Le cure palliative sono un diritto per le persone con demenza in ogni fase della malattia e in ogni luogo di cura. Lo pensano medici e infermieri, intervistati nell’ambito di “Il peso della cura”, ricerca promossa da VIDAS, che dal 1982 a oggi ha assistito gratuitamente 45mila persone con malattie inguaribili, condotta da Ipsos a febbraio 2025, per indagare fra i professionisti della salute, specificatamente 300 medici e infermieri il sentimento di questo approccio nel setting di pazienti con demenza, oltre a quelli oncologici, in cui le cure palliative sono più largamente diffuse.

L’indagine è stata estesa anche a un campione di 1400 cittadine (1000 over 18 e 400 caregiver), per conoscere il vissuto anche di chi si prende cura quotidianamente, al domicilio, di malati con malattie neurodegenerative, di demenze in particolare.

Una risorsa poco sfruttata

L’indagine mette in luce quanto le cure palliative (CP), oggi accessibili solo a una minoranza, siano invece fondamentali per migliorare la qualità della vita lungo tutto il decorso della malattia (61%) del paziente con demenza come anche per il supporto nel trattamento del dolore (secondo il 48% degli infermieri).

Tuttavia, nonostante questa percezione positiva solo poco più della metà dei medici avrebbe attivato le CP per l’assistenza a persone con demenza nell’ultimo anno, in alcuni casi per difficoltà logistiche: 1 medico su 4 rileva l’impossibilità di attivazione del servizio all’interno della regione/ASL, a fronte di una generale buona informazione in materia, con oltre 80% di medici e infermieri che dichiara di conoscere la legge.

Mentre esistono fra gli operatori sanitari delle divergenze sul momento più opportuno per avviare questo percorso assistenziale: solo nelle fasi avanzate o terminali per il 56% dei medici e il 68% degli infermieri, e fin dalla diagnosi per 1 medico su tre. Informazione, formazione e collaborazione sono ritenuti elementi cruciali per una attivazione efficace, come dimostrano i comportamenti assunti: 7 su 10 sanitari si confronterebbero all’interno della comunità sul tema CP per la demenza, 6 su 10 sembrano avvalersi di un supporto specialistico presente nella struttura in cui operano e un altro terzo circa richiederebbe una consulenza esterna.

In funzione dei dati, forse contrariamente alle attese, solo la metà dei medici avrebbe attivato le CP in questo setting di cura, per diversi fattori: la mancata informazione sulla possibilità di regione/ATS di mettere a disposizione questo servizio o la non propensione a farlo (in entrambi i casi al 26%).

Scarsa informazione da parte dei famigliari e care giver

I professionisti confermano la mancata consapevolezza di chi assiste il paziente con demenze sulle varie opzioni a disposizione: 7 persone su 10 del circuito assistenziale che gravita attorno al paziente con demenze secondo i medici erano a conoscenza dell’opportunità delle CP, con una stima che sale a 8 su 10 fra gli infermieri.

Da cui la richiesta da parte di 5 su 10 caregiver/famigliari di maggiore informazione su opportunità e servizi, ricercata presso MMG che resta lo snodo centrale nella diffusione dell’informazione, eventualmente rinforzata da campagne informative in TV, nelle AST e attraverso iniziative di Open Day.

Nell’ostacolare la diffusione delle CP per il supporto alle demenze, concorrono varie criticità: barriere culturali (47%), carenza di informazioni su scopo delle CP in questo ambito di patologia (24%), dipendente dalla difficoltà a spiegarne l’utilità (24%), al fatto che parlarne demoralizza/spaventa (21%), specie del decorso della malattia e del fine vita/della morte (20%).

Un precorso condiviso

La demenza, con il suo decorso lungo e progressivo, richiederebbe una attenta pianificazione delle cure: un processo condiviso tra persona malata, familiari e équipe sanitaria per definire di comune accordo scelte di cura coerenti con i desideri, i valori e la qualità di vita della persona, prevedendo ad esempio una Pianificazione Condivisa delle Cure (PCC).

Tuttavia l’alta propensione (73% degli infermieri e 66% dei medici) a questo percorso non si converte sempre in azione, tant’è che solo al 21% degli assistiti riceverebbe una proposta di PCC, evidenziando una mancanza di un dialogo strutturato e precoce, frenato oltre che dalle difficoltà citate, anche dall’elevato livello di compromissione cognitiva dei pazienti.

Pertanto, solo il 55% dei medici avrebbe proposto la PCC a una media di 12 pazienti con attivazione per 7 di essi. Dall’altra parte, solo il 19% dei pazienti avrebbe scritto le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) prima di ammalarsi; uno strumento che, secondo l’80% dei caregiver intervistati, potrebbe invece migliorare l’assistenza e la qualità della vita delle persone con demenza.

La ricerca

Nasce da una crescita esponenziale delle malattie neurodegenerative, all’interno di una popolazione in costante invecchiamento con erogazione diversa della CP dall’ambito oncologico, e che apre a nuovi scenari e bisogni.

«Complessivamente, dal 2019 al 2024 i nostri pazienti colpiti da patologie non oncologiche, tra cui la demenza, sono aumentati in modo significativo, passando dal 11% al 26% – conclude Antonio Benedetti, direttore generale VIDAS –. Oggi, 1 paziente su 4 convive con una malattia cronica. Questa evoluzione impone un ripensamento dell’assistenza: servono cure palliative capaci di accompagnare percorsi lunghi e complessi, per rispondere con competenza e umanità ai bisogni di pazienti e caregiver».

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