Stili di vita, scienza e conoscenza, tecnologie e Intelligenza Artificiale, da un lato. Dall’altro politiche sanitarie, sociali e ampliamento di servizi. Sono gli strumenti e le azioni che, in sinergia, possono contribuire a supportare un percorso verso la longevità in salute, la health span, necessario contrappeso alla life span, la quantità di vita, il cui divario è ancora netto. Si vive a lungo, ma in gran parte dei casi convivendo con stati di malattia, purtroppo, cronica, comorbidità, che limitano autonomie e abilità, compromettendo il benessere generale.
Chiave di volta per favorire la health span, stili di vita corretti, responsabilmente adottati e condotti che associano a conferme di evidence-based medicine, ma anche opportunità diagnostico-terapeutiche di prevenzione primaria, secondaria e in ambito riabilitativo, legate all’introduzione di innovativi device (dispositivi medici) e altre tecnologie.
Strumenti, questi ultimi, che sul lato di pratica clinica aiutano la persona a prendere consapevolezza delle proprie azioni e bisogni e a perseguire comportamenti “sani e longevi”, e sul lato scientifico possono supportare nella conduzione di progetti di ricerca, nell’elaborazione di importanti mole di dati, nel sostenere obiettivi di cura “fenotipizzati” sul paziente, in un’ottica di medicina non solo di precisione e personalizzata ma predittiva e preventiva.
La medicina della longevità sta movendo importanti e ambiziosi passi avanti in conoscenza e applicazione, come è emerso dal recente Milano Longevity Summit.
Il trinomio della lunga vita
A basso costo, alla portata di tutti e con una importante efficacia preventiva: «Varie forme di digiuno, in particolare la dieta mima digiuno – introduce Alberto Beretta, immunologo ed esperto di medicina della longevità, Direttore scientifico di SoLongevity e membro del comitato scientifico del Milan Longevity Summit – sta dimostrando la capacità, oltre al benefico clinico sulla salute, di ridurre di qualche anno l’età biologica.
In alleanza con l’attività fisica l’effetto è esponenziale: è dimostrato che il movimento, una sorta di “pillola universale” senza effetti avversi, impatta favorevolmente sui 10 indicatori di invecchiamento, gli hallmarks, ad oggi noti, “allenando” il sistema cardiovascolare a funzionare meglio, riducendo il rischio di mortalità oncologica, contrastando il dismetabolismo».
In parallelo alla clinica, sono in via di sviluppo studi di biologia cellulare dove si impongono grandi sfide, tra queste arrivare ad attivare meccanismi di “garbage”, pulizia cellulare, tramite ad esempio molecole che stimolano la proteostasi o prodotti naturali nutrizionali, alcuni dei quali già disponibili.
«Se tutte queste “soluzioni” scientifiche, cliniche e biologiche, potranno essere tradotte in molecole o prodotti efficaci per la longevità resta una “open question” per i prossimi 15-20 anni. L’auspicio – conclude Beretta – è che anche lo Stato comprenda l’importanza per i Sistemi Sanitari Nazionali di investire in prevenzione primaria e in nuove tecnologie pro-longevità a vantaggio di un sensibile e non scontato risparmio in costi di gestione e trattamento delle patologie, confermati da studi di farmacoeconomia e di guadagni qualità di vita per la persona centenaria». Entriamo nel dettaglio delle varie tematiche.
Stili di vita
Pietre miliari della longevità, dieta a basso contenuto calorico e ricca di principi nutritivi, e attività fisica, costante e regolare, di tipo prevalentemente aerobico finalizzata al potenziamento delle principali attività fisiologiche, applicati a livello individuale consapevolmente e responsabilmente, sono il primo “passaporto” verso la centenarietà. I benefici di una dieta ipocalorica emergono da studi di laboratorio e di real life.
«Alcuni esperimenti che abbiamo condotto sui lieviti – spiega Valter Longo, Direttore del USC (University of Southern California) Longevity Institute (US) – mostrano che abbinando la mutazione TOR, una tra vie più importanti di segnalazione pro-invecchiamento oggi riconosciute, a una seconda mutazione riferita al RAS pathway, via di segnalazione coinvolta in molteplici processi cellulari, al digiuno è possibile estendere la vita di questi organismi semplici di circa 10 volte.
Studi trentennali condotti da altri laboratori di ricerca sulle scimmie, di cui alcune alimentate con Western Diet ed altre con la stessa dieta ma con restrizione calorica del 25%, fanno osservare nel 60% di animali sottoposti a una dieta normale lo sviluppo di insulino-resistenza o di diabete a fronte di un tasso di solo il 5% in scimmie sottoposte a dieta con restrizione calorica. Inoltre, in questo secondo gruppo si è osservata anche la riduzione di tumori del 50% e di malattie cardiovascolari del 20-30%.
Tuttavia, andando ad analizzare la curva di sopravvivenza e la moralità per tutte le cause, è emerso un andamento quasi sovrapponibile fra i due gruppi di scimmie facendo presumere che sebbene la restrizione calorica induca l’abbassamento del rischio per patologia, dall’altro attiva meccanismi che controbilanciano gli effetti positivi».
La dieta mima-digiuno
Forti di queste evidenze e criticità, si è iniziato a studiare un modello di dieta restrittiva che ovviasse a questi effetti collaterale, mantenendo tuttavia la stessa azione benefica indotta dal digiuno, applicabile e “tollerabile” per l’uomo; un modello che ha trovato un riscontro di efficacia nella dieta mima-digiuno, regime che alterna una dieta normale a cicli di dieta restrittiva per 5 giorni al mese: «Un recente studio che abbiamo condotto sui topi, pubblicato su Nature Communication – prosegue Longo – mostra che cicli periodici di una dieta mima-digiuno svolgono un effetto protettivo sulle cellule sane, uccidendo le cellule danneggiate, comprese quelle tumorali e autoimmuni, riducono l’infiammazione (inflammaging) alla base dello sviluppo di molteplici patologie croniche, autoimmuni, neurodegenerative, compreso i tumori, promuovono la rigenerazione multisistemica e prolungano la longevità.
Evidenze che abbiamo confermato anche con un’analisi secondaria su campioni di sangue provenienti da un precedente studio clinico randomizzato, da cui si evince che 3 cicli di mima-digiuno associano, in particolare in soggetti adulti, a una ridotta resistenza all’insulina e ad altri marcatori pre-diabetici, alla diminuzione di grasso epatico misurata alla risonanza magnetica e all’aumento del rapporto linfoidi/mieloidi, quest’ultimo un indicatore interessante dell’età del sistema immunitario.
Sulla base di un bioaging clock, messo a punto da Morgan Levine, che misura l’età biologica predittiva di morbilità e mortalità, in relazione ad alcuni fattori di rischio come proteina C reattiva, pressione sanguigna e sistolica, colesterolo totale, emerge che 3 cicli di dieta mima-digiuno correlano a una diminuzione di 2,5 anni dell’età biologica media, indipendente dalla perdita di peso, ma presumibilmente per una “riprogrammazione metabolica” legata a cambiamenti indotti a insulina, IGF1 ed altri parametri che spostano il paziente da uno stato di insulino-resistenza a insulino-sensibile.
In buona sostanza la dieta mima digiuno impatterebbe positivamente su molteplici fattori di rischio cardiometabolici e biomarcatori dell’età biologica».