Intervenire subito, entro 72 ore dai primi sintomi, con una combinazione di farmaci per azzerare le ospedalizzazioni da Covid-19. L’importanza delle terapie domiciliari precoci, dallo studio firmato dal professor Serafino Fazio alle testimonianze di alcuni pazienti

Un protocollo di cura basato sulla combinazione di quattro farmaci. Con un’indicazione fondamentale: va applicato entro le prime 72 ore dall’insorgenza della sintomatologia da Covid-19. In questo modo si può azzerare il rischio di ospedalizzazione. È questo il risultato di rilievo emerso da uno studio osservazionale retrospettivo pubblicato sulla rivista di medicina generale peer-reviewed Medical Science Monitor, di cui abbiamo già parlato nell’articolo “Terapie domiciliari precoci, la cura contro il Covid è possibile”. La ricerca ha come prima firma quella del professore Serafino Fazio, già professore di Medicina Interna all’Università degli Studi di Napoli Federico II, specialista in Medicina Interna e Cardiologia e componente del Consiglio scientifico del Comitato Cura Domiciliare Covid-19.

L’approccio al paziente

I pazienti a cui è stato applicato il protocollo sono stati monitorati più volte al giorno con misurazione della temperatura e della saturazione valutata con il Six minutes walking test. «Ho richiesto che mi mandassero saturazione e temperatura tre volte al giorno, mattina, pomeriggio e sera – spiega il professor Fazio – Una volta al giorno (opzionale), anche la saturazione dopo 6 minuti di passo svelto in casa (Six minutes walking test): chi comincia ad aver danno al polmone può avere un valore accettabile a riposo, ma quando fa questo test desatura. La soglia minima del 92% è indicata nelle linee guida ministeriali per il ricovero, ma già al di sotto del 94-93% è comunque patologico e significa che è in corso una compromissione polmonare».

Diventa interessante, dunque, capire l’esperienza vissuta in prima persona dai pazienti trattati con tale protocollo. Di seguito presentiamo il racconto di tre pazienti seguiti dal professor Fazio negli scorsi mesi.

Il paziente al centro

Deanna Ferrari, 72 anni, residente nella provincia di Reggio Emilia, si è contagiata mentre era a Desenzano: il tampone positivo risale al 23 ottobre. Già il giorno seguente ha chiamato il professor Fazio, dopo aver rifiutato il trattamento con il paracetamolo proposto dal medico di base. «Avevo inizialmente sintomi di stanchezza, poca febbre, raffreddore che è andato avanti tre giorni, saturazione nella norma. Raramente prendo medicinali: quelli prescritti sono stati facilissimi da reperire e li ho presi subito per 10 giorni». La cura, basata sui tre farmaci del protocollo e il nutraceutico, è andata avanti, come da prassi, per 10 giorni, sentendo quotidianamente il paziente per il monitoraggio dei parametri di temperatura e saturazione. «Non avevo desiderio di cibo e, infatti, ho perso 4 chili. C’era un po’ di stanchezza, il bisogno di stare sdraiata e un po’ di tosse secca, soprattutto appena alzata, che è rimasta un po’ anche dopo che era guarita. Mi è stato prescritto anche un decongestionante nasale». I sintomi sono scomparsi già prima dei dieci giorni. «Il Covid non ha lasciato strascichi e ho ripreso il peso normale. Il professor Fazio chiamava tre volte al giorno, chiedeva come stavo. Ti senti curato da una persona e questo fa la differenza».

L’intervento oltre le 72 ore

Per Omar Carravetta, 48 anni, milanese, venditore di impianti antintrusione, il contagio è partito attraverso il contatto con la sua compagna. Il 2 dicembre si sono verificati i primi sintomi. «Inizialmente un cerchio alla testa, poca tosse e poca febbre, mai salita oltre i 38 gradi; il 7 dicembre, quando ho fatto il tampone, che mi ha dato la positività, c’era ancora ed è proseguita per altri due giorni. Prendo raramente farmaci, non ho alcuna patologia». Il medico di base aveva prescritto paracetamolo e vigile attesa. Da qui la scelta di seguire il protocollo indicato dal medico di famiglia della compagna (3 compresse di acido acetilsalicilico al giorno, N-acetilcisteina due volte al giorno, vitamina C e D e antibiotico).

«Non avevo benefici e la situazione peggiorava. Ho chiamato il professor Fazio tra il 7 e l’8 dicembre, avevo ancora un po’ di febbriciattola: era titubante perché la sua cura sarebbe partita già oltre le 72 ore. L’ho cominciata e durante il giorno stavo bene, ma la notte la saturazione scendeva anche sotto 90: voleva ricoverarmi, ma ho preferito essere curato a casa. Mi ha prescritto una Rx toracica, in quanto sospettava una polmonite. Non riuscendo a prenotarla in giornata, è arrivata a domicilio la dottoressa Claudia Piazzoni, chirurgo vascolare che collabora con il Comitato Cura Domiciliare Covid-19. Ha fatto un’ecografia ai polmoni e me l’ha confermata, escludendo però complicanze batteriche, compromissioni al polmone e la necessità di usare ancora l’antibiotico. Mi ha tranquillizzato assicurandomi che potevo proseguire la cura a domicilio. Ho preso ossigeno per cinque giorni: i primi tre, 25 minuti ogni ora, secondo quanto prescritto dal professor Fazio, e tutta la notte. Dovevo dormire a pancia in giù con la cannuccia nel naso; poi nei giorni successivi l’ho diminuito. La cura però faceva effetto, la febbre non c’era più». Con il Covid in fase avanzata sono stati prescritti anche cortisone (2 volte al giorno, 1 dopo 6 giorni) ed eparina (2 punture al giorno). «L’eparina l’ho presa per 10 giorni, il cortisone qualche giorno in più perché non potevo smettere subito. La cura è durata all’incirca dall’8 al 22 dicembre. La saturazione via via è tornata normale, fino al 99%».

Nel periodo di cura il paziente era controllato costantemente, via WhatsApp, e quando necessario veniva contattato direttamente per telefono. Per 5-6 volte al giorno (a volte anche di più, nei giorni in cui stava peggio) inviava il valore della temperatura e della saturazione, anche dopo il Six minutes walking test. «Il professor Fazio è stato fortunatamente molto presente e molto rigido, una persona eccezionale. La sua è una cura che non ha effetti collaterali». Il post Covid ha lasciato qualche postumo? «Non ho ancora la piena funzionalità del polmone, se faccio uno sforzo lo sento, ma mi sento bene. Dovrò fare gli esami di controllo: Rx torace, sierologico quantitativo per IgG anti-Covid 19, anche IgG neutralizzanti, emocromo, proteina C-reattiva, D-dimero, fibrinogeno, sideremia, ferritinemia, glicemia, QPE, creatininemia, Got e Gpt. Il Covid va curato subito. Io ne sono una testimonianza».

Azione tempestiva

Igor Carravetta, 49 anni, di Albenga, consulente aziendale, si è contagiato a fine novembre. «I primi sintomi li ho avuti il 2 dicembre: stanchezza, mal di testa, niente febbre all’inizio, poi l’ho avuta per 4-5 giorni, mai sopra i 38,5 gradi. Ho fatto un tampone rapido in farmacia e sono risultato positivo. Mi trovavo fuori Regione e il mio medico di base mi ha rimandato all’Asl di Reggio Emilia ed è partito l’iter. Sono però venuto a conoscenza del professor Fazio, che aveva già curato mia madre e mio fratello e mi sono affidato a lui. Il mio medico di base mi aveva consigliato paracetamolo e vigile attesa. Ho chiamato subito entro le 24 ore e mi ha prescritto la cura: di mio ho preso vitamina C, D e zinco».

La cura è durata, come da prassi, dieci giorni, con la prescrizione dei tre farmaci previsti dal protocollo e il nutraceutico. «I sintomi dopo cinque giorni erano spariti, la tosse è rimasta un po’ di più, circa una decina di giorni, ma erano pochi colpi al giorno». I contatti con il professor Fazio sono stati costanti durante la fase di terapia. «Lo sentivo due volte al giorno: mi chiedeva la misurazione tre volte al giorno di temperatura e saturazione, che non è mai scesa sotto i 95. Mi faceva fare anche il Six minutes walking test una volta al giorno». Qualche strascico però è rimasto, come capita a chi ha avuto il Covid. «Molto sonno, dormo un paio d’ore in più. Sono mediamente sportivo ed essendo stato fermo 25 giorni (sono stati necessari due tamponi più i 21 giorni di isolamento) è come se i miei muscoli fossero un po’ rattrappiti, come accorciati».

Gli esami clinici post-Covid

Per completezza di studio, e sicurezza dei pazienti, quando i malati sono guariti dal Covid e si sono negativizzati al tampone vengono prescritti una serie di accertamenti. «Innanzitutto faccio eseguire il test sierologico quantitativo degli anticorpi IgG anti-Covid-19, o delle IgG neutralizzanti che si formano contro la proteina Spike, per essere assolutamente certi che si sia sviluppata un’immunità – spiega il professor Serafino Fazio – Quindi faccio fare analisi di controllo per scongiurare che non ci siano stati esiti di malattia. In particolare, che si sia spenta l’infiammazione. In questo caso prescrivo una radiografia del torace, in quanto il polmone è tra gli organi più colpiti; la proteina C-reattiva, fibrinogeno e ferritina. Aggiungo, poi, analisi che controllino il fegato, guardando le transaminasi, il rene, con la creatininemia. Un altro esame fondamentale è quello del D-dimero. Già in un mio studio precedente avevo visto che circa il 25-30% dei pazienti guariti avevano ancora il parametro aumentato (relativo al metabolismo del trombo), quando si interveniva tardivamente. Per fortuna la maggioranza dei parametri risulta normale alla guarigione. Anche per il torace solo raramente si verificano degli esiti di malattia quando si agisce prontamente».

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