Il cannabidiolo (CBD) e il suo metabolita, 7-OH-CBD possono bloccare la replicazione di SARS-CoV-2 nelle cellule epiteliali polmonari. La sostanza agirebbe con un duplice esito: inibendo da un lato l’espressione genica e invertendo molti effetti indotti dal virus sulla trascrizione del gene ospite dall’altro: è quanto attestano alcune ricerche preliminari americane condotte dall’Università di Chicago, Illinois.

L’azione di CBD

Sono ancora poche, ad oggi, le terapie identificate in grado di inibire fino a bloccare la replicazione di SARS-CoV-2 e la produzione virale: evidenza che ha aperto la via alla valutazione anche di strategia di cura alternative.

È noto che, come gli altri coronavirus, anche SARS-CoV-2 entra principalmente nelle cellule umane legando la proteina virale spike al recettore dell’enzima 2 di conversione all’angiotensina (ACE2). Dopo l’ingresso nella cellula, il genoma virale viene tradotto in due grandi polipeptidi a loro volta scissi in due proteasi virali, MPro e PLPro: processo necessario a produrre 15 proteine che innescano la replicazione virale, l’impianto e la germinazione del virus stesso.

Nel tentativo di spegnere l’infezione da SARS-CoV-2, così come di altri virus patogeni, un gruppo di ricercatori americani ha voluto testare il potenziale antivirale di alcune piccole molecole che vanno ad impattare sulla via di risposta allo stress cellulare. Tra queste il cannabidiolo (CBD), appartenente alla classe dei cannabinoidi di origine naturale, prodotto da Cannabis sativa (Cannabaceae; marijuana/canapa). Scelta orientata dall’efficacia antivirale di alcuni cannabinoidi contro il virus dell’epatite C e altri patogeni, emersa in letteratura e dall’approvazione dell’FDA (Food&Drug Administration) americana al trattamento dell’epilessia con CBD.

Lo studio

Al fine di valutare l’effetto di CBD sulla replicazione di SARS-CoV-2, i ricercatori hanno pretrattato le cellule umane di carcinoma del polmone A549 che esprimevano il recettore ACE-2 (A549-ACE2) con 0-10μM CBD per 2 ore prima di procedere all’infezione con SARS-CoV-2, monitorando l’espressione cellulare della proteina spike nelle 48 ore successive. A titolo di confronto, le cellule sono state trattate anche con pari dosi con MLK inibitore (URMC-099), precedentemente implicato come antivirale per HIV e KPT-9274, e un PAK4/NAMPT inibitore di cui erano state identificate potenziali capacità di invertire cambiamenti nell’espressione genica causati da SARS-CoV-2.

Tutti gli inibitori hanno potentemente ridotto la replicazione virale in condizioni non tossiche con EC50s5, con valori variabili da 0,2-2,1 μM. Nello specifico è stato osservato che CBD era in grado di inibire la replicazione di SARS-CoV-2 in Vero E6, anche cellule epiteliali del rene di scimmia. Non si è registrata alcune tossicità alla dose efficace ed è stato possibile osservare che CBD sopprimeva la replicazione di un beta- coronavirus correlato, il virus dell’epatite murina (MHV), in condizioni non tossiche con una EC50 di ~5 μM utilizzando cellule A549 che esprimevano il recettore MHV (A549-MHVR), indicando un potenziale di più ampia efficacia. Anche in relazione al metabolita 7-OH-CBD, il principio attivo di CBD nel trattamento di CBD dell’epilessia, si sarebbe registrata l’inibizione della replicazione di SARS-CoV-2 nelle cellule A549-ACE2.

RNA e CBD

È stata inoltre valutata in vitro la capacità di CBD di impattare sulle proteasi virali Mpro o PLpro: l’assenza di qualunque impatto sulla attività di proteasi farebbe ipotizzare un raggio di azione di CBD anche sui processi della cellula ospite. Coerentemente con questa interpretazione, l’analisi dell’RNA-seq di cellule A549-ACE2 infette, trattate con CBD per 24 ore, fa osservare una sensibile soppressione dei cambiamenti indotti da SARS-CoV-2 nell’espressione genica. Ovvero CBD sarebbe in grado di eradicare efficacemente l’espressione dell’RNA virale nelle cellule ospite, compreso l’RNA codificante per le proteine spike, membrana, involucro e proteine del nucleocapside e di diversi altri fattori di trascrizione.

Test sul campo

In funzione dell’assunzione di preparati contenenti CBD da parte di una discreta percentuale di popolazione, i ricercatori hanno voluto testare l’associazione tra esposizione a CBD e eventuale diminuzione del rischio di infezione da SARS-CoV-2. Presso il Medical Center dell’Università di Chicago oltre 93.000 pazienti sono stati testati per SARS-CoV-2, di questi 10,0% è risultato positivo al virus, ma solo il 5,7% dei circa 400 soggetti che assumevano cannabinoidi e una percentuale ancora inferiore fra coloro in terapia con CBD rispetto ad altri cannabinoidi, rispettivamente 1,2% in 85 pazienti CBD contro 7,1% in 113 pazienti con altri cannabinoidi, p=0,08). Infine una seconda indagine condotta su 82 pazienti a cui era stato prescritto CBD prima del test COVID-19 e pazienti che non avevano indicazioni di assunzione verso qualunque cannabinoide, ma simili caratteristiche demografiche, comorbidità cliniche ha attestato che solo l’1,2% dei pazienti in ‘trattamento’ con CBD ha contratto SARS-CoV-2 contro il 12,2% dei restanti, suggerendo una potenziale riduzione del rischio di infezione da SARS-CoV-2 indotta dalla molecola.

Fonte:

  • Nguyen LC, Yang D, Nicolaescu V et al. “Cannabidiol Inhibits SARS-CoV-2 Replication and Promotes the Host Innate Immune Response”. bioRxiv, https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2021.03.10.432967v1