Siamo abituati a pensare all’intenzione come un processo che si attiva in determinati ambiti della nostra vita: l’intenzione, per esempio, è un elemento chiave in ogni forma di comunicazione, e funge da guida nel raggiungimento di obiettivi specifici. Se ci pensiamo, ogni giorno durante la nostra vita prendiamo in considerazione vari fattori: le opportunità, gli ostacoli, i costi, i benefici, le tempistiche, e così via, al fine di orientare l’intenzione verso la realizzazione di un certo obiettivo.

È evidente, quindi, che attraverso l’analisi oggettiva del contesto, l’intenzione gioca un ruolo fondamentale nel plasmare una nuova realtà nelle dinamiche della vita quotidiana. Ma al di fuori della realtà pratica e del nostro quotidiano è possibile attraverso l’intenzione e la consapevolezza, indurre o produrre cambiamenti sulla salute?

Lo abbiamo chiesto a Gioacchino Pagliaro – psicologo e psicoterapeuta, già Direttore dell’U.O.C. di Psicologia Clinica Ospedaliera nel Dipartimento Oncologico dell’AUSL di Bologna e per 17 anni Professore a Contratto di Psicologia Clinica dell’Università di Padova – fra i primi in Italia a introdurre la meditazione a supporto e in accompagnamento alle cure in diverse realtà ospedaliere.

«Oggi la scienza non è in grado di rispondere in modo definitivo e netto a queste domande, ma la tendenza è quella di sostenere che sia possibile un’azione della coscienza sulla realtà. Del resto, Niels Bohr aveva intuito e sostenuto fermamente l’idea che nella realtà subatomica la coscienza fosse in grado di far collassare la funzione d’onda, teoria successivamente dimostrata da John von Neumann e, agli inizi degli anni ‘60, sostenuta con altrettanta determinazione dal fisico premio Nobel Eugene Wigner. È fondamentale pensare alla coscienza come base dell’esistenza e secondo quanto afferma il fisico Amit Goswami “tutte le possibilità esistono in essa. Sovrapposizioni quantiche di possibilità (pacchetti di onde di possibilità correlati in fase) esistono anche all’interno della coscienza. Quando la coscienza riconosce una particolare possibilità, la sceglie e la possibilità diviene realtà”.

Tutte le possibilità, quindi, sono presenti simultaneamente nella realtà subatomica, fino a quando non giunge l’azione della coscienza con la sua capacità creatrice a trasformare tali possibilità, presenti come probabilità, in un dato concreto, rendendo visibile l’invisibile. Io posso aggiungere che operare con l’intenzione significa entrare nel campo delle possibilità, ossia – nel linguaggio di David Bohm – accedere al livello implicato dell’universo, dove tutto è energia e informazione, dove tutto ha una tendenza ad esistere, una probabilità a manifestarsi.

A questo livello, la capacità creatrice dell’intenzione determinerebbe un vero e proprio salto quantico, il salto di tutti i passaggi intermedi (rottura del flusso della continuità lineare), per passare direttamente da una posizione a un’altra, da una situazione a un’altra. Partendo da questi presupposti, attraverso la consapevolezza e l’intenzione, è possibile modificare i campi morfogenetici da cui riceviamo informazione e favorire la nostra evoluzione. In tal modo, attraverso un nuovo approccio, è possibile riscoprire la vera natura della mente.

Come sostengo da anni, operando con questa modalità, l’intenzione si manifesta nel fisico e, citando nuovamente Amit Goswami, le possibilità si trasformano in eventi manifesti. Con l’intenzione creatrice possiamo applicare i principi quantistici alla vita quotidiana e trovare il giusto equilibrio tra agire ed essere, tra agire per se stessi e agire per il bene comune. Da queste constatazioni e dalla mia lunga esperienza sul campo posso affermare che l’intenzionalità di guarigione, pervasa e sostenuta dalla consapevolezza, ovvero quello stato in cui la mente liberata dall’ego è in connessione con la mente non locale, è un’azione potente nel campo delle possibilità, che trasforma la possibilità nella realtà attesa. Ecco il motivo per cui, partendo dalla teoria dell’Intenzionalità Creatrice di A. Goswami, ho elaborato una teoria sull’Intenzionalità di Guarigione che sostiene come attraverso la consapevolezza e l’intenzione si può attivare o potenziare il processo di guarigione».

L’utilizzo dell’intenzione di guarigione

L’esperienza pluridecennale nel campo della psicoterapia in ambito ospedaliero – e per diversi anni nel reparto oncologico dell’ospedale Bellaria di Bologna – ha dimostrato che, in caso di malattia, l’intenzione di guarigione rafforza gli effetti delle cure mediche e sollecita la realizzazione del migliore esito possibile. Questa intenzione può essere attivata sia dal medico, dal curante, che dal paziente stesso per completare, potenziare o reindirizzare l’azione di cura.

Tuttavia, come avviene il percorso di accompagnamento dei pazienti verso questo tipo di consapevolezza? Su questo fronte il dott. Pagliaro ci racconta la sua esperienza: «Nel mio percorso e in quello del team che ho guidato per anni, l’intenzione di guarigione ha sempre sostenuto l’azione di cura e, quando essa non era più possibile, abbiamo guidato il paziente verso le possibilità più adeguate rispetto alle sue condizioni. Dobbiamo tenere ben presente che, come sistemi viventi, emettiamo e riceviamo energia, scambiando informazioni con gli altri esseri e con la realtà circostante.

Nelle relazioni di cura, il desiderio profondo del curante di aiutare la persona sofferente è definibile come “pura energia”. Vorrei citare il lavoro di Elmer Green, un noto fisico che contribuì alla creazione del biofeedback, che già negli anni ‘90, studiando i guaritori a distanza, aveva scoperto che l’energia da loro emessa era elettrostatica. Sempre per mezzo dell’EEG, rilevò, inoltre, che una persona immobile e tranquilla emette 10-15 millivolt di energia elettrostatica, che arrivano fino a 3 Volt quando si pratica la presenza mentale durante la meditazione (Green et al. 1993).

Alcuni studi hanno dimostrato che questa energia elettrostatica sembrava avere i maggiori picchi quando i guaritori manifestavano il desiderio di guarigione. Questi effetti dell’intenzione furono poi oggetto di approfondimento da parte di William Tiller, che mise a punto addirittura dei dispositivi in grado di rilevare l’energia emessa (Tiller et al. 1999; Tiller 1997; Tiller 2007).

Negli stessi anni, lo psichiatra e psicologo Gary Schwartz, dell’Università dell’Arizona, intraprese alcuni studi per verificare se, con la volontà di guarigione, venisse emessa anche energia magnetica. Le ricerche svolte successivamente assieme a Melinda Connor confermarono la sua intuizione, dimostrando che l’intenzione di guarigione è rilevabile sia come energia elettrostatica sia come energia magnetica (Schwartz et al. 1996).

Più avanti, collegandosi agli studi di Popp e con l’aiuto di Katherine Creath, docente di Scienze Ottiche nella sua stessa Università, utilizzando le fotocamere super-raffreddate del dispositivo ad accoppiamento di carica dei telescopi (CCD), dimostrerà che la volontà di guarigione crea anche onde luminose (Creath, Schwartz 2005).

Le ricerche di Green, Tiller, Popp, Russek, Simon e Creath intensificarono lo studio dell’intenzione e della motivazione alla guarigione, che fu definita come una manifestazione di energia elettromagnetica con emissione di biofotoni, oggi facilmente rilevabile attraverso strumenti di misurazione. Avviene, quindi, un interscambio continuo di informazione con tutto ciò che ci circonda, visibile e invisibile. Le emissioni biofotoniche giocherebbero una parte importante nell’interscambio informativo, intercettando e registrando addirittura le informazioni presenti nel pensiero.

Affermazioni, queste, sicuramente molto forti, ma solo in parte incredibili, in quanto diversi studi hanno messo in luce che i nostri pensieri sono un vero e proprio flusso di fotoni (Korotkov 2004; Korotkov et al. 2010)».