Risale al 2016 lo studio (Association of brain amyloidosis with pro-inflammatory gut bacterial taxa and peripheral inflammation markers in cognitively impaired elderly”) pubblicato da Annamaria Cattaneo e Giovanni Frisoni, dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia, sulla rivista Neurobiology of Aging che suggerisce un possibile legame tra la malattia di Alzheimer e alcuni microbi pro-infiammatori nell’intestino, responsabili di alterazioni nell’organismo.

Questo filone di ricerca è stato portato avanti ulteriormente dalla dottoressa Cattaneo, responsabile del Laboratorio di Psichiatria Biologica dell’Irccs Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, con lo scopo di indagare il ruolo del microbiota intestinale nella patogenesi della malattia, perché potrebbe rappresentare un importante target terapeutico.

«Il punto di partenza è stato il meccanismo della proteina amiloide, prodotta dal cervello e con importanti proprietà antibatteriche. Quando si accumula, porta a una degenerazione dei neuroni e alle conseguenze cliniche come la perdita di memoria, tipica dell’Alzheimer. Si è visto che la beta-amiloide ha anche proprietà antibatteriche e potrebbe essere prodotta nel cervello in seguito al riconoscimento di qualche sostanza estranea e di origine batterica».

Il microbioma enterico coinvolto nella patogenesi della malattia

«Da qui abbiamo spostato l’attenzione all’intestino dove, nei malati di Alzheimer, ceppi di batteri antinfiammatori convivono con quelli pro-infiammatori, ma con un chiaro sbilanciamento verso questi ultimi, nettamente in quantità superiore – prosegue la dottoressa -. Quando nell’intestino si sviluppa uno stato infiammatorio, significa che alcune molecole e metaboliti batterici dall’intestino, così come batteri, possono entrare in circolo e dal circolo raggiungere il cervello, dove possono contribuire allo sviluppo di diverse malattie neurodegenerative tra cui la malattia di Alzheimer».

Dunque, è importante valutare il profilo del microbiota enterico, coinvolto nella patogenesi dell’Alzheimer, tanto che «la manipolazione del microbiota intestinale potrebbe potenzialmente contribuire, insieme alla concomitante assunzione di altre terapie farmacologiche, a un rallentamento della malattia di Alzheimer. Nonostante molti studi debbano ancora essere condotti prima di poter introdurre la manipolazione del microbiota in campo clinico e nuove strategie che abbiano come target il microbiota debbano essere implementate, possiamo iniziare a pensare al microbiota intestinale come potenziale nuovo bersaglio terapeutico personalizzato».

Un’opportunità in più per fare prevenzione

Alla comparsa di sintomi con deficit cognitivi moderati, occorre rivolgersi a centri specializzati in grado di fornire percorsi ad hoc per cercare di rallentare il decorso della malattia, laddove possibile, aggiunge infine Cattaneo. «In questi percorsi di prevenzione anche trattamenti specifici con effetto protettivo per il microbiota, come per esempio la dieta, l’assunzione di probiotici, fino a menzionare l’alternativa terapeutica più complessa come il trapianto fecale, potrebbero essere efficaci in una fase molto precoce della malattia».

Bibliografia:

  • Cattaneo A, Cattane N, Galluzzi S, Provasi S, Lopizzo N, Festari C et al. Association of brain amyloidosis with pro-inflammatory gut bacterial taxa and peripheral inflammation markers in cognitively impaired elderly. Neurobiol Aging. 2017 Jan;49:60-68.