Farmaci intelligenti, quali anticorpi monoclonali o falsi recettori, ulteriore sviluppo di nuovi farmaci biotecnologici e progetti di ricerca per profilare pazienti refrattari a terapie, anche quando iniziate precocemente, fino a disegnare progetti di ricerca differenziati per genere.

Sono alcuni dei traguardi e delle prospettive in ambito di ricerca, cura e trattamento delle malattie reumatologiche, al centro dell’interesse anche della Fondazione italiana per la ricerca sull’artrite (Fira) e del Centro Ricerche dedicato a questa tipologia di malattie, recentemente inaugurato presso la Fondazione Pisana per la Scienza ONLUS (FPS).

A che punto siamo

«Negli ultimi anni la ricerca reumatologica ha fatto enormi progressi nell’identificazione delle cause delle principali malattie reumatologiche con ricadute cliniche determinanti nell’identificazione di nuovi marker diagnostici e presidi terapeutici – spiega il professor Carlomaurizio Montecucco, presidente di Fira, direttore del Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica dell’Università di Pavia e della Struttura Complessa di Reumatologia al Policlinico S. Matteo – Tra questi i farmaci intelligenti, anticorpi monoclonali o falsi recettori, che hanno contribuito a migliorare la vita dei pazienti. Da circa 25 anni si utilizzano nella pratica clinica farmaci biotecnologici, di cui se ne stanno sviluppando di nuovi: questo “rodaggio” oggi ci consente di saper identificare il farmaco giusto per il paziente giusto. Dall’altro disponiamo però anche di farmaci sintetici, piccole molecole di straordinaria efficacia di cui si sta attualmente verificando il profilo di sicurezza».

Obiettivo è arrivare a una medicina sempre più personalizzata, tale da garantire il migliore rapporto rischio-beneficio, stratificando il paziente nelle diverse tipologie. «Ad esempio, un paziente con problemi cardiovascolari – prosegue il professore – va indirizzato a una terapia con farmaci biologici classici, sia anti-TNF che non, a seconda che soffra di una forma di artrite reumatoide siero positivo o siero negativo, ovvero che presenti oppure no auto-anticorpi. Mentre un paziente con nessun rischio cardiovascolare, in giovane età e in piena attività, può essere avviato a una terapia con nuovi farmaci orali, tenuto conto, come detto, sia del rapporto rischio-beneficio sia soprattutto delle necessità del paziente.

La vera rivoluzione in reumatologia, avendo oggi a disposizione un ventaglio di opzioni terapeutiche, è potere finalmente curare il paziente e non la malattia, andando incontro alle esigenze della persona non strettamente sanitarie ma anche di vita sociale, relazionale, professionali». Per raggiungere questi obiettivi terapeutici è fondamentale partire presto: diagnostica e trattamento precoci contribuiscono a rallentare l’insorgenza della disabilità e del danno associati alla patologia che, una volta manifesti, sono irreversibili. Il danno, infatti, è correggibili/reversibili solo con un intervento protesico, ma non tutte le articolazioni si prestano a questa soluzione terapeutica. Da qui la necessità di agire prima che il danno si instauri.

In ricerca

Si punta a soddisfare gli unmet needs dei pazienti refrattari alle terapie, seppure siano sempre più minoritari. «Abbiamo scoperto – chiarisce Montecucco – che alcune citochine coinvolte nell’artrite reumatoide non lo sono nella spondiloartrite, ciò significa ad esempio che farmaci diretti a IL-23 e IL-17 che non sono presenti nell’artrite reumatoide non funzionano verso questa patologia e viceversa e che, invece, gli anti-TNF fungono da salvagente, con una azione di efficacia trasversale. Stiamo pertanto cercando di identificare le differenti caratteristiche di questi pazienti refrattari, dove ad esempio alcuni sembravano inizialmente non rispondere ai trattamenti per aspetti apparentemente non legati alla malattia quali dolore cronico, stato psicologico, rivelando in realtà una forma di infiammazione diversa da quella ipotizzata. In questi contesti i JAK inibitori sembrano funzionare meglio di altre terapie. Avere ancora un 6-7% di pazienti che non rispondono alla cura, nonostante le molteplici terapie disponibili e l’inizio del trattamento precoce resta una criticità da risolvere, un debito da saldare nei loro confronti».

Anche in funzione del diverso impatto di genere delle malattie reumatologiche si sta cercando di strutturare percorsi e approcci di cura differenziati: si è visto, ad esempio, che rispetto a taluni farmaci le donne rispondono meno bene degli uomini e che nella quota dei pazienti difficult to treat (refrattari), la quota femminile è più alta. «Andare verso terapie differenziate per genere – conclude Montecucco – è uno degli obiettivi del primo progetto che Fira sta sviluppando in questo nuovo centro di Ricerca, con la consapevolezza che potrà essere estensibile e ad applicabile anche ad altre malattie come il lupus o la sclerosi sistemica, dove il rapporto di 8-9 a 1 è a sfavore della donna».

Nuovi traguardi

Oltre a ciò restano ancora da spiegare diversi altri fenomeni; tra i primi obiettivi vi è sviluppare uno studio più approfondito degli auto-anticorpi e dei meccanismi di disregolazione del sistema immunitario che potrà consentire di correggere il malfunzionamento e riportare il sistema alla sua efficienza.