La pratica fisica, discontinua o saltuaria, o regolare e costante può influenzare lo stato di salute? È l’input che ha dato il via a uno studio internazionale, pubblicato su JAMA Internal Medicine, che ha voluto indagare il possibile diverso impatto esercitato dalla frequenza, intensità e modalità dell’esercizio fisico nell’arco delle settimana, soprattutto in termini di mortalità per tutte le cause e causa specifica. Sono noti e robusti i dati di evidenza e efficacia dell’attività fisica sullo stato di salute generale e sulla sua preservazione a favore di un invecchiamento sano.

Le tipologie di attività fisica

Ci sono i “guerrieri del fine settimana” che praticano attività fisica spinta, con esercizi vigorosi e intensi, concentrata in 1 o 2 sessioni settimanali per raggiungere i livelli raccomandati, e i “regolarmente attivi” che si dedicano allo sport e al movimento con maggiore costanza, diluendo la pratica in 3 o più sessioni nell’arco dei 7 giorni. Quale delle due modalità può apportare maggiori benefici alla salute? L’uno può influenzare, in positivo o in negativo, la mortalità?

A rispondere al quesito è un ampio studio prospettico di coorte (Association of the “Weekend Warrior” and Other Leisure-time Physical Activity Patterns With All-Cause and Cause-Specific Mortality: A Nationwide Cohort Study”) condotto su oltre 35 mila adulti americani da cui si evince che fare movimento è sempre salutare: indipendentemente dal tempo dedicato e dalla modalità della pratica, favorisce la longevità o comunque riduce il rischio di mortalità. A dirlo sono le conclusioni dello studio che non farebbero osservare alcuna differenza significativa sulla mortalità per tutte le cause e per causa specifica tra i “guerrieri del fine settimana”, che praticano ad esempio 75 minuti di attività vigorosa in una manciata di giorni, e i “regolarmente attivi” che dedicano invece all’attività fisica 150 minuti o più da moderata a vigorosa con costanza. A fare la differenza è invece l’inattività che marcherebbe il rischio di un tasso superiore di mortalità nel suo complesso.

Lo studio

È stato condotto su adulti che dal 1997 al 2013 hanno auto-riferito i propri livelli di attività fisica al National Health Interview Survey americano; tali informazioni sono state poi matchate con il National Death Index fino al 31 dicembre 2015. I partecipanti sono così stati suddivisi in due gruppi a seconda del livello e intensità di attività auto-riferito: i fisicamente inattivi con meno di 150 minuti a settimana [min/settimana] di attività fisica da moderata a rigorosa (MVPA) o i fisicamente attivo con pari o più di 50 min/settimana di attività moderata o pari o più di 75 min/settimana di attività vigorosa.

Il gruppo attivo è stato poi ulteriormente suddiviso in funzione della periodicità della pratica in: weekend warrior, in caso di 1-2 sessioni/settimana, o regolarmente attivo se l’attività fisica era condotta in misura di 3 o più sessioni/settimana e poi per frequenza, durata/sessione e intensità dell’attività. Questi dati sono stati infine valutati in relazione all’end-point primario dello studio, ovvero l’impatto della pratica fisica sulla mortalità per tutte le cause, malattie cardiovascolari (CVD) e cancro.

I risultati

I partecipanti, di età media 41,4 [15,2] anni, di cui 19.2432 [50,8%] donne e 209.432 [67,8%] bianchi non ispanici, sono stati monitorati per un periodo mediano di 10,4 anni. In quest’arco temporale si sono registrati 21.898 decessi, di cui 4.130 per CVD e 6.034 per cancro. Rispetto ai partecipanti fisicamente inattivi, gli hazard ratio (HR) per la mortalità per tutte le cause erano 0,92 (95% CI, 0,83-1,02) per il “guerriero del fine settimana” e 0,85 (95% CI, 0,83-0,88) per i “regolarmente attivi”, con dati simili anche per mortalità causa-specifica.

Inoltre, in funzione della stessa quantità di MVPA totale, i partecipanti al weekend warrior hanno fatto osservare tassi di mortalità per tutte le cause e per causa specifici simili a quelli dei partecipanti regolarmente attivi. Gli HR per il guerriero del fine settimana rispetto ai partecipanti regolarmente attivi erano 1,08 (95% CI, 0,97-1,20) per la mortalità per tutte le cause, 1,14 (95% CI, 0,85-1,53) per mortalità CVD; e 1,07 (95% CI, 0,87-1,31) per la mortalità per cancro.

In conclusione

Si conferma che l’attività fisica è sinonimo di salute: sia in caso di pratica moderata sia in caso di attività vigorosa o vigorosa e intensa, condotta nel fine settimana o con regolarità, l’effetto è di contrasto sulla mortalità con riduzione dei tassi per tutte le cause o cause specifiche. Diversamente dalla sedentarietà che, invece, ne aumenta la curva. In buona sostanza, le persone che si impegnano nei livelli raccomandati di attività fisica possono aspettarsi gli stessi benefici in termine di salute sia da sessioni eseguite durante la settimana o concentrate in meno giorni.

Fonte:

  • Dos Santos M, Ferrari G, Lee DH, Rey-López JP, Aune D, Liao B, Huang W, Nie J, Wang Y, Giovannucci E, Rezende LFM. Association of the “Weekend Warrior” and Other Leisure-time Physical Activity Patterns With All-Cause and Cause-Specific Mortality: A Nationwide Cohort Study. JAMA Intern Med. 2022 Aug 1;182(8):840-848.