Lo studio epidemiologico ha analizzato i dati relativi alla frequenza alimentare di 2800 soggetti over 50, indagando l’esistenza di un’associazione tra l’assunzione a lungo termine di cibi ricchi di flavonoidi e riduzione del rischio di insorgenza di malattia di Alzheimer e demenze correlate. All’arruolamento i soggetti non presentavano diagnosi di Alzheimer o demenza.
Ai candidati è stato chiesto di compilare un questionario di frequenza alimentare ogni 4 anni. Al fine di rendere i risultati più attendibili, non sono stati presi in considerazione i questionari compilati in seguito a una diagnosi di demenza, partendo dall’assunto che in seguito alla diagnosi le abitudini alimentari erano probabilmente variate e la compilazione del questionario non sarebbe stata accurata come richiesto.
Dopo un follow-up di 19,7 anni, lo studio ha evidenziato come un ridotto consumo di 3 particolari tipi di flavonoidi si associ a un maggior rischio di demenza, se comparati con più elevati livelli di assunzione. In particolare:
- a basse dosi di flavonoli (mele, pere, tè, soprattutto tè verde), si associa un rischio doppio di sviluppare Alzheimer o forme di demenza correlate;
- a basse dosi di antocianine (fragole, mirtilli e vino rosso), si associa un rischio quadruplo di sviluppare Alzheimer o forme di demenza correlate.
“Il nostro studio dimostra come la dieta possa essere correlata al declino cognitivo e all’insorgenza di Alzheimer” afferma Paul Jacques, primo autore dello studio “non disponendo attualmente di una cura farmacologica, è importante sapere quali fattori possono rallentare o inibire l’insorgenza della patologia“.
I dati statistici sono stati aggiustati per diverse variabili: livello di istruzione, tabagismo, intensità dell’attività fisica, indice di massa corporea. Nonostante alcune limitazioni – tra cui possibili errori nell’autocompilazione dei questionari – i ricercatori affermano che l’associazione individuata non è casuale.
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