa ingravescente. Pertanto la cannabis è una opportunità da proporre a questi pazienti».

Epilessia

Dati clinici dimostrano l’efficacia del cannabidiolo nel trattamento dell’epilessia pediatrica farmacoresistente. «Circa il 30% delle sindromi epilettiche, ovvero condizioni di malattia che possono avere diversi tipi di crisi, focali, generalizzate o miste, la cui eziologia può essere strutturale, quindi dovuta a una malformazione corticale, genetica, post-infettiva, o immunologica – specifica Antonella Riva, neuropsichiatra infantile presso l’Ospedale Gaslini di Genova – sono resistenti a numerosi farmaci anticrisi. Si tratta di forme che sono fallite ad almeno due terapie, adeguatamente scelte e dosati. In questi casi è potenzialmente possibile ricorrere alla chirurgia o all’impianto di stimolazione del nervo vago, tuttavia proponibili solo a pochi pazienti selezionati. Di fatto, quindi per molti, la terapia farmacologica resta la sola opzione di cura possibile». In questo contesto, il cannabidiolo è utilizzato da circa 5-6 anni con buoni outcome di efficacia. «La risposta migliore – prosegue la dottoressa – è offerta da cannabinoidi che originano dalla Cannabis Sativa, che ha dimostrato di funzionare come farmaco anticrisi, con particolare indicazione all’uso di CBD che non agisce sui recettori CB1 e CB2, ma probabilmente con un meccanismo più ampio, senza gli effetti psicotropi del THC. Nella pratica clinica spesso si ricorre a formulazioni galeniche, con diverse concentrazioni di CBD e TCH in cui l’effetto miorilassante del TCH, oltre che nelle forme di epilessia farmacoresistente, può essere efficace in crisi epilettiche che presentano anche una tetraparesi spastica». Oggi si dispone di vari prodotti, fra cui una formulazione altamente purificata di cannabidiolo, approvata da AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) nel trattamento di tre sindromi epilettiche: la sindrome di Dravet, la sindrome di Charlotte, la sindrome di Lennox-Gastaut e in epoca più recente anche nella sclerosi tuberosa. «La posologia – conclude la dottoressa Riva – per le tre sindromi può essere fino a 20 mg/pro chilo/die, mentre per la sclerosi tuberosa in cui la cannabis potrebbe avere un effetto anche sul meccanismo di insorgenza della patologia, si possono raggiungere i 25 mg/pro chilo/die». L’efficacia del cannabidiolo si osserverebbe anche sugli aspetti comportamentali.

Nuove molecole in arrivo

HCV, CBC, CBN sono alcuni nuovi cannabinoidi attesi per il prossimo futuro con potenzialità specifiche. Ad esempio il tetraidrocannabivarina (THCV), un cannabinoide attivo, simile al THC, a basse dosi potrebbe contribuire a ridurre l’appetito, oggi allo studio in contesti di obesità e metabolismo. Valore aggiunto: sembrerebbe non avere effetti psicotropi alle dosi normalmente impiegata nei prodotti al CBD. Il CBC, definito il cannabinoide della neuroprotezione, si stima possa aiutare la rigenerazione neuronale; secondo alcuni studi su cellule staminali neurali lavorerebbe in sinergia con il CBD, rafforzando l’effetto entourage e sarebbe privo di effetti psicoattivi. Il CBN, che nasce dalla degradazione del THC nel tempo, avrebbe una azione rilassante, pseudo-sedativa, tanto più se impiegato in associazione la CBD, e potrebbe sostenere il sonno, con eventuali benefici anche sul sistema immunitario. Sono, inoltre, allo studio formulazioni arricchite con cannabinoidi minori, per offrire un effetto più bilanciato, naturale e personalizzato. «Stanno uscendo molti nuovi estratti – aggiunge Giulia Biondi, dirigente medico presso U.O. Terapia del dolore dell’Ospedale Bellaria (Bologna)– e si stanno delineando tante possibilità di applicazioni terapeutiche per la cannabis. Se da un lato, questo può aiutare a standardizzare la prescrizione, quindi i milligrammi a cui si vorrebbe/dovrebbe arrivare per garantire efficacia, o anche a definire una standardizzazione per studi clinici, dall’altro ciò può mettere in difficoltà sulla scelta per specifico paziente. Da cui la necessità di meglio conoscere i prodotti a disposizione, la differenziazione dei vari preparati, al fine di giungere a una terapia cucita il più possibile sul paziente». Infine entro la fine dell’anno presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, potrebbe avviare la produzione di un oleolita con estrazione a freddo, in un processo standardizzato, per poi fornire un semilavorato ai farmacisti galenici utile a rispondere alle nuove prescrizioni dei medici e alle esigenze dei pazienti. 

Multidisciplinarietà di trattamento e sinergie fra esperti

Il dolore è una malattia curabile, si conoscono gli agenti su cui agire, ma mancano efficaci strumenti. «Occorre arrivare a creare un modello matematico solido, scientifico – dichiara Renato Vellucci, specialista in Terapia del Dolore e Cure Palliative presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze – che permetta di confermare, efficacia e sicurezza della cannabis in un determinato contesto, con delle indicazioni chiare di utilizzo, partendo da strategie e titolazioni terapeutiche definite». Da cui l’importanza della sinergia fra algologo, il direttore d’orchestra della terapia cannabica e gli altri professionisti, neurologi, reumatologi, ginecologia a seconda dele contesto clinico e dell’oncologo che deve partecipare all’interdisciplinarietà del trattamento e conoscere alcune possibili evenienze, quali i rischi legati a aritmie su alcuni tipi di candidati cardiopatici o l’assenza di implicazioni su sindromi coronariche acute. «Quindi oltre all’interdisciplinarietà e a scelte condivise – sottolinea Vellucci – è necessario standardizzare meglio le terapie in modo che siano per tutti una opportunità, valutare meglio gli effetti della cannabis sulla salute mentale, preservando la popolazione giovane, ed i rischi di esposizione prenatale, in termini di fertilità e ricadute sulla prole, così come l’impatto sulle performance sulla guida e in generale delle implicazioni d’uso della cannabis sul lungo periodo. Tali informazioni danno solidità alle competenze del medico e sicurezza al malato che utilizza cannabis».

Alcuni studi di letteratura che attestano l’efficacia della cannabis

Alcuni studi confermano l’efficacia della cannabis nella gestione del dolore, attestando ad esempio ad un follow up a un anno, in un gruppo di 215 pazienti in terapia con cannabis, con una concentrazione media di 12,5% THC, e altrettanti in controllo, nessuna evidenza di comparsa di effetti avversi maggiori, a fronte di un incremento di quelli minori (cefalea, sonnolenza, nausea, vertigini1). Una survey on line che ha valutato 484 risposte, in un gruppo di donne con endometriosi, attesta che il 76% ha utilizzato strategie generali di autogestione negli ultimi 6 mesi, di cui il 13% cannabis per la gestione dei sintomi. L’efficacia auto-riferita riguarda una riduzione del dolore, elevata (7,6 su 10), con il 56% che ha assunto la metà dei farmaci in uso, miglioramenti del sonno, nausea e vomito ed effetti avversi poco frequenti (10%) e di lieve entità2. Mentre uno studio osservazionale retrospettivo suggerisce che il trattamento con CBD ha un impatto benefico sui sintomi di dolore, ansia e depressione, nonché sul benessere generale, solo nei pazienti con sintomi da moderati a gravi, a fronte di minori/nessuna evidenza su sintomi lievi3. Non meno importante l’impatto sulla qualità della vita: una revisione sistematica suggerirebbe che la cannabis terapeutica può migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici alleviando i sintomi fisici e psicosociali associali alla gestione della malattia tumorale4.

Fonti

  1. Ware MA, Wang T, Shapiro S et al. Cannabis for the management of pain: Assessment of safety study (COMPASS)J Pain, 2015, 16(12):1233-1242. Doi: 10.1016/j.jpain.2015.07.014
  2. Sinclair J, Smith CA, Abbott J et al. Cannabis use, a self-management strategy among Australian women with endometriosis: results from a National Online Survey. J Obstet Gynaecol Cancer, 2020, 42(3):256-261. Doi: 10.1016/j.jogc.2019.08.033
  3. Rapin L, Gamaoun R, El Hage C et al. Cannabidiol use and effectiveness: real-world evidence from a Canadian medical cannabis clinic. Journal of Cannabis Research, 2021, Article number 19 
  4. Gonçavales Correa L, Marcassa Tucci A. Impact of medical cannabis on the quality of life of cancer patients: A critical review. J Integr Complement Med, 2025. Doi: 10.1177/27683605251377417

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