La difficoltà a deglutire normalmente, la sensazione di blocco in gola, l’ipersecrezione di saliva, la voce gorgogliante dopo la deglutizione, la presenza di mal di gola, raucedine e tosse, la comparsa di rigurgito e/o di reflusso gastro-esofageo, la fuoriuscita di cibo dal naso.

Sono alcuni indicatori della disfagia. Sintomi che spaventano e destabilizzano chi ne è affetto, ma anche l’entourage famigliari per le implicazioni nutrizionali, simboliche, psico-emotive e sociali legate all’atto dell’alimentarsi.

La nutrizione

«L’atto del mangiare – spiega il professor Lucio Lucchin, direttore emerito UOC di Dietetica e Nutrizione Clinica Comprensorio Sanitario di Bolzano – non si lega solo all’assunzione di calorie e nutrienti, ma ha anche forti attributi simbolici, emozionali e relazionali».

Disturbi nella funzione deglutitoria possano ingenerare complesse dinamiche nutrizionali, psicologiche e relazionali nella persona che ne è affetta, ma anche nel contesto familiare. Una complessità di fattori che rende il tradizionale approccio riduzionistico applicato dai sanitari non più soddisfacente e che richiede una adeguata preparazione dei sanitari sia in ambito nutrizionale sia di educazione terapeutica, anche in relazione ai numeri del problema.

Si stima che nel corso della vita soffra di disfagia 1 persona ogni 12-16, pari al 6-8%, con una percentuale che si eleva all’11-16% oltre i 65 anni e in presenza di alcune condizioni cliniche come patologie neurodegenerative, quali il morbo di Alzheimer e di Parkinson, la sclerosi multipla, la SLA o anche la miastenia gravis e le neoplasie del distretto della testa e collo». Spesso a queste condizioni e alla difficoltà nutrizionale, si associano sconforto, caduta nella prostrazione fino all’isolamento e alla depressione: un “decorso” che segna sia la storia della persona sia dei suoi familiari.

Un corretto approccio medico-paziente

«In presenza di un problema di disfagia – prosegue Lucchin – oltre agli aspetti di diagnosi e prognosi del problema, è necessario valutare anche gli aspetti emozionali del paziente: i suoi vissuti, gli stati d’animo, le visioni, le percezioni, il (con)vivere con la malattia, i mutamenti nel suo progetto di vita e in quello dei familiari per convergere in una efficace educazione terapeutica». Occorre cioè fare in modo che sia la malattia ad adattarsi allo stile di vita del paziente e meno il contrario, a partire dalla corretta comunicazione.

In questa direzione un efficace ‘mezzo’ di cura è rappresentato dalla medicina narrativa, un metodo di lavoro e ricerca basato sulla narrazione delle diverse visuali di coloro che collaborano nel percorso di cura. «La conoscenza e la condivisione di ricordi, emozioni e sentimenti degli operatori, dei pazienti e della loro famiglia – chiarisce il professore – può contribuire a offrire un approccio di cura personalizzato, più efficace e appropriato. La scrittura, infatti, porta a riflettere sugli aspetti positivi e negativi della propria esperienza assistenziale, ad affrontarla in maniera più consapevole, alleggerendo anche lo stress emotivo conseguente a situazioni complicate

La medicina narrativa permette a tutti gli operatori sanitari coinvolti di ampliare le capacità di ascolto e di prendere in carico il paziente nella sua complessità, condividendone paure, speranze ed emozioni». Fondamentale è anche il ruolo dei silenzi del paziente e familiari, che vanno rispettati perché la comunicazione emotiva trova spazio anche nell’assenza delle parole.

L’aspetto nutrizionale

In questo percorso si inserisce anche l’aspetto nutrizionale, in cui la reazione più immediata è cercare di fornire e restituire alle persone disfagiche pasti che possano permettere di recuperare parte del simbolismo e del piacere gastronomico di un tempo, allestendo piatti sensorialmente gradevoli e ben impiattati.

«I rischi nutrizionali maggiori che corre il paziente disfagico sono la malnutrizione calorico-proteica e vitaminico-minerale e la disidratazione associati a un’inadeguata copertura dei fabbisogni nutrizionali rispetto ad un’alimentazione normale con la necessità d’integrazione. Inoltre, in questi pazienti spesso compare una sarcopenia, cioè una perdita di massa magra (muscolare in primis) che può determinare o aggravare una disfagia preesistente».

Una delle difficoltà pratiche maggiori nella preparazione del pasto del paziente disfagico è rappresentata dalla corretta texture (consistenza, grana) del cibo. A riguardo l’IDDSI (International Dysphagia Diet Standardization Initiative, 2019), ha definito i parametri pratici a cui attenersi, suddividendo la consistenza del cibo in 7 gradi, in cui i primi 3 possono essere definiti utilizzando il test di flusso.

«Occorre munirsi di una siringa da 10 ml, dove però la lunghezza tra lo 0 e il 10 deve essere di 61,5 mm – raccomanda Lucchin – si rimuove lo stantuffo e si tappa l’ugello con il mignolo. Si riempie la siringa con 10 ml di fluido. Si rimuove il dito dall’ugello e si fa partire un cronometro. Dopo 10 secondi si richiude l’ugello con il dito e si verifica la tacca in cui è presente il fluido.

  • Il livello 0 è liquido e il residuo nella siringa < 1 ml;
  • il livello 1 è leggermente denso. Prevalentemente usato in pediatria. Il residuo nella siringa è di 1-4 ml;
  • il livello 2 è moderatamente denso, nel caso che il controllo della lingua sia discretamente ridotto. Il residuo nella siringa è di 4-8 ml;
  • il livello 3 è denso per i liquidi e sciropposo per i solidi. È indicato in presenza di odinofagia. Residuo nella siringa >8 ml;
  • il livello 4 è molto denso per i liquidi e cremoso per i solidi. La motilità della lingua è molto ridotta. Indicato in caso di odinofagia ed edentulia. Il test della siringa non è applicabile. Usando una forchetta il cibo resta ammucchiato sopra, con solo una piccola quantità che fluisce attraverso i rebbi;
  • il livello 5 corrisponde a tritato fine e umido, nel caso di minima capacità di masticazione. Il cibo rimane sulla forchetta e non fluisce tra i rebbi;
  • il livello 6 è tenero spezzettato. Indicato quando c’è fatigue nella masticazione, o edentulia. Con un cucchiaio è possibile tagliare facilmente in piccole particelle;
  • il livello 7 è normale, facilmente masticabile».

Fonti:

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