Longevity e aging: legate ma non univoche. È opinione comune ritenere questi due concetti sovrapponibili, in realtà per quanto sinergici, godono ciascuno di una propria identità. L’aging nel più moderno intendimento è, infatti, rivolto ad azioni che possano promuovere un invecchiamento sano e attivo, in un’ottica di prevenzione e di salute anche negli anni; la longevità, e più precisamente la medicina delle longevità, offre invece l’opportunità per avviare processi di ringiovanimento funzionale e biologico dell’organismo, a partire dalle cellule.

Se ne è parlato in occasione dell’evento “Longevity & Ageing”, tenutosi a Milano e promosso da Nucleate – organizzazione internazionale no profit attiva in ambito Bio-Entrepreneurship – in collaborazione con G-Gravity – hub phygital di Innovazione e Centro di competenza dedicato all’Healthcare.

La medicina della longevità

Ha come obiettivo il rallentamento del declino funzionale tipico dell’aging, puntando a un invecchiamento in salute, al miglior controllo (sullo sviluppo) delle malattie croniche a vantaggio della migliore qualità della vita e di un sensibile contenimento dei costi gestionali e assistenziali per il sistema, correlati alla/e patologia/e in atto. 

«La medicina della longevità – spiega Roberta Gilardi, CEO di G-Gravity – lavora prevalentemente sul ringiovanimento biologico e funzionale, ricorrendo a diversi “strumenti” di azione, tra questi elementi nutrizionali, quali integratori e nutraceutici. In quest’ambito sono in corso alcune sperimentazioni condotte da David Sinclair, professore e ricercatore di genetica alla Harvard Medical School (US) che sta testando su se stesso diverse pratiche come l’intermittent fasting, o digiuno intermittente di cui è fautore, così come la limitazione nell’assunzione di alcool e/o altre sostanze, al fine di poter dimostrare il valore della nutraceutica nel contribuire al potenziamento dello stato di salute e di come l’intake di alcune specifiche sostanze possono indurre l’organismo a mantenersi in una condizione di (miglior) salute. Il “fil rouge” di fondo della ricerca moderna insegna che mantenersi bene, in forma e in salute, si lega a un invecchiamento più sano: ciò significa innanzitutto prevenire ed evitare comportamenti e componenti che, nel tempo, possono stimolare l’insorgenza di patologie, anche potenzialmente invalidanti».

La telomerica

«Altre ricerche – continua Gilardi – sono incentrate, invece, sullo studio delle componenti genetiche: ad esempio alcuni lavori e scoperte sulla telomerica, sebbene sia improbabile che riceveranno l’approvazione da parte di FDA (Food&Drug) e AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per un utilizzo su persone sane, sembrano dimostrare che sia possibile ridurre il decadimento del DNA nel momento in cui i telomeri raggiungono un certo apice di erosione. O ancora, la medicina della longevità, sempre in un’ottica di “rigenerazione”, oltre che sul DNA, sta lavorando sulla rigenerazione della componente staminale del tessuto adiposo, in particolare su specifiche sostanze, tra queste i peptidi, utilizzati ad esempio per la rigenerazione dei tessuti dell’occhio con effetti positivi sulla regressione di alcuni stati patologici.

L’immunoterapia

Inoltre, in ambito oncologico, al di là dei chemioterapici, vi è un forte interesse verso l’immunoterapia che consente all’organismo di “auto-reagire” rispetto a uno stato di patologia. «Ciò indica che guadagniamo in salute – sottolinea Gilardi – se stiamo meglio, se ci nutriamo meglio e/o se facciamo uso o mettiamo in atto comportamenti che inducono un’autoproduzione di fattori che possono contribuire a mantenerci più giovani, ovvero se siamo in grado di sfruttare appieno le risorse di cui l’organismo dispone, che sono tante».

Le ripercussioni (positive)

Sviluppare la medicina della longevità e dell’aging ha effetti benefici per la persona e per il sistema: evita, in primo luogo, o aiuta a contenere lo sviluppo e/o la cronicizzazione di stati patologici riducendo da un lato l’impatto sulle casse dello Stato ma soprattutto, dall’altro, migliorando la qualità di vita delle persone. 

«Si consideri, ad esempio, il diabete che nella sua progressione – conclude Gilardi – si associa a malattie cardiovascolari, necessitando dunque di politerapie: il paziente ha diritto di accesso a una serie di servizi gratuiti, con un peso in termine di costi importante per tutta la struttura sociale. Dunque pensare e “prendersi cura” del proprio benessere è anche un atto di responsabilità verso se stessi e verso il sistema: vero è infatti che alcuni stati patologici indotti da comportamenti voluttuari, quali ad esempio (le conseguenze derivanti da) un uso/abuso di fumo, consumo di alcolici e/o di alcune altre pratiche dannose per l’organismo, hanno ricadute non solo sulla vita e sulla qualità della vita della persona, ma anche sul contesto ambientale, intendendo le persone del proprio nucleo relazionale e la società nel suo complesso. Tale atto di responsabilità porta, dunque, al miglioramento della qualità della vita, ovvero al pieno godimento della stessa il più a lungo e fino a quando possibile».