La medicina integrata, nelle sue molteplici declinazioni ed esperienze, è il paradigma che meglio risponde alle esigenze attuali di salute e a una visione del processo di cura che è necessariamente olistica e multidisciplinare. Ne parliamo in questa intervista con Andrea Geraci, medico esperto in queste tematiche dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Dottor Geraci, lei si è occupato per molti anni di sostanze naturali e terapie innovative all’interno dell’Istituto Superiore di Sanità: qual è la situazione attuale?
Da diversi anni l’ISS pone una particolare attenzione al tema delle medicine complementari e dei prodotti ad esse correlati. Un’attenzione che, nel prossimo futuro, dovrebbe essere ulteriormente aumentata all’interno di un processo di riorganizzazione della struttura, che ha in Walter Ricciardi il suo nuovo presidente. È probabile che in questo riassetto venga istituito anche un Centro di salute globale che avrebbe al proprio interno un’area dedicata al tema della medicina integrata e tradizionale e delle sostanze naturali. Argomenti che ho seguito per anni lavorando nel Dipartimento del Farmaco diretto da Stefano Vella.
È un cambiamento che risponde allo spirito dei tempi e alle tendenze anche a livello internazionale?
Si tratta senza dubbio di un passo in avanti che allinea il lavoro a un’accezione più moderna dell’approccio alla salute. Se guardiamo oltre i nostri confini, un orientamento analogo si è affermato, ad esempio, negli Stati Uniti, dove il National Center for Complementary and Alternative Medicine è diventato nel dicembre del 2014 National Center for Complementary and Integrative Health, proprio per dare un’adeguata rilevanza al concetto di terapia integrata. E anche nei più recenti documenti divulgati dall’Organizzazione mondiale della sanità la definizione di “medicina alternativa”, che aveva dominato il dibattito nel decennio precedente, è stata ormai abbandonata. C’è quindi un trend condiviso che converge verso questa nuova visione di medicina incentrata sull’approccio olistico, sulla multidisciplinarietà e sulla complessità. Un approccio in cui giocano un ruolo determinante non soltanto mente e corpo ma anche gli aspetti emozionali e spirituali, in sintonia con quanto affermano molti sistemi di cura tradizionali. Personalmente la definizione di medicina integrata mi piace poiché ritrovo in essa un filo conduttore che attraversa tutte le terapie che una volta venivano chiamate “non convenzionali”. In primis l’approccio globale verso la persona e il modo stesso di praticare la terapia.
Che cosa implica questo orientamento nei processi reali di assistenza e cura?
La medicina ufficiale, con i suoi innegabili progressi, resta fondamentale per trattare alcune patologie e le malattie acute, ma quando si tratta di cronicità, in particolare di patologie su base disfunzionale come quelle ad esempio attivate dallo stress cronico, il cosiddetto stress psicosociale, la medicina integrata può rivelarsi una risorsa di primaria importanza. Bisogna poi lavorare molto a livello di prevenzione, cosa che non si fa ancora abbastanza. Oggi si parla di complessità, di sistemi complessi e reti metaboliche fra loro influenzabili che sottostanno a leggi molto diverse dal paradigma meccanicistico. La dinamica non è più quella newtoniana della singola molecola che deve centrare il bersaglio, come accade nella farmacologia classica, ed ha più senso parlare di riequilibrio. La specificità della medicina integrata consiste nel lavorare per riequilibrare l’organismo umano, che di per sé tende all’equilibrio e all’autoguarigione. Se, lo ribadisco, il farmaco è assolutamente necessario in alcune condizioni, c’è un’ampia gradazione di approcci naturali, farmacologici e non, che vale la pena prendere in considerazione. Abbiamo dunque una grande scelta, un arco con molte frecce per creare salute e benessere. Se parliamo di ipertensione, ad esempio, una patologia così diffusa nei Paesi industrializzati, oltre all’ampio ventaglio di farmaci, oggi ci sono anche altre misure da mettere in campo. Oltre ad adottare stili di vita corretti, quali una dieta equilibrata, movimento fisico, niente fumo e poco alcol, si dovrebbero seguire, a mio avviso, “giusti approcci alla vita” per contrastare gli stress psicosociali. E allora dalla medicina antroposofica, dalla medicina tradizionale cinese, tibetana o ayurvedica, dagli insegnamenti di Ildegarda di Bingen, la prima fitoterapeuta olistica occidentale, si possono ricevere dei consigli utili come quelli secondo cui il giusto distacco dagli eventi stressanti, i pensieri positivi e il perdono creano salute poiché sciolgono quei nodi emozionali che la vita inevitabilmente comporta: un “bene-essere” per il benessere.
Tutte le tecniche che nel loro insieme a un approccio olistico e più umano, associano una maggiore interazione con la persona e anche una componente spirituale, potrebbero perciò essere integrate con le cure convenzionali?
Senz’altro e anche in questa direzione c’è ancora molto da fare. Non dimentichiamo che siamo fatti di corpo, mente e anche spirito. E non è un caso se yoga e meditazione sono sempre più utilizzati nei centri oncologici. Uno degli obiettivi perseguiti per questa tipologia di pazienti è riuscire ad alzare la soglia del dolore e diversi lavori scientifici pubblicati in letteratura hanno dimostrato che la meditazione contribuisce a ridurre l’assunzione degli oppiacei. Ed esperienze interessanti nell’ambito della palliazione sono in corso in grandi centri internazionali come lo Sloan Kettering Cancer Center di New York, ma anche in Italia. Ho avuto modo di constatarlo quando mi sono occupato di cure palliative già nel 2008, quando ho organizzato un convegno ad hoc in Istituto, o più recentemente collaborando con il gruppo che si occupa di neuroscienze coordinato in ISS da Anna De Santi. L’ISS dunque si sta aprendo a questi orizzonti innovativi e la sua riorganizzazione fornirà nuovi impulsi. Naturalmente, considerato il ruolo istituzionale che questo ente riveste, ogni scelta è sempre saldamente ancorata alla scienza e ai risultati della ricerca scientifica.
Parliamo allora di ricerca: i protocolli classici della medicina basata sull’evidenza rappresentano sempre il sistema migliore di verifica in questo campo?
È un tema complesso che deve essere affrontato da più prospettive. Personalmente nutro qualche perplessità sul fatto, ad esempio, che il golden standard della medicina basata sull’evidenza, e cioè il trial randomizzato controllato con placebo, sia sempre in grado di valutare efficacemente i fenomeni complessi che sono alla base della fisiologia umana. L’omeopatia, se vogliamo, rappresenta in tal senso una cartina di tornasole. Questa disciplina, pur avendo al suo attivo oltre 200 anni di storia e di applicazioni cliniche, viene periodicamente messa in discussione. A me piace concentrarmi sull’aspetto pragmatico e perciò mi chiedo: se un sistema terapeutico che ha tanti anni di attività, che conta milioni di pazienti in Italia ed è esercitata da migliaia di medici nel mondo, fosse un bluff, come taluni affermano, non si sarebbe autolimitato? Tornando alla valutazione dell’efficacia della medicina integrata, che ricordiamolo si fonda su un approccio multidisciplinare, mi sembra difficile capire che cosa abbia effettivamente funzionato tra i molti agenti entrati in gioco nel processo terapeutico. La medicina tradizionale cinese, ad esempio, oltre all’agopuntura impiega molte altre tecniche, dalla dieta alle ginnastiche curative, e si avvale inoltre di formule fitoterapiche complesse il cui l’effetto non si può ricondurre linearmente a un singolo principio attivo, ma deve essere ascritto al fitocomplesso, alla sinergia di più erbe oppure all’approccio terapeutico nella sua totalità.
La fitoterapia – con il suo bagaglio tradizionale che va da Ildegarda di Bingen al Mattioli, ma supportata anche dalle più attuali prove di efficacia – può contribuire alla medicina integrata?
Certamente. D’altra parte nei laboratori del nostro istituto si conducono da anni ricerche su diverse sostanze naturali che hanno dimostrato in vitro attività antitumorale, antinfiammatoria, immunomodulante, antinfettiva ecc. Quando poi parliamo di impiego delle piante medicinali, occorre prestare particolare attenzione al fenomeno delle interazioni fra farmaco e sostanza vegetale. Questo rischio esiste e deve essere attentamente monitorato, ancor più se si considera che in Italia i prodotti di origine vegetale sono in grande maggioranza classificati come integratori alimentari e quindi di libera vendita. Occorre dunque essere consapevoli che naturale non è sinonimo di innocuo e il caso dell’iperico ne è una dimostrazione. Preparati a base di principi attivi di Hypericum perforatum, utilizzati nella depressione leggera, hanno ad esempio interferito sul metabolismo della ciclosporina che viene somministrata per prevenire il rigetto dei trapianti, provocando gravi reazioni, fino al decesso, in pazienti che avevano subito un trapianto cardiaco. La conoscenza puntuale delle piante medicinali e dei lori derivati è la bussola che consente di valutare in scienza e coscienza, come si fa sempre in medicina, benefici e rischi di ogni approccio terapeutico.
La medicina integrata potrebbe essere una risorsa anche per il sistema sanitario pubblico? Come procedere verso una maggiore integrazione?
Esistono già alcune interessanti esperienze in alcune regioni, prima fra tutte la Toscana, ma anche in Lombardia ed Emilia Romagna. In realtà locali l’integrazione è talvolta frutto dell’apertura di un collega più illuminato e della disponibilità della singola ASL. È una questione di conoscenza. Spesso si ha paura dell’ignoto, di ciò che non sappiamo, per questo occorre, a mio avviso, sviluppare un lavoro capillare a livello culturale, creare occasioni di incontro e confronto coinvolgendo non soltanto il mondo scientifico ma anche quello politico. Un confronto che non deve essere mai, per nessuna delle due parti, acritico o fideistico. Sarebbe auspicabile una maggiore conoscenza delle opportunità che le diverse medicine tradizionali offrono in chiave di medicina preventiva, di medicina integrata, nell’ottica di una migliore qualità della vita e anche come potenziale risparmio economico della spesa sanitaria nell’ambito della spending review. I medici, gli operatori della salute e i pazienti dovrebbero essere maggiormente informati. L’auspicio, pertanto, è che si converga verso una medicina unica, fatta di farmacologia, di fitoterapia, di omeopatia ecc., ma anche e soprattutto di buoni consigli, di un dialogo tra il terapeuta e la persona di cui ci si prende cura. E questo è un obiettivo che intendiamo perseguire nel prossimo futuro, in continuità con il lavoro di questi anni.
Chi è Andrea Geraci
Medico, specialista in Malattie Infettive, esperto in omeopatia e iscritto al Registro dei medici omeopati dell’Ordine dei medici di Roma, Master di II livello in fitoterapia, Andrea Geraci lavora da anni presso l’Istituto Superiore di Sanità – Dipartimento del Farmaco, dove si è occupato di sostanze naturali, di medicina termale, di medicina integrata e di sistemi di cura tradizionali. E’ autore di numerose pubblicazioni, insegna occasionalmente in corsi presso alcune università italiane ed è stato relatore in diversi convegni.