Così comincia un lungo articolo di qualche tempo fa del El Pais, il noto quotidiano spagnolo, anzi catalano. Parliamo dunque di vaccini ma non per entrare nell’annosa questione se fanno bene, fanno male, e quanto; se producono reazioni avverse, e nel caso quali esattamente; soprattutto come fare per determinarle in assenza di markers specifici, e così via. Vorremmo invece partire da una vicenda una volta tanto non italiana ma di un paese vicino, geograficamente e culturalmente al nostro: la Spagna.
L’Agenzia spagnola dei medicamenti e prodotti sanitari ha sospeso da circa un anno la vendita di vaccini antivaricella in farmacia, limitandone l’uso al solo ambito ospedaliero.
Una famosa industria farmaceutica, contando sull’appoggio della Associazione spagnola di pediatria, l’Associazione spagnola di vaccinologia e la Società spagnola di medicina preventiva, salute pubblica e igiene che sostengono la necessità di praticare la vaccinazione antivaricella (2 dosi) entro il primo e terzo anno di vita, ha intentato una causa contro il ministero della Salute.
Il Ministero spagnolo ha deciso da tempo che debbano essere vaccinati solo gli adolescenti dopo i 12 anni di età che non abbiano già avuto la malattia e gruppi di popolazione a rischio.
Ciononostante la prescrizione da parte dei medici e pediatri spagnoli lo scorso anno è stata di 400.000 vaccini antivaricella, praticamente un numero pari a tutti i nuovi nati in Spagna in un anno, contro le 17.000 dosi del Regno Unito, che di nuovi nati ne ha il doppio, così come la Francia che ha vaccinato solo 58.000 bambini, 600 in Olanda, 1000 in Norvegia, 18.000 in Belgio, 15.000 in Svizzera e nessuno in Danimarca.
Il ragionamento del Ministero spagnolo è semplice: la vaccinazione precoce riduce la circolazione del virus nella popolazione e, dato che l’immunizzazione da vaccino non dura “per sempre” senza il richiamo naturale provocato dal contatto della popolazione con il virus la protezione in età più avanzata è ridotta e questo espone in modo esponenziale la popolazione al rischio di contrarre la varicella o lo Zoster in età adulta con una maggiore gravità della malattia e dei suoi sintomi, primo fra tutti il dolore, la neuropatia erpetica.
Da parte dell’industria e delle associazioni mediche si invoca il diritto di scelta terapeutica, la cui violazione è un tema che i lettori ben conoscono perché in molti casi ne sopportano quotidianamente le conseguenze, dimenticando però di menzionare il fatto che le associazioni mediche sono generosamente finanziate della case farmaceutiche (solo in Spagna?) tanto che il bilancio annuale per esempio di una di queste supera i 15 milioni di euro e che il costo della vaccinazione in Spagna è il più alto d’Europa (77 euro) rendendone cosi estremamente redditizio il suo commercio.
E che succede in Italia a questo proposito? La Federazione italiana di medici pediatri (Fimp), la Società italiana di pediatria (Sip) e la Società di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (SItI), così come avviene in Spagna, raccomandano l’introduzione precoce della vaccinazione universale antivaricella in offerta attiva e gratuita, preferenzialmente con il vaccino quadrivalente MPRV a partire dal 13°-14° mese di vita (2010). Dopo la prima dose ne andrebbe somministrata una seconda all’età di 6 anni e una terza, e ultima, a 12 anni. A questo punto la protezione immunitaria sarebbe completa e, secondo Giuseppe Mele, presidente della Federazione italiana medici pediatri (Fimp), durerebbe per tutta la vita. A parte il fatto che questo non è dimostrabile al momento, semmai lo potrebbe essere forse fra una settantina d’anni, rimane il problema della progressiva mancanza del richiamo (booster) naturale rappresentato dalla malattia che ancora circola nella popolazione.
Ne parliamo in questa sede perché il Piano nazionale prevenzione vaccinale (Pnpv) 2012 – 2014 ha deciso a suo tempo di posticipare l’introduzione della vaccinazione universale per la varicella in tutte le Regioni al 2015 quando saranno stati raggiunti tutti gli altri obiettivi e saranno disponibili i risultati delle valutazioni e i dati di monitoraggio provenienti dai programmi vaccinali regionali pilota.
Che considerazioni si possono fare a questo punto? Capita fin da ora di osservare una maggiore frequenza di zoster in bambini vaccinati a contatto con soggetti ammalati di varicella. Non fanno la malattia completa, ma l’immunità vaccinale risulta parziale e non li protegge totalmente dalla malattia. Come si comporteranno dal punto di vista immunitario da adulti e ancor più da vecchi? Sono domande a cui anche i programmi regionali attuati, che potranno fornire solo dati a breve termine, con tutta probabilità non potranno dare risposte esaurienti.
Non rimane che invocare la massima trasparenza delle scelte che il ministero della Salute italiano dovrà operare, al riparo da qualsiasi pressione esercitata dalle lobby farmaceutiche e da chi vede il problema solo dal punto di vista del beneficio, presunto, immediato, ovvero meno malattie nei bambini, meno rischi ma anche meno chiamate telefoniche, meno piccoli pazienti da visitare e quindi, in sostanza, meno problemi in cui dibattersi quotidianamente.
Come si dice in questi casi: a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca.
Elio Rossi