Per la prima volta, la sentenza di un Tribunale italiano riconosce il nesso di causalità tra il cancro e vaccini somministrati con tempi, modalità e controlli sbagliati. Infatti il Ministero della Salute è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Ferrara, a indennizzare la famiglia di un militare deceduto nel 2002, a 22 anni, per un linfoma non Hodgkin. La sentenza, secondo quanto riportato dai giornali, dato che al momento non è stata ancora resa pubblica, afferma infatti esplicitamente che le vaccinazioni subite dal militare avrebbero portato allo sviluppo della patologia tumorale. La sentenza, emessa dal giudice di Ferrara crea un precedente atteso da molti militari affetti da forme tumorali che si sono sviluppate al ritorno da zone di guerra ma anche in soggetti che all’estero non sono mai andati; almeno 3.000, secondo le associazioni di familiari, ma sui numeri non è mai stata fatta chiarezza dai ministeri di Salute e Difesa che finora non avevano mai riconosciuto questa responsabilità. Si era infatti parlato di uranio impoverito come una possibile causa dei tumori, prevalentemente del sangue, ma appunto almeno l’85 per cento dei militari ammalati non era mai stato a contatto con l’uranio. Sarebbero quindi i vaccini somministrati in grande numero, a volte ripetuti, spesso somministrati in contemporanea o a breve distanza temporale, a indebolire i soggetti fino ad allora considerati assolutamente sani, come comprovati da visite mediche ed esami ematologici, a creare alterazioni immunitarie tali da indebolire l’organismo aprendo il varco all’ingresso di possibili sostanze tossiche o inquinanti come appunto l’uranio impoverito ma anche la diossina, o altri agenti chimici a cui i soggetti possono essere esposti. Secondo autorevoli esperti intervistati nell’occasione il problema potrebbe essere non tanto la tossicità di questo o quel vaccino, ma il fatto che per praticità e velocità si fanno vaccinazioni a tappeto uguali per tutti, senza controllare se il vaccino è già stato somministrato, se le condizioni di salute della persona che subisce l’inoculazione sono buone, o se il soggetto ha ricevuto o meno altre vaccinazioni recenti, per esempio pochi giorni prima, o addirittura vengono fatte tutte insieme, con poca cura se la malattia (nel caso delle esantematiche) è già stata fatta naturalmente o meno. E chi vaccina spesso sono infermieri e non i medici. Se così stanno le cose, allora una domanda sorge spontanea: stiamo parlando di particolari condizioni in cui la pratica vaccinale viene fatta in ambito militare e quindi di una comprensibile, oggettiva difficoltà ad osservare i protocolli oppure, molto semplicemente questa è nella stragrande maggioranza dei casi la modalità abituale con cui le vaccinazioni vengono somministrate, particolarmente in età pediatrica? Antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica, antiepatite virale B, antimorbillo, parotite, rosolia, Haemophilus influenzae b (Hib), pneumococco, da meningococco C, varicella vengono normalmente consigliate nei primi mesi di vita a tutti i bambini italiani e sono molto più numerose di quelle praticate ai militari italiani; inoltre, più che a breve distanza, vengono quasi tutte somministrate contemporaneamente. Non c’è fra queste l’antitifica ma sembra difficile che sia questo vaccino, conosciuto e praticato da anni, la causa di tutti i problemi. E di certo l’attenzione alla salute dei bambini al momento della vaccinazione in molti casi è quella dovuta per garantire la massima sicurezza di questo atto medico così come spesso accade che si vaccini anche chi dichiari di avere già contratto quella data malattia. Insomma una sentenza questa di Ferrara che apre uno squarcio di verità non solo sulla realtà specifica, i militari, ma sembra mettere in discussione il cardine stesso della medicina preventiva: la vaccinazione di massa, almeno così come questa pratica si è andata affermando nella sanità pubblica in questi ultimi anni. E a questi dubbi, prima o poi, si dovranno fornire risposte finalmente adeguate.
Elio Rossi