L’errore medico

Doctor looking at ct scanDati recenti dimostrano che l’errore medico rappresenta la terza causa di morte negli USA.
Un recente articolo di Martin e Makary (2016) prendendo in analisi i dati di quattro diverse ricerche sulle cause di morte di persone ospedalizzate rileva una percentuale di eventi avversi conclusasi con la morte dei soggetti pari al 0,71%; tale percentuale applicata al totale dei ricoveri effettuati negli Stati Uniti nell’anno 2013 (pari a 35.416.020) porta ad ipotizzare un numero di 251.454 decessi, che ne fa la terza causa di morte dopo quelle causate dai problemi cardiaci e dai tumori. Gli autori segnalano anche la difficoltà di reperire dati al riguardo, in quanto le cause dei decessi vengono codificate secondo il sistema ICD 10 che non prevede l’evento avverso o l’errore medico tra le cause di decesso.

Quindi, in poche parole, siamo di fronte a un fenomeno che se da una parte si presenta diffuso in modo drammatico, dall’altra non rappresenta probabilmente che la punta dell’iceberg, una percentuale probabilmente minima di un sommerso molto maggiore. La questione da anni è dibattuta anche in Italia e nei paesi Europei, anche se non esclusivamente, a partire dal fenomeno delle cause legali promosse contro i medici: oltre 34.000 ogni anno. Il problema, molto sentito da tutte le categorie sanitarie e in particolare dai medici e fra questi da alcuni specialisti particolarmente a rischio ha indotto il Parlamento a prendere l’iniziativa di promuovere una nuova legge. Infatti la Camera ha approvato nel gennaio scorso il testo unificato delle proposte di legge: “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”, relatore l’On. Federico Gelli. Questa proposta di legge, che incontra l’approvazione della maggioranza dei rappresentanti delle associazioni mediche e sanitarie, vuole rispondere a due importanti problemi connessi all’errore medico/sanitario: l’imponenza del fenomeno del contenzioso medico legale, causa dell’aumento progressivo del costo delle assicurazioni per professionisti e strutture sanitarie, e il fenomeno della medicina difensiva che ha prodotto l’estendersi della prescrizione farmacologica e degli esami ematochimici e strumentali, e quindi un uso inappropriato delle risorse destinate alla sanità pubblica.

Il problema però non riguarda solo la medicina convenzionale. Nell’ambito delle medicine complementari questa esigenza paradossalmente è ancora più forte per la notevole crescita del numero di cittadini che utilizzano queste medicine, la discussione in atto su questa materia nell’ambito scientifico e il processo di integrazione di queste discipline nelle risorse per la salute. Per anni le medicine complementari si sono considerate pressoché esenti da effetti collaterali e, quando non proposte in modo “alternativo” ma appunto complementari alla terapia convenzionale, terapie sostanzialmente esenti da rischi, sicure. Questo però non significa che anche in questo settore non ci possa essere l’errore medico, l’incidente (harmful incident) e che questo non possa essere prevenuto attraverso un lavoro innanzitutto di presa di coscienza di questa possibilità e poi di attivazione di una serie di meccanismi che possono e debbono essere attuati soprattutto se si lavora in una struttura, pubblica o privata che sia. Naturalmente il primo e più importante punto riguarda la formazione professionale che naturalmente non solo deve consentire la trasmissione del sapere relativo a ciascuna disciplina, deve anche preparare il futuro medico di medicina complementare ad affrontare anche i possibili rischi intrinsechi a qualsiasi terapia per quanto possa essere definita “dolce”. Ogni terapia ha naturalmente il proprio punto di debolezza, il passaggio nel quale si misura maggiormente il rischio per la sicurezza del paziente. In sintesi possiamo dire che per l’agopuntura, una volta risolto il problema della trasmissione di possibili germi con l’adozione ormai da decenni di aghi monouso, il problema secondo vari studi è minimo, e nel caso dell’impiego di aghi particolarmente lunghi e infissi in profondità, pratica generalmente non in uso nei paesi occidentali, il rischio è chirurgico; per le manipolazioni vertebrali ovviamente il problema è meccanico, mentre per la fitoterapia si tratta di sorvegliare la possibile tossicità di alcune piante a certi dosaggi e la possibile interazione con le terapie convenzionali in atto, mentre le terapie che utilizzano farmaci in diluizione (omeopatia, omotossicologia, antroposofia) ovviamente non esiste il problema della tossicità ma il problema vero è la sostituzione terapeutica, ovvero quando il paziente chiede il medicinale omeopatico in sostituzione di quello convenzionale, in genere perché non ne sopporta gli effetti avversi. Se i professionisti sono consapevoli dei possibili rischi possono essere messi in grado di ridurne l’impatto e le conseguenze in termini di danno procurato al paziente. L’errore umano è ineliminabile, ma è possibile ridurre i rischi attuando tutte le possibili misure necessarie per aumentare ulteriormente la sicurezza complessiva dei pazienti che scelgono le medicine complementari per la tutela della propria salute. Come dicevano i latini errare humanum est, perseverare autem diabolicum.