Esperienze sul campo e studi di letteratura sembrano sostenere l’efficacia della musicoterapia nel supporto al paziente oncologico, affetto da diverse neoplasie, e di età pediatrica interessato da patologie severe, specificatamente cardiovascolari. Le evidenze sono state presentate in occasione del Convegno “La musica incontra la medicina. Ritmo, suoni e salute” (Padova, 23-25 Novembre).

In oncologia

Prendendo come ambito di confronto la musica, l’insorgenza di un tumore potrebbe essere avvicinata a una esperienza di alterazione ritmica-melodica-armonica. «Si altera il ritmo del corpo, del pensiero, delle emozioni, delle relazioni sociali per quanto attiene alla parte ritmica – spiega Davide Ferrari, musicoterapeuta presso l’Ospedale S. Martino di Genova – si osserva una alterazione estetica che riferisce alla componente melodica e infine si assiste a un cambiamento della dimensione intima e profonda per quella che definiamo la parte armonica».

La musicoterapia può diventare parte integrativa della cura nel paziente oncologico facendo leva sulle parti sane, ovvero le zone del corpo, della sfera emozionale e del pensiero non sono ancora completamente alterate dalla malattia.

«Le artiterapie, dalla musica alla danza – prosegue Ferrari – sono un contenitore perfetto per accogliere lo stato emozionale del paziente oncologico. Nello specifico la musica, essendo un processo in movimento, così come lo sono il disegno e la danza, permette di elaborare ciò che il paziente racconta e di modificare la percezione spazio-temporale. La percezione del tempo è la prima “nuvola” con cui il paziente oncologico si incontra/sconta: “Quanto tempo mi resta, cosa farò nel tempo che mi resta”, sono domande frequenti che la persona si pone cui si somma anche il tempo dell’attesa della diagnosi, della prognosi, della terapia. Far fare musica a una persona che non ha mai approcciato questa disciplina, farle vivere una esperienza nuova, è già di per sé terapeutico».

La musica può contribuire a (far) portare fuori l’emozione negativa, compreso la sensazione di dolore con ulteriori valori aggiunti. Infatti la musicoterapia contribuisce a (ri)unire persone accomunate da una medesima condizione, ma differente per patologia, fascia di età, vissuto, in un contenitore emotivo artistico in cui ognuno può attingere dall’esperienza dell’altro; crea uno spazio rituale dedicato all’interno del quale ciascuno si riconosce come in una sorta di training autogeno sonorizzato; permette alla persona affetta da patologia di svuotarsi e separarsi da pensieri ossessivi quali una possibile recidiva; consente di intervenire sul ritmo quotidiano, rallentandolo o accelerandolo, rilassando o tonificando.

«Le artiterapie – conclude Ferrari – sono terapeutiche perché portano a un cambiamento, seppur circoscritto, che coinvolge la sfera cognitiva, motoria, emotiva del paziente con una significativa diminuzione dell’esperienza del dolore, accompagnata da sensazioni positive di tipo sensoriale e emotivo».

In pediatria

Applicare la musica in ambito ospedaliero richiede innanzitutto la definizione di obiettivi realistici, funzionali cioè alla durata limitata del trattamento e della degenza; la selezione, conoscenza e anamnesi del paziente attuata con la collaborazione di medici, infermieri, musicoterapeuta, psicologo (se presente), famiglie.

«Il genitore – chiarisce Carmelo Arcidiacono, pediatra cardiologo presso l’Ospedale S. Martino di Genova – deve sentirsi parte del percorso di cura del bambino. Vi è evidenza di sensibili benefici sul bambino associati a un genitore che gli canta una canzone. Tuttavia misurare gli outcome di efficacia della musicoterapia resta uno dei principali bias anche negli studi di letteratura, legati a fattori confondenti, campioni non omogenei per età e tipologie di malattia diverse, differente durata del trattamento, difficoltà di randomizzazione o di realizzazione di studi in doppio cieco e soprattutto di standardizzazione dei trattamenti».

Nonostante queste criticità, la musica interessa la ricerca medica e gli studi ad oggi condotti farebbero rilevare che essa è efficace, anche in età pediatrica, nel ridurre il dolore e l’uso di farmaci oppioidi di oltre il 18%. «Metanalisi – prosegue il pediatra – fanno osservare benefici anche sulla frequenza cardiaca, la funzionalità respiratoria, la saturazione di ossigeno. Inoltre la musicoterapia può contribuire a ridurre l’increzione di cortisolo e di catecolamine endogene con, all’opposto, una modulazione positiva su dopamina, ossitocina e endorfine».

Benefici sul contenimento del dolore e produzione di ossitocina, l’ormone del benessere si registrerebbero anche in neonati esposti all’ascolto della voce materna. Per validare l’efficacia della musicoterapia in ambito pediatrico, in particolare in bambini cardiochirurgici o degenti perso il reparto di cardiologia dell’Ospedale genovese, è previsto l’avvio di tre studi: un caso-controllo randomizzato in lattanti da 1 mese a 3 anni, un caso controllo randomizzato in bambini da 2 a 12 anni ricoverati in terapia intensiva, uno studio a singola coorte in bambini di 2-12 anni ricoverati in reparto di cardiologia e cardiochirurgia.