Mai fermarsi: rimanere attivi in ogni periodo della vita è fondamentale. Anche nella mezza età e in tarda età quanto l’attività e l’esercizio fisico potrebbe aiutare a preservare la salute cerebrale a lungo termine, riducendo il rischio di demenza e di altre malattie neurodegenerative di larga diffusione e di forte impatto, fra cui l’Alzheimer. Sono le evidenze del Framingham Heart Study, uno studio americano, pubblicato su JAMA Network Open.
Promuovere il contrasto alla sedentarietà
Il movimento è una strategia efficace per mantenere l’organismo, a livello fisico e mentale in buona o in migliore salute, rallentando l’insorgenza di malattie tipiche dell’invecchiamento, tra cui quelle cerebrali. Gli ultimi studi, e la ricerca attuale ne è un esempio, suggerirebbero che l’attività fisica praticata durante la prima età adulta, la mezza età o la tarda età si associa alla sensibile riduzione, anche del 41-45%, del rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer o la demenza per tutte le cause, con percentuali leggermente più marcate in caso di livelli di attività più elevate con evidenze simili registrate anche in caso del morbo di Alzheimer.
Dati importanti se si considera che la demenza rappresenta una delle principali sfide per la salute globale e per la quale urgono strategie preventive efficaci; aspetti sui quali la ricerca è al lavoro in quanto gli attuali trattamenti farmacologici, specificatamente per il morbo di Alzheimer, offrono solo benefici modesti, sono costosi e associati a effetti collaterali anche importanti. Prove crescenti sembrano suggerire benefici dalla correzione dei fattori di rischio legati allo stile di vita in termine di prevenzione, quindi di riduzione dei casi di demenza: l’attività fisica si profila come un importante fattore modificabili su cui poter agire efficacemente, soprattutto durante la mezza età. Tuttavia, non è ancora chiaro quando, in età adulta, l’attività fisica sia più importante per la salute cerebrale a lungo termine.
Ricerche precedenti avrebbero dimostrato che essere fisicamente attivi durante la mezza età o in età avanzata favorisca la migliore struttura cerebrale, potenzi le prestazioni cognitive e riduca, appunto, il rischio di demenza. Anche l’attività fisica in età precoce può essere benefica, ma diversi studi si basano sul fatto che gli anziani ricordino/riferiscano i livelli di attività giovanile, inducendo in possibili errori e suggerendo una possibilità di una causalità inversa, soprattutto quando il deterioramento cognitivo è già presente. Di conseguenza, le fasi specifiche della vita in cui l’attività fisica ha il maggiore impatto rimangono incerte: aspetti che l’attuale studio ha provato a chiarire.
Lo studio
Ha preso in esami i dati a lungo termine raccolti in modo prospettico dal Framingham Heart Study, iniziato nei primi anni ’70, per determinare se l’attività fisica nella prima età adulta, nella mezza età o in età avanzata si correli a un rischio effettivo inferiore per lo sviluppo di demenza.
La ricerca ha incluso partecipanti che non presentavano demenza al basale e di cui è stato possibile raccogliere dati sull’attività fisica in almeno una delle tre fasi della vita: prima età adulta (dai 26 ai 44 anni), mezza età (dai 45 ai 64 anni) o avanzata (dai 65 agli 88 anni). Alla fine sono stati arruolati 1526 partecipanti nella prima età adulta, 1943 nella mezza età e 885 nell’avanzata nei quali i livelli di attività fisica praticata sono stati misurati utilizzando l’indice di attività fisica, che assegna valori ponderati alle ore trascorse dormendo, sedentarie, leggere, moderate e intense, assegnando punteggi suddivisi in quintili specifici per età, utili al confronto.
I partecipanti sono stati seguiti fino alla diagnosi di demenza, al decesso o al 31 dicembre 2023. La demenza, per tutte le cause o la malattia di Alzheimer, è stata diagnosticata tramite criteri diagnostici standard dove modelli di Cox a rischi proporzionali hanno stimato gli hazard ratio per il rischio di demenza nei quintili di attività fisica, aggiustando per età, sesso, istruzione, indice di massa corporea (BMI), fumo, ipertensione, diabete, iperlipidemia e stato dell’apolipoproteina E (APOE) ε4. Ulteriori analisi hanno considerato terzili e quartili di attività, livelli di intensità dell’attività, stratificazione dell’APOE ε4 e demenza di Alzheimer in particolare.
I risultati
È emerso che i partecipanti in età avanzata presentavano generalmente un livello di istruzione inferiore, un BMI (Indice di Massa Corporea) più elevato e più patologie cardiometaboliche rispetto ai gruppi più giovani. Durante il follow-up, 567 individui hanno sviluppato demenza, il 4% dei partecipanti in età precoce, il 14% in età media e il 26% in età avanzata. In tutte le fasce d’età, i partecipanti con minore attività fisica hanno fatto registrare una mortalità più elevata.
Questi risultati sottolineano come il rischio più elevato di demenza si leghi a individui meno attivi, soprattutto nella mezza età e nella tarda età. Dopo aver tenuto conto dei fattori demografici e di salute, solo una maggiore attività fisica durante la mezza età e la tarda età, non nella prima età adulta, è stata associata a un rischio significativamente ridotto di demenza per tutte le cause. Sia nella mezza età che nella tarda età, gli individui nei quintili di attività più elevati presentavano un rischio di demenza significativamente inferiore rispetto a quelli nel quintile più basso, circa il 40% in meno, con Q4 e Q5 che mostravano le associazioni più forti.
L’attività nella prima età adulta non ha mostrato alcuna associazione significativa con il rischio di demenza, probabilmente riflettendo il numero ridotto di casi di demenza in questa fascia d’età. L’interazione tra APOE ε4 e attività fisica è stata statisticamente significativa solo per la mezza età, a indicare che il rischio genetico influenzava la forza dell’associazione durante questo periodo. Tra i non portatori, una maggiore attività in mezza età era associata a un rischio di demenza sostanzialmente inferiore, mentre l’attività in tarda età prediceva un rischio ridotto sia per i portatori che per i non portatori. Nei portatori di ε4, solo il livello più alto di attività in tarda età, Q5, ha raggiunto la significatività statistica. I modelli erano simili per la demenza di Alzheimer in particolare, con il livello più alto di attività in mezza età e in tarda età associato a una minore incidenza. Tuttavia, per la malattia di Alzheimer nei portatori di ε4, l’associazione non ha raggiunto la significatività statistica. Un’attività moderata e intensa in mezza età era particolarmente protettiva, mentre un’attività leggera non ha mostrato alcun beneficio. In tarda età, tale vantaggio è stato osservato indipendentemente dall’intensità dell’attività.
In conclusione
Lo studio dimostra che la pratica fisica nella mezza età e nella tarda età è cruciale dove livelli di attività più elevati promuovono un rischio inferiore di demenza per tutte le cause e di Alzheimer. Il disegno dello studio nel corso della vita, il follow-up esteso, la valutazione completa della demenza e altri fattori rappresentano punti di forza dello studio a fronte del campione di popolazione prevalentemente europea, il numero limitato di casi di demenza nella prima età adulta, la dipendenza dall’attività auto-riferita in un singolo momento ed altri elementi potrebbero limitare la generalizzabilità dei risultati. Nel complesso, lo studio individua nella mezza età e nella tarda età finestre cruciali per la prevenzione della demenza basata sull’attività fisica.
Fonte
Marino FR, Lyu C, Li Y et al. (2025). Physical activity over the adult Life course and risk of dementia in the Framingham Heart Study. JAMA Network Open, 2025, 8(11), e2544439. DOI: 10.1001/jamanetworkopen.2025.44439. https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2841638


