Non è “science fiction”, qualcosa che potrà avvenire in un futuro ancora remoto, come ad esempio la riprogrammazione e il ringiovanimento cellulare, ma attualità.
La dieta mima-digiuno, come confermano molti studi di letteratura, può contribuire ad abbassare l’età biologica, quindi ad allungare la sopravvivenza in salute.
Se ne è parlato al Milan Longevity Summit (14-27 Marzo).
Le prime evidenze
Tutto prende avvio da studi sui sistemi semplici, come i lieviti: l’invecchiamento è, infatti, un processo troppo complicato per essere studiato direttamente sull’uomo.
«Abbiamo condotto esperimenti di “transposon mutagensis” – spiega Valter Longo, Direttore del USC (University of Southern California) Longevity Institute (US) – mutando cioè tutti i geni del lievito, per osservare quali fra questi fossero in grado di agire sull’allungamento o decrescita della vita dei lieviti stessi, scoprendo ad esempio il ruolo della TORC, una tra vie più importanti di segnalazione pro-invecchiamento oggi riconosciute, a fronte di studi condotti da altri laboratori su moscerini della frutta che dimostrano un coinvolgimento nel processo di invecchiamento dell’insuline IGF1 Pathway. Mentre esperimenti su topi di dimensioni normali e ridotte hanno mostrato in animali piccoli con una sola mutazione nel recettore dell’ormone di crescita, un record di longevità: 40% di vita in più e in circa 50% l’assenza di malattia, come cancro, infiammazioni croniche e/o altre patologie età correlate».
Evidenze che hanno spinto la ricerca a indagare se quanto osservato in organismi nani (lieviti, moscerini, piccoli topi), specificatamente la capacità degli ormoni e della crescita mutati di abbassare in maniera significativa i livelli di IGF nel sangue, fosse riproducibile anche nell’uomo.
«Ulteriori esperimenti che abbiamo condotto sui lieviti – prosegue il professore – mostrano che abbinando la mutazione TOR a una seconda mutazione riferita al RAS pathway, via di segnalazione coinvolta in molteplici processi cellulari, ed al digiuno, è possibile estendere la vita di questi organismo semplici di circa 10 volte».
Si cerca ora di capire se facendo, ad esempio, ricorso a farmaci che bloccano il recettore dell’ormone della crescita sia possibile aumentare nell’uomo la sopravvivenza del 30%.
Plausibilmente, sì: uno studio di ricerca, pubblicato, sembra dimostrare in persone con gene mutato, rara mortalità da cancro, assenza di diabete nonostante un aumentato rischio di obesità che correla alla mutazione dell’ormone della crescita e livelli cognitivi più “giovani” di oltre 20 anni. In buona sostanza, l’ipotesi è che la conservazione della mutazione possa preservare dal rischio di malattie dell’invecchiamento con possibile protezione, finanche alla rigenerazione, cellulare.
La restrizione calorica
Favorisce la longevità, come dimostrano evidenze più o meno recenti di letteratura, se correttamente utilizzata; portata all’estremizzazione infatti la restrizione calorica arreca danni importanti all’organismo.
«Uno studio trentennale – dichiara Longo – condotto sulle scimmie, di cui alcune alimentate con Western Diet ed altre con la stessa dieta ma con restrizione calorica del 25%, fa osservare nel 60% di animali sottoposte a una dieta normale lo sviluppo di insulino-resistenza o diabete a fronte di un tasso di solo il 5% in scimmie sottoposte a dieta con restrizione calorica, tumori ridotti al 50% e malattie cardiovascolari del 20-30%. Tuttavia andando ad analizzare la curva di sopravvivenza e la moralità per tutte le cause, si osserva un andamento quasi sovrapponibili: ciò indica che sebbene la restrizione calorica induca l’abbassamento del rischio per patologia, dall’altro attiva meccanismi che controbilanciano gli effetti positivi».
Nell’uomo cosa accade? Un primo studio in cui ricercatori americani, chiusi un una biosfera, si sono sottoposti a una restrizione calorica mostra una riduzione dei fattori di rischio per patologie dell’invecchiamento note, ma importanti conseguenze nel tempo sulla salute, danni neuronali primi fra tutti.
Da qui l’interesse a convogliare i benefici delle dite restrittiva senza danno: una prima ipotesi di digiuno ad acqua su modelli animali ha dato risultati positivi, ma l’inapplicabilità sull’uomo ha incentivato lo sviluppo della dieta mima-digiuno che sfrutta la combinazione di basse calorie, bassi zuccheri, basse proteine ed alti grassi insaturi, per ottenere i medesimi effetti del digiuno solo acqua su IGF1, IGFBP1, glicemia e corpi chetonici, da una assunzione “restrittiva” per 5 giorni, periodicamente.
«Un primo studio del 2017 – aggiunge Longo – condotto su 100 pazienti, randomizzati a ricevere una dieta normale o 3 cicli di dieta mima-digiuno per un mese per 5 giorni e una settimana di refill, cioè di ritorno alla dieta normale con successivo cross over dei due gruppi di pazienti, mostra perdita di peso e di grasso addominale, riduzione della circonferenza addominale, senza indurre però la perdita di massa muscolare. Evento, quest’ultimo associato invece alla dieta con restrizione calorica o ad altre diete. Ulteriori benefici indotti dalla dieta mima-digiuno correlano a livelli stabili della glicemia, in pazienti in range al baseline e un ritorno nei limiti di normalità in pazienti prediabetici e stessi dati positivi si registrano per IGF1, fattore centrale per l’invecchiamento insieme all’insulina e all’ormone della crescita, per la proteina C reattiva, fattore di rischio per malattie cardiovascolari, colesterolo e pressione».
Dieta mima-digiuno vs dieta mediterranea
Un recente studio pubblicato dal gruppo del Professor Longo che ha raffrontato 4 mesi di dieta mediterranea vs 4 cicli di dieta mima-digiuno in pazienti ipertesi e BMI elevato (sovrappeso/obesità), mostra l’efficacia di entrambi i regimi dietetici con l’aggravante, però, che la dieta mediterranea induce una perdita muscolare fino a 2,5 kg a un follow up a 3 mesi.
Altre ricerche, tra cui uno studio randomizzato, di alcuni anni fa, condotto su 100 pazienti diabetici che ha confrontato 6 cicli o di mima-digiuno con 6 cicli di dieta mediterranea, di 5 giorni ciascuna non registrano alcun impatto della dieta mediterranea su emoglobina glicata, insulino-resistenza, con tuttavia un aumento del consumo di farmaci antidiabetici e antipertensivi nel 20% dei pazienti a fronte di una riduzione farmacologica del 79% di pazienti in regime mima-digiuno.
«Gli effetti della mima-digiuno sono indipendenti dalla perdita di peso – sottolinea Longo – sono cioè dovuti a una “riprogrammazione metabolica”: ovvero i cambiamenti indotti a insulina, IGF1 ed altri parametri spostano il paziente da uno stato di insulino-resistenza a insulino-sensibile. Uno studio di laboratorio condotto su topi in cui è stato indotto un danno del pancreas tale da stoppare la produzione di insulina in maniera permanente, come avviene in forme di diabete di tipo 1, evidenzia che 5-6 cicli di dieta mima-digiuno sono in grado di ripristinare la normale attività pancreatica, in maniera permanente dopo soli 50 giorni, grazie a un processo di riparazione,dovuto all’azione della dieta stessa. Effetti che persistono anche un giorno dopo la fine di digiuno, con l’espressione di alcuni geni positivi anche per diverse settimana successive».
L’età biologica
Ci guadagna: uno studio su 184 pazienti, del gruppo di Longo di recente pubblicazione, mostra una riduzione dell’età biologica di circa 2 anni e mezzo dopo 3-4 cicli di mima-digiuno; evidenze sostenute anche da due altri studi clinici.
«Tali risultati – conclude il professore – sono ancora più entusiasmanti in quanto misurati e validati, non sul tradizionale epigenetic clock basato sulla metilazione, ma sul bioaging clock, messo a punto Morgan Levin, che considera alcuni dei fattori di rischio come proteina C reattiva, pressione sanguigna e sistolica, colesterolo totale, universalmente accettati dalla comunità medica come importanti per la salute, per stimare le probabilità di morte rischio-correlate. In buona sostanza, durante la mima-digiuno il corpo si restringe, le cellule differenziate iniziano a ridursi in quantità e volume, le cellule staminali ematopoietiche cominciano a dividersi ed espandersi, potenzialmente riprogrammandosi. Alcuni tessuti avviano la produzione di staminali ed entrano in stand-by, altri invece attivano gli Yamanaka factors, fattori che stimolano il ringiovanimento cellulare, preparandosi alla possibile riprogrammazione».