La grande conferenza internazionale che si svolgerà dall’11 al 13 novembre a Firenze «Nuove frontiere dell’oncologia integrata. Dalla ricerca all’integrazione nei servizi sanitari» è lo scenario ideale per sviluppare il confronto fra le più avanzate strutture internazionali e il mondo dell’oncologia integrata italiana. Abbiamo incontrato il presidente dell’ARTOI Massimo Bonucci per avere anticipazioni sul Congresso.
Dottor Bonucci come si colloca all’interno di percorsi avviati questo incontro sull’oncologia integrata e quali sono le sue prospettive?
La valenza internazionale di questo convegno, che ne costituisce il valore aggiunto e la cifra, pone solide basi per fare un salto di qualità nell’oncologia integrata del nostro Paese collocando gli interventi e le esperienze in corso in un quadro di più ampio respiro. La convocazione a Firenze dei massimi esperti dell’oncologia integrata che da anni operano in questo ambito risponde dunque allo scopo di fare conoscere questi percorsi, metterli a disposizione di chi lavora in Italia, socializzare il patrimonio di esperienze. La nostra presenza all’estero inoltre legittima ancora di più il lavoro che viene condotto anche in Italia. È bene sapere che il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York non è soltanto uno dei più avanzati ospedali oncologici al mondo, ma che al suo interno è attivo da anni un Dipartimento di medicina integrata, con il quale siamo in contatto. E ciò vale anche per il MD Anderson Cancer Center di Houston.
Occorre conoscere queste esperienze e riconoscere a esse il valore che effettivamente hanno, valorizzando quelle terapie e tecniche, agopuntura, fitoterapia o anche meditazione, che concorrono a migliorare la qualità di vita dei malati di tumore. L’integrazione oggi dunque non può più essere solo enunciativa, ma deve diventare una collaborazione concreta fra le figure cliniche che operano nel percorso assistenziale del malato di tumore. Ciascuno nella propria autonomia e specificità e in un clima di reciproca fiducia. Chiederemo con forza che si sviluppino sempre di più il dialogo e la collaborazione fra le medicine complementari e il mondo dell’oncologia classica. Una collaborazione che ha come prima e principale prospettiva aiutare i pazienti durante la malattia oncologica ampliando il ventaglio di trattamenti a loro disposizione. Occorre a tale fine, ovviamente, abbandonare schemi e preconcetti che possono talvolta originare rigidità nella relazione con il paziente, il quale, recependola, rischia purtroppo di rivolgersi a figure non qualificate, mettendo a rischio la propria salute e la validità stessa del percorso di cura.
È questo il messaggio fondamentale: collaborazione in funzione del benessere del paziente, il quale in un momento in cui si appresta a compiere scelte importanti non può essere abbandonato a se stesso, ma deve essere adeguatamente indirizzato, sulla base della conoscenza di quanto esiste. Oggi sappiamo con certezza che alcuni trattamenti di medicina integrata sono in grado di ridurre il carico di effetti collaterali inevitabilmente correlati alle cure oncologiche convenzionali. E questo offre un vantaggio in più. Infatti, nel momento in cui la sintomatologia si attenua, aumenta la compliance del paziente ai protocolli e alla chemioterapia, che potrà essere somministrata nel modo, nel momento e nelle dosi stabiliti. Ed è una sinergia importante, essendo noto che una chemioterapia sottodosata non sortisce l’effetto necessario. La collaborazione perciò non è più un’opzione ma una necessità, e la domanda da porsi è «come e con quali modalità somministro trattamenti integrati?». È innegabile insomma che alcune evidenze scientifiche a supporto dell’oncologia integrata siano tali che queste opportunità non possono essere più sottratte al paziente. Potremmo forse dire di più, e cioè che il mancato ricorso a esse si traduce in un danno per il paziente.