Che ci fossero problemi nel funzionamento dell’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco non è una sorpresa. Si sapeva già da tempo. Soprattutto lo sapevano le aziende farmaceutiche, e di conseguenza operatori sanitari e cittadini/pazienti, che, come documenta un servizio del settimanale L’Espresso di qualche tempo fa, hanno i tempi di attesa fra più lunghi d’Europa (300 giorni contro i 38 della Germania) per avere l’accesso al mercato di nuovi farmaci. A fronte di tanti problemi evidenziati dall’agenzia c’è stato chi, come la Società Italiana di Oftalmologia ha avanzato una richiesta di commissariamento, ritenendo che l’Aifa non sia in grado di svolgere adeguatamente i suoi compiti istituzionali. E così hanno fatto i diabetologi e la Consulta delle società scientifiche per la riduzione del rischio cardiovascolare, ma anche gli oncologi dell’Aiom.
In questo contesto potrebbe dunque sembrare che le recenti decisioni dell’Aifa riguardo le procedure di registrazione per i prodotti omeopatici siano semplicemente il risultato di una rigida messa in pratica di disposizioni, originariamente previste per qualsiasi medicinale convenzionale, e che non tiene conto della specificità del medicinale omeopatico. L’impressione però è che alla base di queste scelte dell’Agenzia ci sia altro.
Proviamo a riassumere i termini della questione: il 13 settembre 2012 è stato approvato il Decreto Legge n.158, convertito in Legge nel novembre 2012 che ha integrato le procedure di registrazione per i prodotti omeopatici previste dall’ art.20 del Decreto Legislativo n.219/2006.
Sulla base di queste disposizioni, per altro attese da anni da tutto il settore, successivamente è stato approvato il Decreto del Ministero della salute del 21.12.2012 “Aggiornamento degli importi delle tariffe e dei diritti per le prestazioni rese a richiesta e a utilità dei soggetti interessati” riguarda la registrazione di medicinali omeopatici e di medicinali di origine vegetale basata sull’uso tradizionale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2013, che prevede un innalzamento dei costi di registrazione dei farmaci omeopatici, con tariffe per le registrazioni dei medicinali omeopatici, fissate dall’Aifa, non sostenibili da questo settore produttivo. Si calcola che per ogni registrazione si possa arrivare al pagamento di una tassa di circa 23.000 euro, un importo maggiore di un migliaio di volte l’attuale. È evidente che si tratta di un costo assolutamente sproporzionato all’entità mercato dei medicinali omeopatici in Italia, tenendo conto che il comparto produttivo è costituito da circa 20 aziende, con un fatturato complessivo di circa 140 milioni di euro che producono una spesa totalmente a carico dei cittadini di circa 300 milioni e ogni azienda omeopatica ha la necessità di registrare diverse centinaia di farmaci, da anni presenti sul mercato, con un aggravio di spesa eccessivo tale da risultare non sostenibile per aziende con un fatturato in genere di piccola o media entità.
L’attuazione delle norme previste, non concertate da alcun tavolo di consultazione così come più volte richiesto dalle aziende omeopatiche e mai attuato, rischia di portare all’azzeramento di tutto il settore produttivo omeopatico. Significa mettere in discussione, nei fatti, l’esistenza stessa dell’esercizio dell’Omeopatia in Italia e rappresenta di fatto un tentativo di metterla al bando senza arrivare a una proibizione ufficiale, una scelta impraticabile di fronte alle richieste quotidiane di milioni di utenti.
Tali scelte da parte dell’Agenzia, così sproporzionate e irrealistiche, lasciano dunque trasparire non già una prevedibile inefficienza o scarsa conoscenza del fenomeno, ma la precisa volontà di affossare un sistema, un comparto, e dunque un altro modo di concepire la cura e la gestione della salute da parte del cittadino.
Evidentemente il retropensiero su cui le recenti disposizioni si reggono è la vecchia idea che il medicinale omeopatico non contenga nulla di farmacologicamente attivo, che sia solo “acqua fresca”, pagata a caro prezzo, quindi un “non farmaco”, ovvero un placebo contrabbandato come farmaco, ignorando così sia i più recenti risultati della ricerca scientifica che quanto hanno fatto le aziende ormai da molti anni per equiparare i propri standard alle buone pratiche di produzione farmaceutica.
È sbagliata questa ipotesi? Non è questa la reale volontà dell’Aifa? Stiamo male interpretando i fatti che abbiamo descritto? Può anche essere.
Esiste un solo modo per smentire qualsiasi congettura malevola nei riguardi delle intenzioni dell’Agenzia rispetto al destino della regolamentazione del medicinale omeopatico nel nostro Paese e cioè che l’Aifa si impegni da subito a riconsiderare, riducendole in modo che le tariffe proposte siano eque e sostenibili e che venga ristabilita la connessione fra la necessità di efficacia sicurezza di qualsiasi farmaco e quella dei produttori di fornire agli utenti dell’Omeopatia il medicinale che richiedono.
In altri termini, che si consenta in tempi difficili come quelli attuali, a un intero settore di sopravvivere e progredire, garantendo certezze positive agli operatori e ai tanti cittadini che da tempo hanno scelto un altro modo di curarsi e di intendere il concetto stesso di salute e di malattia.
Elio Rossi