Calo dell’udito e demenza, un circolo vizioso

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Sentire male aumenta il rischio di declino cognitivo. E viceversa. È quanto emerge dal rapporto promosso da Amplifon “Il cervello in ascolto – Lo stretto intreccio tra udito e abilità cognitive” (qui lo studio completo), presentato a Milano a maggio, che lega strettamente calo dell’udito e demenza.

Il rapporto promosso da Amplifon “Il cervello in ascolto – Lo stretto intreccio tra udito e abilità cognitive” approfondisce il legame tra calo dell'udito e demenza
Il rapporto promosso da Amplifon “Il cervello in ascolto – Lo stretto intreccio tra udito e abilità cognitive” approfondisce il legame tra calo dell’udito e demenza

Secondo lo studio, infatti, udito e cervello sono strettamente interconnessi e tale intreccio alimenta un circolo vizioso a due direzioni: un calo dell’udito è associato a un aumento di oltre 3 volte della probabilità di sviluppare una forma di demenza, mentre in 3 pazienti con un deficit cognitivo su 4 si registra anche un disturbo dell’udito1.

L’impatto sociale

Calo dell’udito e demenza – Nei prossimi trent’anni, causa il progressivo invecchiamento della popolazione, sono destinate a raddoppiare (720 milioni) le persone con disturbi all’udito e a triplicare (131 milioni) quelle che soffrono di demenza (Il cervello in ascolto, 2017)

Si tratta di una vera e propria emergenza sociale: 360 milioni di persone nel mondo convivono oggi con un calo dell’udito e 47 milioni con una forma di demenza. Numeri che nei prossimi 30 anni sono destinati a raddoppiare fino a raggiungere i 720 milioni per il disturbo uditivo e quasi a triplicare (131 milioni) nel caso della demenza, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.

Cosa c’è all’origine del “bug”?

Gli studiosi si interrogano sui fattori che possono attivare il circolo vizioso tra calo di udito e declino cognitivo.

Calo dell’udito e demenza – Il rischio di demenza aumenta all’aumentare dell’ipoacusia (Uhlmann et al 1989; Lin et al 2011)

È certo, ad esempio, che l’ipoacusia determini cambiamenti strutturali e funzionali nel cervello: ciò, secondo alcune teorie, potrebbe determinare una sotto-stimolazione delle aree normalmente attivate dai suoni, favorendo così un impoverimento cognitivo; un’altra ipotesi sottolinea, invece, l’affaticamento del cervello che, per compensare la perdita di udito, utilizzerebbe reti neuronali accessorie, riducendo così le risorse cognitive disponibili per svolgere tutte le altre funzioni.

Altri studi accusano l’isolamento sociale: infatti, le difficoltà comunicative connesse a un deficit uditivo possono favorire la solitudine delle persone, un fattore di rischio riconosciuto per la comparsa di disturbi cognitivi.

Infine, si ipotizza che una stessa malattia microvascolare possa essere comune a ipoacusia e ad alcune forme di demenza, favorendo l’insorgenza di entrambi i disturbi.

Calo dell’udito e demenza – Il complesso circolo vizioso che porta alla perdita dell’udito e al decadimento cognitivo (Il cervello in ascolto, 2017)

Sentire bene vuol dire anche salvaguardare la mente

Prevenire, però, è possibile. E gli studi scientifici iniziano a fornire le prove che il trattamento dei deficit acustici attraverso soluzioni uditive sia efficace per ritardare la comparsa di disturbi cognitivi, mantenendo una buona funzionalità cerebrale.

Si è visto, per esempio, che l’utilizzo di apparecchi acustici in soggetti fra i 60 e i 65 anni si associa a un punteggio più elevato ai test cognitivi2 .

Questo dato, raccolto su un numero relativamente basso di soggetti, è stato confermato in seguito su un numero più ampio di over 65 seguiti per 25 anni: l’analisi dei 3.670 partecipanti al Personnes Agées QUID Study ha mostrato che l’utilizzo di un apparecchio acustico si associa a un declino cognitivo più lento nell’arco dei 25 anni rispetto a chi ha un deficit uditivo non compensato in alcun modo3.

Gli impianti cocleari migliorano nel tempo tutti i parametri realtivi alla percezione del suono e alla produzione del linguaggio, ma anche elementi come l’interazione sociale o l’autostima (Mosnier et al. 2015)

Queste persone, inoltre, hanno un deterioramento cognitivo inferiore e paragonabile a quello di chi non ha deficit uditivi. Un risultato simile a quanto osservato analizzando i dati di quasi 165mila persone fra i 40 e i 69 anni: l’uso di soluzioni acustiche si associa a una performance cognitiva migliore, mentre la perdita uditiva non corretta è l’anticamera di un decadimento della funzionalità cognitiva4.

Bibilografia

  1. Meusy A. et al. Presbycusis and Dementia: Results from 8 years of follow-up in the three-city Montpellier study. Alzheimers & Dementia. Journal of the Alzheimer’s Association (2016) 12:175.
  2. Lin FR. Hearing loss and cognition among older adults in the United States. The journals of gerontology. Series A, Biological sciences and medical sciences(2011) 66:1131-1136.
  3. Mosnier I. et al. Improvement of Cognitive Function After Cochlear Implantation in Elderly Patients. JAMA Otolaryngology–Head & Neck Surgery (2015)141:442-450.
  4. Amieva H. et al. Self-Reported Hearing Loss, Hearing Aids, and Cognitive Decline in Elderly Adults: A 25-Year Study. Journal of the American Geriatrics Society (2015) 63:2099–2104.