Circa 250 mila casi, solo in Italia, con un’equa ripartizione tra uomini e donne, e una prevalenza di circa lo 0,3% della popolazione. Sono i numeri delle malattie infiammatorie croniche intestinali (Inflammatory bowel disease, Ibd) di cui colite ulcerosa e la malattia di Crohn sono quelle a maggiore diffusione e impatto.

Le implicazioni delle Ibd

Restano importanti in entrambi i sessi, ma sono le donne (100 mila circa) a pagarne i conti e i rischi maggiori: «Negli ultimi decenni – spiega Fabiana Castiglione, professore Associato di Gastroenterologia, Direttore UOSD Terapie avanzate delle malattie infiammatorie croniche intestinali, Università degli Studi di Napoli Federico II – si è assistito a un forte incremento di incidenza di queste patologie, con un picco tra i 15 e 40-45 anni, nell’età riproduttiva e più produttiva della donna. Dunque le Ibd spesso si associano al timore e potenziale impatto su fertilità, gravidanza, salute del feto, allattamento».

Un impatto non solo clinico, ma anche psico-emotivo il cui peso si estende alla sfera intima sessuale in generale, alla cronicità della malattia, alle sue manifestazioni nelle diverse fasi di attività e delle vita, fino alla malattia perianale: «Non sono ereditarie, ma c’è una familiarità – aggiunge la èrofessoressa – se in un nucleo famigliare ci sono o si sono avuti casi di Ibd, può esserci un maggior rischio di svilupparle rispetto alla popolazione generale».

La corretta programmazione della gravidanza

Le Ibd possono non costituire una limitazione anche al progetto di genitorialità, ma è necessario programmare la gravidanza, in relazione soprattutto alle terapie da assumere in maniera “cronica”, a vita. Terapie, oggi efficaci e sicure, anche nelle delicate fasi di gravidanza e allettamento, senza un impatto sul feto. Tuttavia, vanno accuratamente modulate, in particolare in caso di specifiche molecole: mesalazina, cortisone e molti farmaci biologici.

«Si tratta di farmaci sicuri in particolare nei primi sei mesi di gravidanza. Poi – precisa Fabiana Zingone, Ricercatore di Gastroenterologia U.O.C. Gastroenterologia Azienda Ospedale Università di Padova – poiché gli anticorpi monoclonali attraversano la placenta nel terzo trimestre di gravidanza e solo in questa fase, si preferisce interrompere la terapia per riprenderla nel post-parto. Da qui l’importanza di programmare una gravidanza quando la malattia è in remissione e controllata dalla terapia farmacologica, piuttosto che in fase attiva e senza l’assunzione di farmaci. In buona sostanza, la terapia non è pericolosa, mentre è pericoloso per il feto e per la donna, affrontare la malattia quando c’è infiammazione attiva o severa».

Alcuni studi attesterebbero una riduzione della fertilità correlata alle fasi di attività della malattia, tuttavia se le Ibd sono ben controllata, gli effetti possono essere favorevoli anche sulla fertilità. La chirurgia resta una opportunità, soprattutto nel caso della malattia di Crohn, e da valutare con attenzione: gli interventi sono impattanti anche in età giovanile, soprattutto nella zona addomino-pelvica. «La chirurgia o un farmaco – rassicura Castiglione – se somministrato al momento giusto, quando cioè la malattia non è eccessivamente avanzata, aggressiva o complicata, possono riportare a una normalità di vita».

La terapia in età

La gestione corretta sul piano farmacologico è utile anche in età avanzata, quando sopraggiungono menopausa e invecchiamento. «Alcuni farmaci, come il cortisone – continua Castiglione – sono estremamente attivi, hanno cioè un potere antinfiammatorio che si esplica in maniera rapida ed efficace. Come il cortisone, ad esempio, ma da utilizzare solo nelle fasi acute, e solo, in genere in una prima fase di malattia per lasciare il posto in caso di riacutizzazioni successive a farmaci che non hanno gli effetti collaterali del cortisone nel lungo termine. Un caso su tutti, l’osteoporosi i cui esiti possono essere accentuati da una terapia steroidea prolungata. Mentre i farmaci biologici aiutano a evitare la dipendenza dal cortisone stesso, evitando l’assunzione di terapie che a lungo termine aumentato rischio di osteoporosi per la donna in contesti già critici a livello fisiologico».

La diagnosi precoce

È fondamentale ed è, dunque, importante che medici di medicina generale e specialisti colgano i sintomi d’allarme, che in particolare nella malattia di Crohn possono essere subdoli e confusi con altre condizioni non patologiche funzionali. «L’evoluzione del sistema di cura e dei nuovi farmaci disponibili – conclude Enrica Previtali, presidente AMICI Onlus, Associazione nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino – può garantire alle pazienti con Malattia di Crohn e Colite Ulcerosa una vita normale, ma la medicina di genere deve favorire la conoscenza e quindi la gestione di tutti quegli aspetti tipicamente legati alla donna, quale la gravidanza.

Favorire l’informazione corretta e la conoscenza alle donne con IBD è uno “strumento” per assecondare il desiderio di maternità, affrontandola in tutte le sue fasi – dalla programmazione al parto – con maggiore consapevolezza e serenità, grazie alla collaborazione di team multidisciplinari. Allo stesso modo nelle varie fasi della vita poter contare su percorsi dedicati favorisce un miglioramento della condizione di salute delle pazienti».