Circa 4 lavori sul microbiota pubblicati ogni giorno: sono quelli che si ritrovano digitando, oggi, i principali motori di ricerca. L’attenzione per il microbiota, un vero e proprio organo, che pesa più di un kilogrammo, formato da trilioni di microrganismi, batteri miceti e virus, sta destando sempre maggiore attenzione da parte della scienza.

Vi è evidenza crescente, da studi di letteratura, che la composizione microbica dell’intestino influenzi il benessere di ciascuno e come ogni persona sia dotata di un proprio microbiota, con caratteristiche uniche e adattive ai vari momenti della vita, tanto da essere considerato ad oggi la parte variabile del nostro genoma. Su questi obiettivi e sull’identificazioni di pattern sani e di alterazione del microbiota quali potenziali indicatori di predisposizione allo sviluppo di specifiche patologie, punta la ricerca del prossimo futuro.

Una rivoluzione

Intorno agli anni 2000 gli sudi che si occupavano di microbiota erano poco più di un centinaio, nel 2022 sono cresciuti a oltre 20 mila. «Oggi possiamo parlare di rivoluzione del microbiota non solo per il grande interesse che si è sviluppato attorno a quest’organo – spiega Giovanni Barbara, Direttore dell’Unità Complessa di Medicina interna e Gastroenterologia IRCCS Policlinico S. Orsola, Chair di Gut Microbiota for Health section of European Society of Neurogastroenterology and Motility – ma per la disponibilità di strumenti e tecnologie che consentono di analizzarlo nel dettaglio.

La ricerca in quest’ambito esplose agli inizi del ‘900, quando Elie Metchnikoff, divenuto poi Premio Nobel, fu pioniere nell’intuire che dal microbiota potesse dipendere lo sviluppo di alcune malattie, non solo di carattere intestinale. Sosteneva che la disbiosi, che definì come putrefazione intestinale, potesse essere implicata ad esempio nelle malattie mentali e che poteva essere curata con un intervento di colectomia o con il semplice utilizzo di fermenti lattici».

Da allora, e soprattutto negli ultimi 10-15 anni, sono stati fatti sensibili passi avanti nella definizione del microbiota, grazie all’applicazione di tecniche nuove, che sono cultura indipendenti; vero è, infatti, che, essendo anaerobio (non cresce in laboratorio), non è possibile identificare la stragrande maggioranza del microbiota in colture sperimentali.

L’impatto clinico del microbiota

Il benessere o il malessere del microbiota condiziona lo sviluppo di diverse patologie e la risposta terapeutica alle stesse. Ad esempio, vi è evidenza che il microbiota rappresenti una variabile importante in caso di pazienti sottoposti a immunoterapia. Il tipo di microbiota influenzerebbe l’efficacia terapeutica, diversa da persona a persona e dipendente proprio dalla composizione microbica del microbiota.

Insieme ai tumori, altre patologie possono risentire del suo “stato di salute”: «il microbiota entra a tutto tondo nella medicina – prosegue Barbara – in gastroenterologia, nelle malattie infettive, gastrointestinali tra cui intestino irritabile, coliti, malattie infiammatorie croniche intestinali come colite ulcerosa e morbo di Chron, sottolineando la stretta comunicazione tra questo sistema e il sistema nervoso centrale, tant’è che la disbiosi si associa anche ad ansia e depressione.

Non solo: vi sarebbe evidenza anche di una implicazione del microbiota in malattie cardiovascolari, metaboliche quali l’obesità secondo alcuni studi. Riuscire a identificare l’associazione tra pattern di alterazione del microbiota e specifiche patologie sta orientando sempre più verso una medicina di precisione e, dunque, a terapie dedicate. Un nostro lavoro sembra dimostrare ad esempio che la colite da Clostridium difficile, una malattia infettiva che colpisce prevalentemente gli anziani e che risponde alle terapie antibiotiche solo nel 60% dei casi, possa risolversi con un tasso del 90% con un trapianto di microbiota intestinale.

Ancora, in ambito oncologico, recenti studi dimostrerebbero che alterazioni del microbiota favoriscano lo sviluppo dei tumori della pelle, in particolare nel melanoma e come il trapianto fecale possa impattare sulla risposta terapeutica. Pertanto questa opzione terapeutica potrebbe consentire di recuperare una serie di pazienti che non rispondono alle terapie con checkpoint inhibitors.

Infine, studi recenti su una serie di pattern microbici alterati mostrano che la risposta ai probiotici nella sindrome da intestino irritabile, che sembrerebbe limitata dai dati di alcune metanalisi, è invece molto promettente in stati di malattia dovuti al batterio Collinsella intestinalis, ma non in altri profili. Da qui l’importanza di fare dei profili di microbiota e identificare i pattern di alterazione per arrivare a una terapia “di precisione”».

Obiettivi della ricerca sul microbiota

La ricerca punta a individuare i pattern di salute del microbiota (il profilo del microbiota sano non è stato ancora identificato) e indicatori che consentano di caratterizzare una alta biodiversità di questo eco-sistema: tanto più è biodiverso, tanto migliore sarà la sua salute. «Al pari dell’ecosistema marino o delle foreste, anche nel microbiota intestinale una riduzione della biodiversità è determinante di malattia.

Identificare il profilo del microbiota sano e i pattern alterati – conclude Barbara – consentirà di caratterizzare la predisposizione allo sviluppo di alcuni contesti patologici: obesità, malattie infiammatorie, malattie cardiovascolari e i relativi interventi terapeutici per modificare la salute dell’individuo e del microbiota intestinale. Un’altra sfida, ancora più delle terapie, è rappresentata dalla prevenzione, ovvero istruire la popolazione all’adozione di comportamenti e stili di vita sani, a partire dal parto naturale rispetto al cesareo, dall’allattamento al seno piuttosto che artificiale, dal ridurre fino a evitare l’uso di antibiotici».