Malattie del sangue negli anziani: a che punto è la medicina

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Grazie ai progressi della medicina ora è possibile curare i disordini ematologici anche in pazienti di 70-80 anni

Ricerca genetica, trapianti di cellule staminali e nuovi farmaci biologici hanno fatto notevolmente progredire il trattamento delle malattie del sangue, patologie molto diffuse nella popolazione anziana.

Se ne è discusso a “Hematologic diseases in the elderly”, convegno organizzato dall’Istituto di Ematologia Seràgnoli dell’Università di Bologna, con il patrocinio di SIE-Società Italiana Ematologia, SIES-Società Italiana Ematologia Sperimentale, AIOM-Associazione Italiana Oncologia Medica, SIGG-Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini, che si è tenuto il 28 e 29 Aprile a Roma.

Passi avanti nella cura del linfoma non-Hodgkin

«Fino a dieci-quindici anni fa i pazienti anziani con disordini ematologici  venivano trattati soltanto con terapie palliative, mentre ora abbiamo nuove idee, nuovi concetti e possiamo trattare e anche curare la maggior parte di questi pazienti, anche di 70-80 anni d’età» spiega Pierluigi Zinzani, ematologo  del Policlinico Sant’Orsola di Bologna-Università di Bologna.

Un esempio? Il linfoma non-Hodgkin, che è oggi il principale tumore ematologico per frequenza, tra tutti i tumori il sesto nel mondo occidentale e il quinto in Europa. Colpisce prevalentemente la popolazione adulta (60- 65 anni) e attualmente in Italia circa 130 mila persone convivono con un linfoma non-Hodgkin

«Negli ultimi vent’anni sono stati compiuti molti progressi contro questo tumore» prosegue Zinzani. «I progressi nella diagnostica permettono di definire il trattamento più appropriato per ciascuna tipologia di linfoma non-Hodgkin e di paziente. Per quanto riguarda la terapia, gli anticorpi monoclonali hanno cambiato radicalmente l’approccio terapeutico e la risposta alla terapia stessa, aumentando la sopravvivenza alla malattia. Inoltre, negli ultimi anni, sono stati introdotti diversi farmaci biologici, con un meccanismo d’azione che permette di colpire direttamente i recettori delle cellule tumorali».

I linfomi non-Hodgkin si possono dividere in due grandi categorie: i linfomi aggressivi e quelli indolenti. In entrambi i casi si sono ottenute percentuali significative di remissione della malattia: circa il 50-55% nei linfomi aggressivi e il 20-25% in quelli indolenti. «Tutto ciò era impensabile fino a vent’anni fa, mentre oggi abbiamo davanti un ampio margine di miglioramento grazie a veri e propri “farmaci intelligenti”, che riducono gli effetti collaterali e la tossicità» aggiunge Zinzani. «La maggiore possibilità di guarigione e la riduzione della tossicità costituiscono oggi un binomio assolutamente vincente».

L’anemia, un problema da non sottovalutare

Tra i temi centrali del congresso, anche la gestione dell’anemia nell’anziano.

«Il declino dell’emoglobina nel sangue e un concomitante aumento dell’anemia non devono essere considerati come una normale conseguenza della vecchiaia, per cui la diagnosi di anemia in una persona anziana deve essere valutata con attenzione dal medico» avverte Harvey Cohen,  della Duke University Medical Center a Durham, Stati Uniti.

«L’anemia colpisce prevalentemente le donne giovani (12%) per poi diminuire nel sesso femminile dopo la menopausa e tornare a essere elevata tra le donne tra i 75 e gli 84 anni (10%) per poi raddoppiare dopo gli 84 anni (20%). Negli uomini invece la percentuale degli anemici  è più bassa in età giovanile per poi aumentare dopo i 65 anni, arrivando al 15% tra i 75 e gli 84 anni e a un uomo su cinque dopo gli 85 anni (26%)».

«Tra le cause che provocano un aumento dell’anemia negli anziani sono da segnalare la perdita di cellule staminali, che non vengono più rimpiazzate perché si riduce anche la loro proliferazione, e nei maschi anche la riduzione nella produzione di testosterone, un ormone steroideo prodotto principalmente nei testicoli. Uno stato di anemia negli anziani non deve essere trascurato o sottovalutato, perché può ridurre l’aspettativa di vita, aumentare il rischio di declino funzionale, di insufficienza cardiaca e di infarto, di perdita cognitiva e di demenza» conclude Cohen.