È lungo e puntuale il percorso normativo che accompagna la “certificazione” di una falda acquifera termale, presunta tale, prima di arrivare allo stabilimento e poter sfruttare eventuali proprietà terapeutiche e applicative. Se ne parlato al Convegno “Balneology in changing societies. Multilateral approach to health care and well-being”, Castel San Pietro Terme, 3-6 Novembre 2022.

La Circolare 80

Come riconoscere la bontà ipotetica di un’acqua termale? Deve corrispondere innanzitutto a specifiche regole e criteri che sono dettati dal Ministero della Salute e tecnicamente redatti dal Consiglio Superiore di Sanità che, nella Commissione Terza, ha competenza anche sulle acque. «Al riguardo – spiega Marco Vitale, direttore scientifico della Fondazione per la Ricerca Scientifica Termale (FoRST) e professore di Anatomia Umana all’Università di Parma – la Circolare 80 del Consiglio Superiore di Sanità che dal 1980, anno della prima stesura ha subito successivi aggiornamenti e integrazioni, declina e stabilisce le regole per l’autorizzazione dell’utilizzo delle acque a scopi sanitari».

Tale circolare divide le autorizzazioni in due categorie: l’una che si applica per l’uso interno delle acque, ovvero per le acque da bere, l’altra per utilizzazione esterna, in forma cioè di balneoterapia, fanghi, inalazioni e così via. In caso di richiesta di autorizzazione per utilizzo interno delle acque, occorre presentare al Ministero uno studio farmacologico e tossicologico, mentre se l’uso è esterno e/o se successivamente a questo, si richiede anche una applicazione clinica, è necessario avviare e presentare al Ministero uno studio clinico, previa autorizzazione preliminare dello stesso.

«Quest’ultima – prosegue il Professore – viene rilasciata a seguito di una relazione medico-scientifica su base analogica, condotta cioè sull’analisi chimico-fisica delle acque e degli ioni disciolti all’interno di quelle specifiche acque per analogia. Ad esempio per le acque sulfuree o salsobromoiodiche, di cui si chiede utilizzo per inalazioni e applicazioni sull’apparato otorinolaringoiatrico e per patologie di natura respiratoria, nella relazione sarà necessario evidenziare la composizione delle acque, le autorizzazioni già attive in altre sedi in cui le acque hanno composizioni simili dal punto di vista della natura dei sali disciolti e della concentrazione salina. La relazione deve, inoltre, essere corredata da una adeguata bibliografia che si riferisca a un uso già consolidato e allo scopo dell’acqua oggetto della disquisizione».

Il documento va poi sottoposto al Ministero, e qualora venga accettato, si avranno a disposizione 2 anni di tempo per avviare lo studio clinico e dare dimostrazione scientifica del valore delle acque: «Se è vero che esiste una classificazione, quella di Marotta e Sica cui ad oggi ci si riferisce e che raggruppa le acque su base essenzialmente chimica per gruppi prevalenti di sali disciolti, è anche vero che per gruppi di sali disciolti non prevalenti, essendo elementi naturali, la composizione varia sensibilmente: non esistono due acque termali, per quanto simili, identiche fra loro».

Terminato lo studio clinico, si dovrà presentare al Ministero una relazione finale; se l’esito è positivo, l’autorizzazione all’uso delle acque per quel preciso scopo diventa permanente. Successivamente le norme prevedono almeno annualmente una verifica della stabilità della composizione delle acque: è possibile, infatti, che a seguito di cambiamenti geologici muti anche la composizione delle acque e tali alterazioni vanno monitorate nel tempo.

L’attività scientifica

I dati ottenuti possono successivamente essere utilizzati anche per studi di base (studi biologici in vitro) o sul meccanismo di azione delle acque e poi essere applicati per via traslazionale alla clinica, arricchendo e consolidando in questo modo l’autorizzazione sul piano normativo e a caduta l’applicazione clinica.

«Molte acque termali – conclude Vitali – non hanno una sola applicazione: uno stabilimento termale che ha le acque, ha anche i fanghi che maturano nelle acque. Pertanto un’applicazione dei fanghi per il trattamento di patologie artroreumatiche muscoloscheletriche e un’applicazione per l’apparato respiratorie (docce nasali, aerosol, inalazioni) richiedono di sottoporre al Ministero due autorizzazioni differenti: pur trattandosi della stessa acqua, il mezzo termale utilizzato (i fanghi da un lato e l’acqua dall’altro) e le patologie che ne possono beneficiare sono diverse. Ne deriva che lo stabilimento che ne fa richiesta dovrà avviare anche due diversi studi clinici. Così finalmente una volta ottenuta licenza potrà offrire ai propri pazienti le prestazioni per le quali ha ottenuto autorizzazioni».

L’expertise resta un elemento facilitatore: terme già autorizzate da anni per certe applicazioni che desiderano aggiungerne altre, saranno soggette a un processo più snello rispetto a una sorgente di nuova origine che deve sottoporsi ex novo all’iter normativo e autorizzativo.