Luci spente e ambienti bui, una strategia molto “economica” e vantaggiosa anche per la salute. Dormire nell’oscurità secondo un recente studio pubblicato su JAMA Network Open, risparmierebbe o comunque ridurrebbe il rischio di ictus e insufficienza cardiaca negli adulti over 40.
Esposizione alla luce notturna
I dati sono ampli e robusti e non lascerebbero dubbi di errata interpretazione: una analisi di ricercatori su oltre 88.900 partecipanti alla UK Biobank, di età media di 62,4 anni, di cui il 57% donne, monitorati per un periodo medio di 7,9 anni, sani, senza nello specifico malattie cardiovascolari al basale, sembra dimostrare una chiara associazione dose-dipendente tra l’esposizione alla luce notturna e un rischio maggiore di malattie cardiache, mentre l’esposizione alla luce diurna correlerebbe a rischi inferiori in modelli minimamente aggiustati e socioeconomicamente aggiustati; associazioni che non sono risultate significative dopo il completo aggiustamento dello stile di vita. In generale, i dati mostrerebbero che soggetti esposti a una luce più intensa, di notte, sono suscettibili per lo sviluppo, con una probabilità fino al 50% maggiore di malattie cardiache, tra cui ictus e insufficienza cardiaca, a fronte della luce diurna che invece può proteggere il cuore rafforzando i sani ritmi circadiani.
Tale rischio sarebbe condizionato da alcuni fattori quali età specifica – superiore ai 40 anni – sesso, femminile, corredo genetico: un pool di componenti che determinerebbe anche un rischio specifico: nelle donne insufficienza cardiaca e coronaropatia, e nei partecipanti più giovani insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale, senza chiare alterazioni per infarto miocardico o ictus.
Il concetto di base
Una sana funzione cardiovascolare si associa a ritmi circadiani ben regolati, che a loro volta influenzano la funzione vascolare, la tolleranza al glucosio, i livelli ormonali, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca.
L’interruzione di questi ritmi, dovuta all’esposizione alla luce o a ritmi di sonno irregolari, può aumentare la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca, l’infiammazione e ridurre la variabilità della frequenza cardiaca. Studi sugli animali dimostrano che un’interruzione circadiana prolungata può indurre alterazioni cardiache strutturali, come ipertrofia e fibrosi e peggiorare l’insufficienza cardiaca.
Prove epidemiologiche collegano tali eventi anche a lavori su turni, che possono disturbare questi ritmi, quindi favorire una probabilità maggiore per mortalità cardiovascolare, malattie coronariche e insufficienza cardiaca. L’esposizione alla luce notturna risulta essere, dunque, un fattore determinante di interruzione circadiana, pertanto correlata a tassi più elevati di malattie coronariche e ictus, nonché a condizioni come obesità, diabete e ipertensione, anch’essi noti fattori di rischio cardiovascolare.
Tuttavia, studi precedenti in cui erano emerse queste evidenze si basavano spesso su misurazioni satellitari dell’illuminazione esterna o su piccole coorti piuttosto che su dati diretti sull’esposizione personale alla luce. Utilizzando sensori di luce indossati al polso di circa 89.000 partecipanti afferenti alla UK Biobank, sempre ricerche precedenti avevano rilevato che notti più luminose erano associate a una maggiore mortalità cardiometabolica e diabete di tipo 2; su questa base il presente studio ha esaminato se l’esposizione individuale alla luce diurna e notturna potesse aiutare a predire, o a influenzare, l’incidenza di malattie cardiovascolari in un follow-up di 9,5 anni.
La metodica dello studio
Nei pazienti arruolati l’esposizione alla luce è stata registrata ininterrottamente, per una settimana tramite sensori indossabili da polso, calcolata in media in profili di 24 ore. L’analisi fattoriale ha identificato due periodi di esposizione principali: diurno (7:30-20:30) e notturno (00:30-6:00).
I partecipanti sono stati classificati in percentili di esposizione alla luce, con il percentile 0-50 che rappresentava le notti più buie. Gli esiti cardiovascolari, tra cui ictus, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, infarto del miocardio e coronaropatia, sono stati identificati utilizzando dati ospedalieri, di assistenza primaria e del registro dei decessi. Sono stati esclusi gli individui con malattie cardiovascolari (CVD) preesistenti.
Tramite modelli di Cox a rischi proporzionali è stata analizzata la relazione tra esposizione alla luce e rischio di malattia, aggiustando sequenzialmente per fattori demografici (etnia, età e sesso), variabili socioeconomiche (privazione, istruzione e reddito) e fattori legati allo stile di vita (urbanizzazione, dieta, alcol, fumo e attività fisica).
Sono stati testati ulteriori modelli per potenziali interazioni con punteggi di rischio genetico, età e sesso. I dati principali hanno fatto osservare, escludendo l’attività fisica dal modello completo, associazioni inverse per insufficienza cardiaca e ictus. Rispetto a quelli nell’ambiente notturno più buio, è emerso che i partecipanti con l’esposizione notturna più luminosa presentavano rischi significativamente maggiori di coronaropatia, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale e ictus dopo l’aggiustamento per stile di vita, fattori demografici e socioeconomici.
Al contrario, un aumento dell’esposizione alla luce notturna di una deviazione standard avrebbe aumentato il rischio di tutti e cinque gli esiti cardiovascolari di circa il 5-8%. Le associazioni sono risultate coerenti in tutti i modelli e sono rimaste robuste dopo gli aggiustamenti, dove sesso ed età – come precedentemente anticipato – sono risultati modificatori selettivi.
In conclusione
Vi sarebbero forti associazioni tra una maggiore esposizione alla luce notturna e un rischio cardiovascolare elevato, sebbene dallo studio non sia stato possibile dedurre una causalità.
Si stimano, comunque, alla base fattori di stress vascolare e metabolico potenzialmente indotti dall’interruzione dei ritmi circadiani e da disturbi del sonno. A fronte di importanti punti di forza (un campione di grandi dimensioni, misurazioni oggettive della luce e un lungo periodo di follow-up), i limiti dello studio fra cui potenziali fattori confondenti residui, la scarsa diversità etnica (principalmente partecipanti bianchi), la mancanza di informazioni sulle fonti luminose e l’impossibilità di dedurre la causalità, invitano ad approfondire l’indagine con ulteriori ricerche.
Le permesse depongono comunque al fatto che l’illuminazione artificiale notturna sia un fattore di rischio ambientale potenzialmente modificabile per le malattie cardiovascolari, sottolineando l’importanza di mantenere notti buie e un’adeguata esposizione alla luce diurna nelle strategie sanitarie urbane.
Fonte
Windred DP, Burns AC, Rutter MK et al. (2025). Light exposure at night and cardiovascular disease incidence. JAMA Network Open, 2025, 8(10): e2539031. DOI: 10.1001/jamanetworkopen.2025.39031.


