L’Azienda ospedaliero-universitaria pisana ha curato dal Covid oltre 500 pazienti in un anno con un servizio di assistenza dedicato e svolge ricerca e sperimentazione su nuove molecole che arriveranno sul mercato

Secondo il 35esimo report del Monitoraggio sugli anticorpi monoclonali per il Covid realizzato dall’Aifa sono stati finora 19.386, in Italia, i pazienti che hanno ricevuto questa terapia, in un’ottica di strategia integrata di contrasto al virus SARS-CoV-2. Pionieristica in questa direzione è stata l’attività dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana (Aoup), attraverso l’Unità operativa di Virologia. Un progetto che si è concretizzato in un servizio attivo da un anno, ma anche in attività di ricerca e sperimentazione.

Un servizio ad hoc

Marco Falcone, professore associato di Malattie infettive all’Università di Pisa e infettivologo all’Aoup

Il progetto è stato quello di creare un ambulatorio dedicato che dialoga con i medici di famiglia e i pazienti e permette al malato di Covid di usufruire di un servizio in grado di indicargli se possa essere curato con i monoclonali (o meno) ed eventualmente partecipare a studi sperimentali. «Abbiamo iniziato l’attività dell’ambulatorio sugli anticorpi monoclonali in modo quasi pionieristico – racconta Marco Falcone, professore associato di Malattie infettive all’Università di Pisa e infettivologo all’Aoup – In Italia non c’erano strutture ad hoc e poche regioni avevano all’inizio mostrato interesse a questa terapia. Tanto che, fino a un mese fa, il 50% di tutte le prescrizioni è stato svolto solo in Toscana, Lazio, e Veneto. Questo nasce dal fatto che sono farmaci ospedalieri».

Chi può usare i monoclonali

L’Aifa ha ristretto l’uso dei monoclonali a pazienti con fattori di rischio, con una certa età, sopra i 65 anni, o con determinate patologie. Tra queste immunodepressione, malattie oncologiche, diabete grave, insufficienza renale, patologie congenite del sangue, malattie respiratorie, bronchite cronica, enfisema, patologia cardiaca importante. «A chi non rientra in questi criteri secondo una scheda di Aifa rigidissima, spesso proponiamo di partecipare a trial approvati sempre da Aifa e comitati etici per nuovi farmaci anti -ovid che usciranno nei prossimi mesi» aggiunge Falcone.

Come e quando impiegarli: in futuro la somministrazione a domicilio

La somministrazione del monoclonale è endovenosa, dura un’ora e deve essere fatta in ospedale, dove il malato deve rimanere in osservazione. Va usato idealmente prima che si sviluppi la patologia, la massima efficacia sta infatti nel prevenirne l’evoluzione grave. Non è pertanto necessario che ci siano sintomi: possono anche essere lievi o il soggetto può essere asintomatico. «L’indicazione di Aifa è entro i dieci giorni dal tampone molecolare o rapido di terza generazione o dall’insorgenza dei sintomi, ma più si va avanti meno è efficace. Il paziente riceve uno stock di immunoglobuline, le stesse che fa produrre il vaccino e identiche a quelle sviluppate dalle persone guarite contro il target della proteina Spike, ma sintetizzate in laboratorio. Sono farmaci che permettono la remissione della malattia o non aggravamento».

Efficacia e reazioni avverse

I monoclonali autorizzati da Aifa sono:

  • combinazione di bamlanivimab ed etesevimab;
  • combinazione di casirivimab e imdevimab
  • sotrovimab, approvato da poco e ancora non pienamente distribuito.

«In un anno abbiamo curato più di 500 pazienti con monoclonali: circa 400 con i trattamenti autorizzati da Aifa e un centinaio tramite i trial randomizzati. L’efficacia è molto alta: abbiamo avuto pochissimi ricoveri e decessi, tenendo conto che sono persone anziane e con patologie. Sono efficaci sulla variante Delta e anche sulla Omicron, secondo uno studio che ha preso in considerazione il monoclonale sotrovimab» spiega il professore.

Aifa, inoltre, svolge monitoraggio attivo sugli effetti avversi dei monoclonali. «Il prescrittore per ciascun trattamento deve compilare una scheda che informa Aifa su eventi avversi ed esiti. I monoclonali sono ben tollerati. Abbiamo avuto solo un paziente che ha dovuto sospendere l’infusione; il resto ha avuto reazioni banali, spesso difficili da attribuire ai monoclonali o al Covid stesso».

 

Dialogare con la medicina del territorio

Secondo Aifa sono finora 216 le strutture in Italia che hanno prescritto i monoclonali, anche se non c’è uguale distribuzione su tutte le regioni. «Ormai li erogano in tutti i grandi ospedali e in quelli periferici, ma manca a volte la comunicazione tra il paziente positivo, che rimane a casa, il medico e l’ospedale. Spesso si lavora a compartimenti stagni – prosegue Falcone – Noi abbiamo fatto cicli di formazione con i medici di famiglia nella provincia di Pisa per fare conoscere l’opportunità di queste molecole nuove. Il grosso del lavoro lo deve fare la medicina del territorio. Molti medici di famiglia al momento sono indirizzati su antinfiammatori, azitromicina e altro facendo perdere tempo a persone che dovrebbero subito essere curate con i monoclonali, che a volte si ricoverano poi con polmonite grave. In Toscana ,nei centri dove si fanno i tamponi, i soggetti possono dare la loro disponibilità a essere contattati dalle strutture che erogano i monoclonali nel caso in cui fossero positivi».

Nuove molecole intramuscolari e antivirali, trial clinici in corso

L’Aoup svolge anche attività di ricerca e sperimentazione su nuovi monoclonali o altre terapie. «Siamo il centro che li ha sperimentati su più pazienti, un’ottantina. Stiamo ora sperimentando un monoclonale intramuscolare della Toscana Life Science, ma non abbiamo ancora raggiunto il numero necessario per comporre la coorte (almeno 700-800 randomizzati). Ha il vantaggio di essere intramuscolare e non endovenoso e può essere somministrato, pertanto, anche dal medico di famiglia al domicilio dell’ammalato. A breve probabilmente arriverà poi una nuova combinazione di monoclonali AstraZeneca. Utilizziamo la struttura anche per altri trial clinici. Ne è in corso uno su una molecola antivirale che ha azione simile al molnupiravir. La ricerca farmaceutica si sta ormai concentrando su farmaci orali o intramuscolari. Per le nuove attività vorremmo capire gli effetti sulle varianti, come la Omicron, e testare forme di somministrazioni più comode, sottocute o intramuscolari» aggiunge il professore.

Lo studio Tsunami sul plasma iperimmune

L’Aoup è stata anche capofila dello studio Tsunami per la cura di pazienti con Covid con plasma iperimmune di donatori guariti dall’infezione, una sperimentazione italiana multicentrica, supportata da Aifa e Iss. I risultati sono stati da poco pubblicato su Jama. «Non ha dato i risultati sperati, purtroppo – spiega Falcone – Il concetto è simile a quello della terapia con monoclonali, ma la selezione del plasma è molto più difficile e non è facile ottenere un plasma di qualità (con alto titolo di anticorpi neutralizzanti). C’è una oggettiva difficoltà di standardizzazione di questa terapia e non siamo riusciti a identificare una differenza significativa tra chi riceveva il plasma e chi no (questo dato conferma evidenze già presenti in letteratura). Tale terapia è ormai da considerare superata dalle terapie più moderne, monoclonali e antivirali in primis. In ogni caso, tutte le strategie di immunoterapia (plasma, anticorpi monoclonali e antivirali) sono efficaci se somministrate nei primi giorni dall’insorgenza dei sintomi (max entro 3-5 giorni) e quando il paziente non ha ancora una polmonite grave».