Ripensare il paradigma della medicina, oggi scientificamente più forte, ma socialmente più debole, non sempre adeguata ai bisogni del territorio e del cittadino. Da questa considerazione nasce l’esigenza di spostare il baricentro dalla malattia all’unicità del malato, valutato in quanto tale e diverso da qualsiasi altro paziente, sebbene portatore della medesima patologia.

Occorre, dunque, superare i protocolli che non riescono e non possono contenere tutta la complessità della medicina e di ogni malato. Essi possono essere un riferimento, ma non la “cura”; è necessario invece lasciare autonomia ai medici per definire al meglio i bisogni del proprio assistito. Sono questi alcuni dei temi centrali del libro “La scienza impareggiabile: ripensare la medicina oggi”, (Castelvecchio Editore) del professor Ivan Cavicchi, filosofo della medicina, presentato in occasione del webinar “La scienza impareggiabile: ripensare la medicina oggi”, tenutosi lo scorso 27 aprile e organizzato con il contributo non condizionato di Boiron.

Una medicina della scelta

Non rigida, statutaria, burocratizzata, ma reindirizzata sulla persona. Un concetto di cui si è iniziato a prendere maggiore coscienza dal 2014 con il nuovo Codice Deontologico che ha sottolineato la peculiarità del malato: persona assistita, oggetto e soggetto del cambiamento. Se da un lato la gran parte delle scienze sembrano progredire verso nuovi bisogni, la scienza applicata dal medico, invece, appare tardare. In relazione al rinnovo dei contratti, ad esempio, o nella libertà di azione concessa al medico che non è mero prescrittore di terapie, ma professionista che applica nei confronti del malato procedimenti talvolta anche non canonici, se necessario.

Una medicina in crisi

Sanità e medicina: due mondi paralleli che tuttavia non sembrano muovere e evolversi all’unisono. Nel 1978 si è assisto alla riforma della Sanità senza che il processo intaccasse la medicina , he da quella data a oggi non ha subito alcun intervento significativo in nessun ambito: formazione, pratiche, applicazione. «È stata fatta una riforma a medicina invariante – spiega Cavicchi – e pertanto anche le prassi sono rimaste invariate. La politica ne deve prendere atto: non è più possibile separare la Sanità dalla medicina o progettare la sanità senza la medicina. Il rischio altrimenti, come è accaduto, è che la medicina arroccata su vecchi pilastri, si trovi a regredire rispetto al contesto sociale e sanitario in evoluzione.

C’è, dunque, una “crisi” della medicina, epocale, storica, di apparato concettuale che impone delle ri-soluzione, di cui anche la politica si deve (pre)occupare. Occorre risanare innazitutto lo scollamento forte tra la medica e la società in cambiamento. Non ci sono più leggi fondamentali alle quali la scienza medica deve obbedire, ma ha a che fare con una complessità di elementi da gestire in cui l’ingresso dell’azienda ha rappresentato una ulteriore criticità». Iniziata cioè negli anni ’90, con la modifica dell’Art. 32 della Costituzione, che accettava l’idea che il diritto alla salute potesse (e lo è ancora) essere subordinato alle risorse disponibili, dando avvio alla cosiddetta medicina amministrata, erodendo l’autonomia del medico, consolidando un eccesso di proceduralismo e una falsa idea di appropriatezza (che oggi significa prescrizione della terapia a minor costo), ben diverso dall’adeguatezza della cura al malato.

Le soluzioni

L’obiettivo non è di rinunciare alla medicina scientifica, riducendola a algoritmi e tecnologie, ma rimodernarla, ricontestualizzarla, ripensando innanzitutto lo statuto giuridico, affinché il medico sia messo nelle condizioni di esercitare e interpretare in autonomia la singolarità del malato, in relazione alle evidenze e laddove queste mancassero di recuperare il gap con la professionalità e una formazione nuova. «Non è possibile governare la complessità del malato con una definizione burocratica del medico – aggiunge Cavicchi – occorrono mansioni e competenze adeguate».

Al centro, dunque, deve essere posta la salute, il diritto alla salute, del cittadino, non la malattia: «C’è bisogno di una legge – commenta Filippo Anelli, presidente FNOMCEO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) – per dare una svolta alla professione. Il malato non è solo malattia, ha bisogni che interessano l’intera persona e partendo dalle esigenze di salute occorre modificare la governance alla base, uniformandola sull’intero territorio, avviando comportamenti opposti alla sanità delle regioni, dove la distanza fra chi decide e i cittadini è enorme e in cui i cittadini stessi non sempre si sentono partecipi di una sanità che raccoglie le esigenze della comunità». Come invece richiede il passaggio strategico dalla medicina paternalistica del passato, che ordinava, a una medicina che consiglia e che deve decidere insieme al cittadino.

Ripartire dalla pandemia

L’esperienza Covid può diventare occasione per ripensare i modelli. «Occorre rafforzare le infrastrutture del sistema sanitario nazionale – precisa Maria Domenica Castellone, ricercatrice e medico, capogruppo al senato del Movimento 5 stelle, membro della Commissione permanente Igiene Sanità – non solo di ospedali e digitalizzazione. La tecnologia deve diventare un servizio al cittadino per rendere le diagnosi più accessibili su tutto il territorio.

Occorre rafforzare il personale sanitario, partendo dalla formazione, che deve essere programmata in base al fabbisogno di salute della popolazione. Ad oggi, invece, mancano specialisti in determinate discipline, come medici geriatri o di Pronto Soccorso. Riformare significa anche prevedere il rinnovo contrattuale e il superamento del vincolo di assunzione, fermo all’1,4%: senza nuove assunzioni non si potranno gestire e governare le Case della Comunità se non vengono allocate risorse umane e economiche adeguate. Infine, è necessaria la revisione della Governance, intesa come rapporto tra pubblico e privato, integrativo l’uno dell’altro e l’attuazione del Disegno di Legge Concorrenza, che definisce anche concetti sull’accreditamento dei privati in base al raggiungimento di determinati obiettivi, compreso le nomine dei Primari e Dirigenti Sanitari e la definizione di obiettivi di salute ancor prima che traguardi economici. Ancora il Disegno di Legge Concorrenza ragiona sulla farmaceutica, nello specifico della contrattazione dei farmaci ancora sotto brevetto».

Occorre essere capaci di riacquisire l’atteggiamento del 1978, anno delle leggi sull’aborto, della legge Basaglia, dell’istituzione del Ssn, nate da un grande fermento sociale che aveva messo i temi di salute pubblica al centro dell’agenda politica. «Quelle da attuare oggi – conclude Castelloni – sono riforme di rottura con il passato, non più rimandabili per il Paese. Insieme alla transizione ecologica e alla transizione digitale deve attuarsi anche una transizione culturale al cui centro ci siano la persona e i suoi bisogni, a partire dai servizi al cui interno salute occupa un posto primario e prioritario da tutelare».