C’entrano specifici geni e la loro capacità di adattamento a diverse tipologie di dieta se siamo in grado di assaporare e digerire alimenti diversi dalla nostra tradizione culinaria, anche strutturalmente differenti. Come per esempio le alghe contenute nel sushi, che presentano polisaccaridi che niente hanno a che fare con quelli di frutta e verdura cui siano abituati.

Quale meccanismo c’è alla base? Chi o cosa interviene? La scoperta di un processo adattivo, chiamato trasferimento genico orizzontale, descritto in un lavoro pubblicato su Cell Host & Microbe, è ad opera di ricercatori del Max Planck Institute for Marine Biology e della University of Michigan, negli Stati Uniti.

I polisaccaridi

Frutta, verdura, cereali sono patrimonio della nostra dieta, fin dall’antichità. È naturale pensare, dunque, che il microbiota intestinale sia in grado di digerirne tutte le componenti, compreso i polisaccaridi. Come si comporta l’organismo riguardo la metabolizzazione di cibi etnici, come le alghe, entrate tardi e per importazione sulla nostra tavola, presenti nel sushi o come additivo alimentare?

La risposta sta nella capacità del microbiota di acquisire capacità che naturalmente non gli appartengono e di addestrare o di formare geni in grado di degradare molecole, ovvero diversi polisaccaridi derivati dalle alghe, seppure dalla struttura chimica differente. Tesi cui sono giunti un gruppo di ricercatori americani dopo avere analizzato dozzine di campioni di feci prelevati dall’uomo.

I Bacteroidetes

Tra le tante specie batteriche intestinali, studi precedenti hanno identificato i Bacteroidetes come possessori di geni capaci di avviare la degradazione delle alghe. Associazione che deriva dal fatto che questi stessi geni sono stati reperiti in Bacteroidetes che vivono negli oceani. Ci sarebbe inoltre anche la complicità dei Firmicutes, che sembrano aver acquisito nel tempo la capacità di digerire i polisaccaridi delle stesse alghe.

Per confermare questa ipotesi, i ricercatori americani hanno analizzato campioni di feci umane con l’intento di valutare la possibile interazione tra dieta e adattamento dei microbi intestinali umani arrivando a scoprire non solo l’implicazione dei Bacteroidetes oceanici, ma che essi sono ben più numerosi di quanto si pensasse. Infatti, analizzando le colture di numerosi batteri intestinali umani in grado di digerire vari polisaccaridi derivati dalle alghe, tra cui laminarina, alginato e porfirano, è emerso che i geni per la digestione della laminarina sono piuttosto comuni e diffusi in differenti specie di batteri, almeno 22 diverse varietà.

Il fenomeno si spiegherebbe con la capacità dei batteri di elaborare i beta-glucani, un tipo di zucchero che si trova nell’avena e nei cereali integrali, e la complicità di altre poche specie batteriche in grado di lavorare su altri specifici polisaccaridi. Per esempio, i geni per la digestione dell’alginato sembrerebbero i secondi più diffusi nei campioni di feci, ma solo un isolato di Bacteroides plebeius, presente nella popolazione giapponese, crescerebbe sul porfirano. Dunque, i geni per degradare agarosio e porfirano, due delle alghe più comunemente consumate nel Sud-est asiatico, sono abbondanti nelle persone che vivono nei paesi asiatici, ma nel resto della popolazione?

Un fenomeno di acquisizione

L’ipotesi più plausibile è che il microbiota possa diventare in grado di metabolizzare le alghe grazie all’acquisizione di specifici geni, attraverso il processo di trasferimento genico orizzontale, l’Horizontal gene transfer (HGT), in cui il materiale genetico viene trasferito da organismo a organismo che coloro che convivono in uno stesso ambiente in modo orizzontale. I ricercatori, infatti, hanno anche osservato che i Firmicutes, batteri tra i più abbondanti nell’intestino umano, sembrano poter digerire i polisaccaridi delle alghe: non a caso si tratta di batteri che vivono nell’intestino dei pesci.

A significare lo stretto coinvolgimento dell’HGT se oggi il microbiota intestinale può digerire e metabolizzare anche le alghe. Resta, infine, ancora da capire se i geni derivino da un batterio oceanico consumato dall’uomo oppure per acquisizione tramite un percorso più complesso interno all’intestino umano.

Fonte:

  • Pudlo NA, Pereira GV, Parnami J et al. “Diverse events have transferred genes for edible seaweed digestion from marine to human gut bacteria”. Cell Host & Microbe, Vol. 30, Issue 3, P314-328.e11, 2022, doi: https://doi.org/10.1016/j.chom.2022.02.001