Mai, neppure in piccole quantità. Rinunciare a un bicchiere per la salute del neonato: è l’appello della SIN (Società Italiana di Neonatologia) a tutte le donne in dolce attesa o al sospetto di una possibile gravidanza, quand’anche non ancora accertata.
Le implicazioni dell’alcool
L’esposizione all’alcol, seppur moderata, può comportare seri rischi, sia per la madre sia per il feto, con possibili gravi conseguenze per la salute nel lungo termine. Fra queste la Fasd (Spettro dei Disturbi Feto Alcolici), una disabilità permanente neurocognitiva, conseguente all’esposizione all’etanolo in utero, di cui la Fas (Sindrome Feto Alcolica) ne è la forma clinica più grave.
Rischi di cui le donne non sarebbero consapevoli, a giudicare dai dati di consumo dell’alcool in gravidanza: secondo i Rapporti ISTISAN 21/25, 10% delle donne in dolce attesa nel mondo consuma in qualche momento della gestazione alcol, in forma moderata o occasionale.
«L’alcool passa sempre attraverso la placenta – spiega Luigi Orfeo, Presidente SIN – a prescindere dall’epoca gestazionale, dalla quantità assunta o dal tipo di bevanda. Pertanto anche un consumo occasionale e moderato può avere conseguenze permanenti e irreversibili sul nascituro a causa dell’azione embriotossica e teratogena dell’etanolo. Il feto non è infatti in grado di metabolizzare l’alcol, perché privo degli enzimi necessari: anche minime quantità ne pregiudicano la salute. Ecco perché l’alcolemia fetale è sovrapponibile all’alcolemia materna, quando la mamma beve, il bimbo beve».
I dati sulle patologie correlate
Il rapporto riferisce, inoltre, che i nati con Fasd dalle donne che assumono alcool è di 1:67 e quello dei nati con Fas di 1:300. Numeri verosimilmente sottostimati in relazione agli scarsi studi condotti sul tema, alle differenti metodologie utilizzate nella raccolta delle informazioni, alla variabilità dei fattori e determinanti socio-ambientali considerat, all’assenza di un’anamnesi alcoologica materna mirata nella diagnosi differenziale di Fasd e all’inconsapevolezza, da parte della popolazione e degli operatori sanitari, sui possibili danni per la salute materno-infantile legati al consumo di alcol, anche quando è minimo o occasionale.
Le azioni da mettere in campo
Devono andare in una duplice direzione: da un lato verso una stima reale del fenomeno, dall’altro verso la sensibilizzazione della popolazione sui danni alcol correlati per la salute materno-infantile e l’(in)formazione del personale socio-sanitario sulla prevenzione, diagnosi e trattamento della Fasd.
Obiettivi che si stanno concretizzando in uno studio in corso dal titolo “Prevenzione, diagnosi precoce e trattamento mirato dello Spettro dei Disturbi Feto Alcolici (FASD) e della Sindrome Feto Alcolica (FAS)” cui hanno aderito Neonatologi della SIN e operatori sanitari in sei Unità Operative distribuite per aree geografiche di competenza, che ha previsto il reclutamento di 2000 gestanti e 2000 neonati sul territorio nazionale, senza criteri di esclusione specifici e la raccolta di dati soggettivi e oggettivi, con un questionario sulle abitudini alimentari prima e durante la gravidanza, unitamente alla donazione di un campione biologico da parte delle mamme (una ciocca di loro capelli) o un campione di meconio del neonato nelle prime ventiquattro ore di vita. Tali campioni sono utili per la ricerca in laboratorio dell’etilglucuronide, un biomarcatore specifico del metabolismo dell’alcol.
In parallelo sono stati avviati diversi eventi di (in)formazione e sensibilizzazione del personale sanitario, rivolti ad Ostetriche, Pediatri, Medici di base, Ginecologi, Assistenti Sociali e Psicologi e della popolazione con la distribuzione di materiale dedicato in 28 centri al fine di trasformare il concetto da “piccola dose piccolo danno” a “zero alcol zero FASD”. La prevenzione dei disordini feto-alcolici sono è possibile al 100% con l’astinenza dall’alcol in gravidanza.