La recente “crisi del Fentanyl”, oppioide sintetico definito anche “droga degli zombie” – molto più potente sia dell’eroina che della morfina – il cui abuso può avere conseguenze letali, è per molti esperti la più grave emergenza sanitaria pubblica negli Stati Uniti dal secondo dopoguerra. Per molti versi probabilmente è la fase di una crisi degli oppiacei iniziata con l’eccesso di prescrizioni di antidolorifici negli anni ‘90.
Questo farmaco, e altri analoghi, hanno progressivamente sostituito l’eroina a partire dal 2010, provocato un’enorme quantità di decessi per overdose, in una strage silenziosa che tra la fine degli anni Novanta e il 2023 ha provocato oltre un milione di morti.
In realtà si tratta di un medicinale abitualmente utilizzato per il trattamento delle forme di dolore più importanti, come il dolore oncologico cronico, inserito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella lista dei farmaci essenziali per il dolore nelle cure palliative che viene anche utilizzato in clinica come sedativo nell’induzione dell’anestesia. Parallelamente al mercato legale, si è dunque sviluppato un mercato illegale di questa sostanza, diffusa prevalentemente nel dark web, ma venduta anche e soprattutto da siti cinesi, recapitata tramite posta e pagata con criptovalute non sempre tracciabili.
Al momento questo fenomeno sembra aver solo sfiorato l’Europa e l’Italia in particolare, o almeno così dicono i dati di monitoraggio che da tempo vengono effettuati periodicamente sulle acque reflue delle principali città del nostro Paese alla ricerca della sostanza e che finora hanno dato risultati piuttosto negativi. Si teme, tuttavia, che anche da noi possa ripetersi la tragica dinamica statunitense, anche perché l’Interpol già nel 2023 aveva individuato in Europa circa 400 laboratori clandestini, qualcuno pare anche in Italia.
Per la sicurezza dei cittadini, soprattutto dei giovani, è attivo da tempo un Piano Nazionale di Prevenzione contro l’uso improprio di Fentanyl e di altri oppioidi sintetici e la Procura Nazionale Antimafia ha costituito un gruppo di lavoro per elaborare protocolli d’intervento.
Per quanto importante, anzi fondamentale, questo lavoro di prevenzione anticrimine e di gestione della sicurezza dei cittadini non è a mio parere il centro del problema che, invece, è il lavoro culturale da fare per cambiare radicalmente l’approccio dei giovani, e non solo, alla propria salute e in fondo alla vita. Promuovere, quindi, una cultura del naturale, della ricerca di risposte non farmacologiche a problemi che soprattutto nei giovani sono esistenziale più che clinici, cercando di far riflettere sulla povertà di una cultura fatta solo di sguardi fissi su computer e cellulare.
Bisogna partire dalle scuole, anche quelle primarie, impostando un programma serio di educazione alla salute e di conoscenza del proprio corpo e delle possibili variazioni psicofisiche di questo stato che chiamiamo “malattia”. Variazioni che non sono solo sofferenza, malessere, ma tentativi di adattamento e di superamento delle difficoltà che le persone incontrano nel proprio contesto familiare, lavorativo, sociale.
Si tratta, dunque, di sviluppare educazione alla salute, “salutogenesi“, un contesto in cui le medicine complementari e integrate possono svolgere un ruolo fondamentale, ribadendo il concetto che mente e corpo non sono entità separate, ma un’entità indivisibile e incentivando uno stile di vita salutare che preveda l’attività fisica, lo sport, ma anche la meditazione e le varie tecniche mente-corpo.
Nel quadro di una cultura volta non alla immediata farmacologizzazione dei problemi della vita, ma che punti a un lavoro, paziente e prezioso, di crescita interiore e a una maggiore consapevolezza sulla propria storia personale e collettiva. Solo così si può contrastare l’espandersi della “dipendenza” in senso lato e contribuire alla costruzione di una società più sana e meno farmacodipendente.