Da lievi a severi. È questa la gamma di conseguenze osservate in pazienti SARS-CoV-2 positivi: una percentuale anche fino al 15% di polmoniti gravi, sindrome da distress respiratorio acuto o insufficienza multiorgano in circa il 5% dei pazienti o, in altri casi, esiti trascurabili. Quali sono le cause che possono indurre questa variabilità di manifestazioni in termini di intensità sintomatologica, può e in quale misura avere un impatto il microbiota intestinale? Se lo sono chiesto un gruppo dii ricercatori dell’Università di Zhejiang che hanno pubblicato il loro lavoro su Advanced Science.

Lo studio

Ricercatori cinesi, per rispondere ai quesiti anticipati, hanno avviato uno studio che ha previsto la raccolta in soggetti sani e COVID-19 positivi di 143 campioni di muco polmonare (attuata in soggetti con infezione al ricovero, durante la progressione di malattie e nella fase di recupero) e 97 campioni fecali prelevati in pazienti positivi nella fase di progressione di malattia e guarigione. Intento dello studio era infatti analizzare la composizione del microbiota, nell’ipotesi che la differente popolazione microbica potesse determinare un impatto variabile sulla severità della sintomatologia. Attese che non sono state smentite: dalla analisi condotte è stato possibile osservare che alcune tipologie di batteri – Streptococcus, Rothia e Actinomyces – erano maggiormente presenti, rispetto ad altri ceppi, in entrambe le popolazioni di partecipanti allo studio, tuttavia è stata notata anche una differenziazione: i Bacteroides, in genere erano più abbondanti nel microbiota intestinale delle persone sane e inferiori nei pazienti COVID-19, che presentano invece un numero maggiore di batteri Enterococcus.

Più nel dettaglio

Al momento del ricovero, nei pazienti con COVID-19 ricoverati in ICU è stata osservata un’abbondanza maggiore di Veillonella, Malassezia, Neisseria e Candida e livelli più bassi di Streptococcus, Atopobium, Actinomyces e Mogibacterium rispetto ai pazienti COVID-19 non ricoverati in terapia intensiva e livelli di streptococco elevati nella fase di recupero di tutti i pazienti con COVID-19. Durante questa fase, i pazienti ricoverati in ICU presentavano una ridotta abbondanza di Mogibacterium, Prevotella, Atopobium, Gemella e Bacteroides e livelli elevati di Candida, Enterococcus, Acinetobacter, Pseudomonas, Lautropia e Neisseria. Dunque, in linea generale, è emerso che pazienti COVID-19 ricoverati in ICU da un lato mostravano una ridotta diversità microbica sia del tratto respiratorio sia nel microbiota intestinale e dall’altro livelli più elevati di specifiche cellule immunitarie e molecole infiammatorie rispetto ai pazienti COVID-19. ma non ricoverati in ICU.

Prime evidenze

I risultati dello studio circa i cambiamenti nella composizione microbica delle persone con COVID-19 ne suggerirebbero un potenziale utilizzo come biomarcatori dell’infezione polmonare e della disbiosi del microbiota delle vie respiratorie, al fine di identificare e predire lo sviluppo di infezioni più o meno severe.

Fonte:

  • Shen Y, Yu F, Zhang D et al. Dynamic Alterations in the respiratory tract microbiota of patients with COVID-19 and its association with microbiota in the gut. Advanced Science, 2022