“Preserving the Brain” è il titolo della quarta fase di “Human Brains”, il progetto di Fondazione Prada dedicato alle neuroscienze, durante la quale scienziati, esperti e studiosi internazionali si sono confrontati sul tema delle malattie neurodegenerative.
La malattia di Alzheimer, la malattia di Parkinson, la Sclerosi laterale amiotrofica e la Sclerosi Multipla, sono patologie ampiamente diffuse, ma tuttora incurabili. Quali strumenti abbiamo per contrastarle? Letizia Leocani dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha trattato il tema della neuromodulazione nel trattamento delle malattie neurodegenerative, in particolare di Alzheimer e Parkinson.
«La perdita neuronale e sinaptica si verifica già in giovane età e prosegue nel corso dell’invecchiamento. Nel caso di alcuni individui, a causa dell’espressione del repertorio genetico e dell’interazione con l’ambiente, possono presentarsi modelli di neurodegenerazione accelerata o specifica, causando una condizione patologica. Tra i fattori che influiscono sulle conseguenze dei processi neurodegenerativi – spiega Leocani – e persino la neurodegenerazione, la neuroplasticità svolge un ruolo fondamentale.
Il termine è utilizzato per includere tutti i fenomeni che si verificano nella struttura e nelle funzioni neurali in risposta a un’attività, come l’apprendimento o la pratica o anche a una lesione. Pertanto, una delle strategie per prevenire i processi neurodegenerativi o per contrastarne gli effetti consiste proprio nel favorire la plasticità positiva, contrariamente a quella dannosa che si verifica quando le trasformazioni neurali conducono a risultati avversi. Per esempio, la promozione attiva di comportamenti che portano alla sopravvivenza e alla connettività neurale come l’allenamento cognitivo e motorio, ma anche l’utilizzo di stimoli fisici che possono modulare la stessa attività neurale, dai naturali input visivi, uditivi e somatosensoriali agli interventi di neuromodulazione».
Oggi i progressi tecnologici permettono approcci di neuromodulazione non invasiva, come la stimolazione magnetica transcranica o la corrente diretta. «Questi metodi agiscono sui meccanismi della plasticità sia aumentando, sia diminuendo l’attività neurale e possono essere utilizzati per ripristinare e incrementare l’equilibrio ideale tra attività eccitatoria e inibitoria nei circuiti cerebrali di riferimento.
È stata avanzata l’ipotesi che la strategia ideale per ottimizzare i risultati è quella di combinare tutti i metodi per avere un effetto sinergico. Tuttavia, c’è molto ancora da scoprire riguardo le migliori combinazioni in base alle condizioni e alle preferenze di ciascun paziente. Se la prevenzione, in genere, è molto più efficace delle terapie, c’è bisogno di molto lavoro sia in campo di ricerca medica, sia nell’ambito della discussione etica sulla possibilità di potenziare le funzioni neurali all’apparenza non ancora compromesse».