Scarsa informazione sugli esiti post-ictus clinici, assistenziali e, in generale, sulle limitazioni e riduzione della qualità della vita per il paziente, famigliari e caregiver.

Sono alcune delle criticità emerse da una indagine, condotta tra il 20 e il 25 settembre 2023 da Censuswide, società di ricerche di mercato britannica, che ha coinvolto oltre 500 pazienti reduci da un ictus a livello europeo (Regno Unito, Spagna, Francia, Italia e Germania).

I risultati

Attività e carriera professionale sono tra gli ambiti che subiscono il maggior impatto derivante da un ictus, a danno sia della persona colpita dall’evento sia del nucleo famigliare: il 25% degli intervistati (1 su 4) di età compresa tra 30 e i 44 anni, la fascia di popolazione più giovane, dichiara di avere dovuto lasciare il lavoro o nel 34% (1 su 3) dei casi di aver dovuto ridurre sensibilmente l’orario della propria attività.

Implicazioni che coinvolgono anche il contesto famigliare: almeno un membro, secondo quanto dichiarato dal 35% degli intervistati, in Italia ha modificato la propria occupazione per poter fornire cure e assistenza al congiunto colpito da ictus vs il 12% che ha rinunciato al lavoro per più di un anno.

Necessità che arrivano in qualche modo a “ciel sereno”: circa il 30% dei connazionali riferisce che informazioni sugli esiti del post ictus in termini clinici, come la spasticità e dunque le implicazioni correlate sono state apprese solo in corso di visite di follow-up, specie per quanto attiene al deterioramento cognitivo, conseguenza a lungo termine di un ictus.

Gli unte needs

Sono chiari i bisogni e le richieste che emergono dall’indagine fra i pazienti italiani colpiti da ictus: poco meno della metà (49%) spera in un miglioramento della mobilità, il 48% auspica di poter prevenire un secondo episodio di ictus; il 36% si augura un miglioramento della funzione cognitiva e/o del linguaggio (23%), il 29% la riduzione del dolore.

Esiti, compresa la spasticità, che in gran parte dei casi oggi possono essere controllati/migliorarti con la presa in carico del paziente tempestiva del paziente avviato anche trattamenti riabilitativi mirati. Soprattutto se intrapresi precocemente, questi possono infatti favorire il ripristino di molte delle funzionalità compromesse e dunque il recupero di una buona qualità di vita.

Tuttavia, ad oggi, solo il 18% dei pazienti che sopravvivono ad un ictus riceve una diagnosi di spasticità e soltanto 5.000 beneficiano del corretto trattamento. 

L’obiettivo

Ogni anno, in Italia, sono 100mila che sperimentano un ictus. Di loro, 45mila riportano disturbi neurologici spesso invalidanti, come la spasticità.

«Nel nostro Paese oltre 900 mila persone – conclude Nicoletta Reale, Past President dell’associazione A.L.I.Ce. Italia O.D.V. (Associazione per la lotta all’ictus cerebrale) – portano gli effetti invalidanti dell’ictus. È necessario avviare azioni per aumentare le conoscenze su questa malattia e le conseguenze correlate, oltre che sollecitare una più stretta comunicazione tra medici, gli stessi pazienti e i parenti, sapendo che la tempestività dell’intervento e il giusto trattamento possono migliorare sensibilmente la qualità della vita di chi sopravvive all’ictus».