Il professor Giuseppe Lauria Pinter, direttore scientifico della Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta, illustra le ultime ricerche e le innovative terapie geniche e farmacologiche in studio contro un’epidemia globale

Le malattie neurodegenerative sono destinate a divenire un problema mondiale. Un esempio: i 13 milioni di casi di demenza del 2000 saliranno, si stima, a 21 milioni circa nel 2025 e oltre 36 milioni nel 2050. Il costo dei disordini neurologici in uno studio europeo del 2011 era valutato in 300 miliardi di euro. Nuovi scenari contro queste patologie, dall’Alzheimer, al Parkinson, fino alla Sla, potrebbero aprirsi grazie alle nuove scoperte che puntano sia allo sviluppo di terapie geniche sia farmacologiche. Protagonista sul campo è la Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta, il cui direttore scientifico è il professor Giuseppe Lauria Pinter.

Professore, quali studi avviati all’Istituto hanno acceso riflettori importanti su possibili nuove terapie contro le malattie neurodegenerative?

Ce ne sono diversi, che aprono anche prospettive di interesse industriale. Uno studio preclinico sull’Alzheimer, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, pubblicato sulla rivista Nature Molecular Psychiatry, ha avuto ampia eco. Ha dimostrato che nel modello animale la somministrazione per via inalatoria di una molecola che sfrutta le proprietà anti-aggreganti di una variante della beta-amiloide ha prevenuto lo sviluppo della malattia. Dopo i necessari studi tossicologici, speriamo di poter arrivare presto al primo studio su pazienti.

Con una ricerca pubblicata lo scorso anno su Brain abbiamo dimostrato che una molecola che modula il bilancio tra accumulo e degradazione delle proteine ha protetto dall’evoluzione della malattia pazienti con la forma bulbare di Sla dopo 6 mesi di trattamento. A breve partirà uno studio italo-francese per confermare questi risultati, che speriamo porti alla registrazione del farmaco.

Abbiamo contribuito a dimostrare l’efficacia di nuove terapie geniche e immunologiche in malattie neurologiche (dalla Sma alla neuropatia da amiloidosi, alla miastenia), oggi disponibili per tutti i pazienti, e abbiamo in corso numerosi trial su molte altre patologie, tra cui Parkinson, epilessie, tumori cerebrali.

Giuseppe Lauria Pinter, direttore scientifico della Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta
Qual è il contributo generale del Besta su queste patologie?

Il Besta è un Irccs pubblico, il cui obiettivo è offrire diagnosi e terapie avanzate ad adulti e bambini con malattie neurologiche, sia in area medica sia chirurgica, e contribuire all’avanzamento della conoscenza delle cause che le determinano al fine di poter avere trattamenti sempre più efficaci e personalizzati.

L’Istituto è dotato di tecnologie d’avanguardia. Tra queste un trattamento che attraverso ultrasuoni permette di raggiungere, sotto la guida della risonanza magnetica, zone cerebrali specifiche. Con questo strumento straordinariamente avanzato trattiamo pazienti con tremore, Parkinson, dolore neuropatico. Siamo provvisti dei più avanzati strumenti per effettuare analisi genetiche e studiare a livello cellulare e tissutale molte malattie. Nei nostri laboratori si effettuato studi avanzati utilizzando i modelli più innovativi, come cellule staminali, organoidi che replicano in vitro la struttura tridimensionale di organi e tessuti umani, cervelli di roditori tenuti vivi per registrarne l’attività elettrica nell’epilessia e analizzare l’efficacia di terapia per il glioblastoma, uno dei più terribili tumori nell’uomo.

Abbiamo un’unità per la produzione di terapie cellulari autorizzata da Aifa, dedicata alla produzione di prodotti medicinali per terapie avanzate da utilizzare in studi clinici per malattie neurologiche e oncologiche.

Nei nostri laboratori lavorano a stretto contatto biologi molecolari, genetisti, bioinformatici, tecnici, medici. Lungo tutta la filiera della ricerca, da quella in vitro ai modelli animali, allo sviluppo e disegno di clinical trial, sia accademici sia industriali, abbiamo l’obiettivo di comprendere meglio le patogenesi delle malattie neurologiche e l’effetto delle alterazioni genetiche, perseguendo l’obiettivo più importante: scoprire nuove terapie e rendere più efficaci quelle esistenti.

La medicina territoriale è organizzata per intercettare precocemente l’insorgere di queste patologie?

È un problema molto grande di sistema del nostro Paese, con differenze geografiche evidenti. L’Italia soffre di una cronica mancanza di programmazione, che ha condotto alla situazione attuale. Serve una buona organizzazione della medicina di base, ma il numero di medici resta molto inferiore rispetto alla necessità. Servono specialisti per gli ospedali e per il territorio, ma bisogna ricordare che occorrono dieci anni per formarli, dall’accesso alla scuola di medicina al termine del corso di specializzazione. La qualità dei nostri medici è elevata, ma il sistema ha bisogno di una profonda riforma per offrire un servizio più diffuso ed equo.

Come possiamo definire le malattie neurodegenerative?

Per malattie neurodegenerative si intende un ampio gruppo di malattie caratterizzate dal progressivo deterioramento strutturale e funzionale del sistema nervoso centrale e/o periferico. Sono principalmente classificate su base clinica, per esempio le demenze, le atassie, le neuropatie, le malattie neuromuscolari, i disordini del movimento.

In realtà, ogni gruppo è differenziabile in numerose forme in base alle caratteristiche fisiopatologiche e genetiche. La demenza di Alzheimer e la demenza fronto-temporale, per esempio, anche se caratterizzate da decadimento cognitivo e alterazioni comportamentali, hanno basi biologiche molto differenti. Per esempio, la malattia di Parkinson può essere causata da alterazioni genetiche che determinano un’evoluzione clinica e una risposta alla terapia particolari. Altre ancora, come la Corea di Huntington, combinano alterazioni motorie e psichiatriche. Infine, le malattie ereditarie dei nervi periferici sono la causa più frequente di malattia neurodegenerativa e causano disabilità motoria di diverso grado. Molte, peraltro, insorgono in età pediatrica.

Questi minimi elementi sono utili per sottolineare che oggi ogni paziente con una possibile malattia neurodegenerativa deve essere sempre sottoposto ad approfondite analisi, cliniche e genetiche, che nel nostro Paese sono disponibili in molti centri e che rappresentano la modalità di approccio diagnostico dell’Istituto Neurologico Besta.

È possibile trovare un fil rouge? Cosa possiamo dire della loro patogenesi?

Nella storia della medicina la ricerca di una causa comune universale per molte malattie non ha mai portato a risultati. I progressi si sono verificati perché la ricerca di base e clinica hanno identificato i meccanismi molecolari di singole malattia, che possono presentarsi con sintomi comuni a varie altre. L’esempio delle demenze cui ho fatto cenno è esplicativo.

Possono però essere identificate alterazioni specifiche per sottogruppi di malattia. Per esempio, l’accumulo di determinate proteine nel cervello può essere comune a malattie con presentazioni cliniche parzialmente differenti: tra esse le taupatie, che contraddistinguono molte forme di demenze e la maggioranza, ma non tutte, le forme di Sla. Oppure le alfasinucleinopatie, che caratterizzano la malattia di Parkinson e varie forme di parkinsonismo. Insieme ai neuroni e ai depositi di proteine, la microglia è diventata un target importante per l’identificazione di nuove terapie. In termini generali partecipa in maniera attiva allo sviluppo di molte malattie neurologiche.

 

Ci sono molte aspettative sull’approccio genetico, è corretto?

Negli ultimi anni sono stati raggiunti traguardi terapeutici straordinari grazie alle terapie geniche. Identificare non solo un gene, ma anche la sua funzione ha permesso di costruire terapie geniche che hanno cambiato il decorso di alcune malattie neurodegenerative.

Un esempio di successo è nell’atrofia muscolare spinale, soprattutto nella forma più grave, quella dei bambini, che oggi possono sopravvivere e avere una buona qualità di vita. La neuropatia amiloidea ereditaria, che colpisce i nervi periferici, causando limitazione motoria, perdita di sensibilità, alterazioni autonomiche (disturbi sfinterici, della pressione arteriosa), cardiopatia ed epatopatia, si cura oggi con una terapia genica. Questo è stato possibile anche grazie all’innovazione tecnologica, che ha trainato l’avanzamento delle conoscenze.

Quanto incide realmente la componente genetica nello sviluppo di queste malattie?

Ha impatto molto rilevante e probabilmente combinato con l’ambiente e lo stile di vita. Ci sono malattie causate da alterazioni in un singolo gene: circa il 5% dei pazienti con Alzheimer e il 10-15% dei pazienti con la Sla, per esempio, ma nel 100% dei pazienti con altre malattie, come molte forme di atassia spinocerebellare e la corea di Huntington. Poi ci sono molte malattie in cui si sta riconoscendo il peso determinato dalla combinazione di anomalie in molti geni. In altre malattie, l’alterazione è causata da modificazioni dell’Rna, che è un prodotto del Dna. Il sequenziamento dell’Rna è già parte delle analisi genomiche che conduciamo nei pazienti e le terapie a Rna sono una delle grandi sfide del prossimo futuro.

Quanto influisce l’epigenetica?

L’epigenetica è un settore della genetica che valuta le modificazioni, anche ereditabili, che non sono determinate da alterazioni della sequenza di aminoacidi del Dna. La metilazione del Dna e le modificazioni degli istoni sono due tra i fenomeni più studiati. Espandendo l’area semantica del termine, anche variabili ambientali possono determinare delle modificazioni genetiche in alcuni tessuti, causando quindi malattie. Un esempio è la relazione tra fumo e cancro del polmone. Inoltre, le persone meno in grado di gestire lo stress possono manifestare vari eventi avversi, come sviluppare più frequentemente ulcere, gastrite e cefalea. Anche questi sono fenomeni che possono influenzare il comportamento dei nostri geni.

Cosa possiamo dire sul ruolo del microbiota o microbioma?

Lo studio del microbiota è divenuto un argomento di grande interesse in neurologia. Il microbiota rappresenta la popolazione di microrganismi (batteri, funghi, protozoi e virus) che colonizza un ambiente, l’intestino per esempio, ma non solo. La sua permanenza e funzione dipendono anche dal patrimonio genetico che nel complesso esso esprime, cioè il microbioma. Vari studi hanno suggerito che il sistema immunitario dell’uomo dipenda anche da informazioni che riceve dal suo microbiota, divenuto, quindi, oggetto di studio nelle neuroscienze. Ciò ha condotto alla definizione di un asse microbiota-intestino-cervello, che fa riferimento alla comunicazione bidirezionale fra il cervello e il microbiota dell’intestino.

La barriera intestinale, in stretto contatto con il microbiota e con i neuroni della parete, è oggi studiata in molti disturbi del sistema nervoso centrale, come Parkinson, Alzheimer, depressione, sclerosi multipla, i disturbi dello spettro autistico, la miastenia. Un ulteriore esempio di relazione funzionale tra intestino e cervello è la recente scoperta, pubblicata da Nature, di neuroni sensitivi localizzati nella parete dell’intestino e in grado di inviare al cervello dei segnali rilevanti per le condizioni di dolore. I nostri laboratori del Besta lavorano anche in questo settore e stanno espandendo l’analisi del microbiota ad altri tessuti oltre a quello intestinale.